IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - E ORA CHI CE LI RACCONTA PIÙ GLI ZAZÀ DI POSITANO? CON RAFFAELE LA CAPRIA, SCRITTORE MA ANCHE FINISSIMO SCENEGGIATORE, SCOMPARSO A 99 ANNI, PERDIAMO ANCHE L’ULTIMA MEMORIA DI UNA NAPOLI PRE-SORRENTINIANA. PENSIAMO SOLO A “LE MANI SULLA CITTÀ” DI FRANCESCO ROSI, NATO DA UN’IDEA E DA UNA SCENEGGIATURA DI LA CAPRIA - LA STORIA DEI RAGAZZI DI VIA CHIAIA E L'AMICIZIA CON NAPOLITANO - VIDEO
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Marco Giusti per Dagospia
E adesso chi ce li racconta più i Giugiù i Mimì gli Scisciò gli Zazà di Positano che ancora ci divertono così tanto in “Leoni al sole” di Vittorio Caprioli, i Foffo e i Lallo de “L’imperatore di Capri” o di “Totò a colori”. La Napoli chic, estiva, del dopoguerra.
Con Raffaele La Capria, scrittore ma anche finissimo sceneggiatore, scomparso a 99 anni, ma fino all’ultimo così vivo, incisivo e sottile, perdiamo anche l’ultima memoria di una Napoli pre-Martoniana, pre-Sorrentiniana, per non scomodare Starnone-Saviano-Piccolo e chissà quanti altri, che nasceva dalle ceneri della Napoli distrutta del primo dopoguerra.
I ragazzi di Via Chiaia, gli amici di liceo, figli di una Napoli ricca, borghese e intelligente, Giuseppe Patroni Griffi, Antonio Ghirelli, Vittorio Caprioli, Maurizio Barendson, Francesco Rosi e, appunto, i due fratelli La Capria, Raffaele detto Dudù come il Dudù di “Operazione San Gennaro”, sposato con la bellissima Ilaria Occhini, nipote dello scrittore Giovanni Papini, e Pelos detto Pelos, il fratello minore più scombinato e divertente, morto nel 2015 a San Remo, sposato invece con la soubrette più amata degli anni ’50, Isa Barzizza, figlia del maestro Pippo Barzizza, stella dei film più belli di Totò.
Un gruppo che, compattissimo anche politicamente, tra loro c’erano personaggi del calibro di Maurizio Valenzi, poi sindaco di Napoli, e Giorgio Napolitano, si trasferì in massa nei primi anni ’50 a Roma e molto si aiutò. Giustamente. Nella Italia democristiana del tempo, portando una ventata di novità e di verità.
Pensiamo solo a “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, nato da un’idea e da una sceneggiatura di La Capria, film manifesto di un nuovo realismo combattivo che indicava una strada che ci porterà più ai reportage televisivi di questi ultimi vent’anni che a un tipo di cinema di denuncia che si mischierà presto con il genere.
Se “Leoni al sole” di Vittorio Caprioli, scritto da La Capria e in gran parte ispirati a personaggi veri del tempo, a cominciare dal fratello Pelos, già protagonista del suo primo e celebre romanzo, “Ferito a morte” e dalle sue folle esibizioni, era stato il tentativo di descrivere la Napoli balneare borghese dei ragazzi bene, “Le mani sulla città” ci portava dalla parte opposta di Napoli, mostrando la corruzione dei politici democristiani e la loro complicità con i palazzinari truffaldini. Un malcostume che ci perseguita da sempre.
La Capria aveva questo dono incredibile di poter passare da un universo napoletano all’altro. “Per dire come era mio fratello Pelos”, raccontava, “e come affascinava l’immaginazione degli amici, ricordo che un giorno in barca, una ragazza che lui voleva conquistare, gli domandò che ora era e lui che aveva al polso un rolex d’oro le rispose. E’ mezzogiorno, ma secondo me va indietro di qualche minuto; allora prese l’orologio e lo gettò a mare”.
E’ Pelos si elegge “precettore d’immaginazione e gioia” di Luca De Filippo, il figlio di Eduardo, e lo spinge a sperperare i soldi paterni al grido di “Fatte accattà ’o Giaguàr”. E’ Rosi invece a riportare La Capria alla realtà. Non funzionò, però, come non funzionerà neanche quarant’anni dopo con il trattamento Garrone, la prima versione de “Lo cunto de li cunti” di Rosi, “Cera una volta”, riscritto per lo schermo da La Capria e Patroni Griffi, malgrado la fotografia di Pasqualino De Santis, i costumi di Giulio Coltellacci, la presenza di Sophia Loren e Omar Sharif.
Troppo lontano il mondo di Giovan Battista Basile dal realismo di Rosi. Trovai invece molto bello il giallo di Luigi Comencini “Senza sapere niente di lei” con Paola Pitagora e Philippe Leroy, dove troppi sono forse gli sceneggiatori, Suso Cecchi D’Amico, Leonviola, lo stesso Comencini, per poter capire l’apporto di la Capria. Lo ritroviamo con Rosi per il più riuscito “Uomini contro”, durissimo film pacifista sulla Prima Guerra Mondiale, e lo troviamo alle prese col mondo di Arthur Rimbaud nel lontano “una stagione all’inferno” di Nelo Risi.
Indeciso se diventare un vero sceneggiatore alla Tonino Guerra o uno scrittore, seguita a lavorare con Francesco Rosi a più riprese, “Cristo si è fermato a Eboli”, ma assieme tornano a Napoli per quello che all’epoca mi sembrò una delle loro produzioni più sentite, “Diario napoletano”, un documentario sulla città girato per la Rai Tre di Guglielmi nel 1992 di grande spessore storico.
Va da sé un’opera totalmente camp diretta dal vecchio amico Giuseppe Patroni Griffi con Liz Taylor protagonista come “Identikit”, tratta da un romanzo di Muriel Spark che già Luchino Visconti avrebbe voluto girare. Più che un film è una sorta di festa di amici, dove compare come attore anche Andy Warhol, che è stato recentemente recuperato in non so quale edizione della Festa di Roma pre-Monda.
Non era per nulla riuscito, anzi, “Gioco al massacro”, film d’autore moderno di Damiano Damiani dove si scontrano due vecchi amici interpretati da Elliot Gould e da Tomas Milian senza parrucchino. Meglio le sue sceneggiature per Lina Wertmuller, altra sua cara amica, dove recita come attore anche suo fratello Pelos, “Sabato, domenica e lunedì” nel 1990 e “Ferdinando e Carolina” nel 1999, che sarà il suo ultimo film. Ma in generale, l’apporto di La Capria al cinema sembra piuttosto una questione di amicizia con quel o quell’altro regista piuttosto che una vera professione, che invece, di fatto, era, vista la quantità dei film sceneggiati.