IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - SE NE VA, A 92 ANNI, FRANCESCO “CITTO” MASELLI, IMPORTANTE REGISTA DEL CINEMA ITALIANO NATO SOTTO IL SEGNO DEL NEOREALISMO NEL PRIMO DOPOGUERRA, AUTORE DI FILM COME “GLI SBANDATI”, “I DELFINI”, “GLI INDIFFERENTI”. FU UNO STREPITOSO REGISTA “POETICO” PER UNA SERIE DI CAROSELLI NEGLI ANNI ’60 E PER LA SUA VICINANZA POLITICA AL PCI FU DEFINITO UNO DI “MOTTA CONTINUA” - MAGARI SONO STATO CATTIVO NEL VEDERLO SPESSO COME UN SOPRAVVISSUTO DI UN CINEMA TROPPO LEGATO ALLA POLITICA. MA… - VIDEO
-Marco Giusti per Dagospia
Se ne va, a 92 anni, Francesco “Citto” Maselli, importante regista del cinema italiano nato sotto il segno del Neorealismo nel primo Dopoguerra, storico assistente di Luigi Chiarini, Michelangelo Antonioni, Luciano Emmer, che lo ricordava quasi ragazzino sul set di “Le ragazze di Piazza di Spagna”, autore di una serie di celebri cortometraggi prima di esordire con film che, a cavallo tra la fine degli anni’ 50 e i primi ’60, ne definirono per sempre il vero interesse, “Gli sbandati”, “La donna del giorno”, “I delfini”, “Gli indifferenti”. Tutti prodotti da Franco Cristaldi, che molto lo seguì anche negli anni successivi.
Non riuscì, sempre, a ritrovare l’ispirazione dei suoi esordi alle prese con la commedia, “Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo” con Monica Vitti e Jean Sorel o “Ruba al prossimo tuo” con Claudia Cardinale e Rock Hudson, mentre fu uno strepitoso regista “poetico” per celebri serie di Caroselli negli anni ’60, come “Questi nostri ragazzi” della Buitoni, “Il momento più bello” per i Baci Perugina, dando vita perfino alla prima serie di “Chiamami Peroni” con Terence Hill e Solvi Stubing.
In un cinema dominato da figure imponenti e di grande richiamo internazionale come Roberto Rossellini, Federico Fellini, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, e da una scena dove non fu possibile la nascita di una vera e propria Nouvelle Vague, formò assieme ai registi più politicamente impegnati della sua generazione, Ugo Gregoretti, Franco Giraldi, Giuliano Montaldo, i Taviani, Nanni Loy, Ettore Scola, Lionello Massobrio, una sorta di gruppo di cineasti civili e di sinistra, molto vicini al vecchio PCI, che cercarono di tenere una linea coerente anche in anni dove non era facile avere una linea.
Al punto che per le loro attività carosellistiche vennero chiamati “quelli di Motta Continua”. Combattivo, si scontrò spesso con cineasti e critici che cercavano nel cinema qualcosa di più innovativo e politicamente meno conservatore. Ma va riconosciuto a Citto Maselli una bella tempra che ha avuto fino alla fine.
Nato a Roma nel 1930, interruppe gli studi liceali entrando a soli 19 anni al Centro Sperimentale di Cinematografia negli anni di Luigi Chiarini. Fu proprio Chiarini a chiamarlo come assistente su “Patto col diavolo” (1950), condividendolo con Michelangelo Antonioni per il corto “L’amorosa menzogna” (1949), e poi per capolavori come “Cronaca di un amore” (1950), “La signora senza camelie” (1954), con Luciano Emmer per “Le ragazze di Piazza di Spagna” (1952) e con Luchino Visconti per il memorabile episodio con Anna Magnani di “Siamo donne” (1953).
Contemporaneamente aveva dato vita a una lunga serie di cortometraggi che diresse in prima persona rivelando un sicuro talento e un forte interesse per il sociale, “Costruiamo la scuola centrale sindacale”, “Bagnaia, paese calabro” (1949), “Finestre” (1950), “Stracciaroli”, “Opera dei pupi”, “Sport minore”, che lo portarono a dirigere l’episodio “Storia di Caterina” nel film a più mani supervisionato da Cesare Zavattini “Amore in città” (1953).
E quindi a esordire da regista nel lungometraggio con “Gli sbandati” (1956) con Lucia Bosé, Isa Miranda, Jean-Pierre Mocky e con la sua prima moglie, Goliarda Sapienza, dove tratta un episodio della Resistenza “con giovanile baldanza, acume psicologico e vigore narrativo”, come scrive Gianni Rondolino, e venne premiato a Venezia. Ispirandosi al cinema di Antonioni, dirige subito dopo “La donna del giorno”, 1957, con Virna Lisi, Haya Harareet, Serge Reggiani, dove il tema è il mondo dei rotocalchi e della pubblicità.
Più successo ebbe con “I delfini”, 1960, con Claudia Cardinale, Gérard Blain, Anna Maria Ferrero, Tomas Milian, ritratto della giovane borghesia italiani degli anni del Boom economico, al quale seguì l’episodio “Le adolescenti” nel film a più mani “Le italiane e l’amore”, 1961. Nei primi anni ’60 seguiterà a girare cortometraggi, “Fioraie”, “Città che dorme”, “Campione per due ore”, “Un fatto di cronaca”, “Bambini al cinema”, che lo porteranno a sviluppare la sua passione per il realismo.
Passerà poi a “Gli indifferenti”, 1964, il suo film più noto, scritto con Suso Cecchi D’Amico, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, prodotto da Franco Cristaldi con un cast memorabile, Claudia Cardinale, Paulette Goddard, Shelley Winters, Rod Steiger, Tomas Milian. Non funzioneranno molto le sue commedie, “Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo” (1967) con Monica Vitti e Jean Sorel e “Ruba al prossimo tuo” (1968), girato in inglese, scritto con Luisa Montagnana, sceneggiatrice di molti dei suoi Caroselli del tempo, con Claudia Cardinale, Rock Hudson, Tomas Milian, pensato per il mercato internazionale.
Mentre verrà salutato positivamente il suo più divertente e sincero “Lettera aperta a un giornale della sera” (1969) con Nanni Loy, sua moglie Goliarda Sapienza, Tanya Lopert, sua sorella Titina Maselli, l’artista, dove prende di mira ironicamente l’impegno vero o meno nel politico di tutto un mondo di cinematografari romani comunisti anticipando le critiche alla sinistra in cachemire che ben conosceva.
Negli anni ’70 sembra quasi il sopravvissuto di un cinema neorealista che non è più di moda. Girerà “Il sospetto” (1975) e il televisivo “Tre operai” (1979), ma ritornò al successo, soprattutto di critica, col notevole “Storia d’amore” (1986), scritto assieme a Fiore DE Rienzo, il padre di Libero, premio speciale a Venezia, che lanciò una nuova stella come Valeria Golino, che vinse il premio per la migliore interpretazione femminile. Negli anni successivi non sempre riuscirà a trovare la stessa ispirazione con film, perennemente invitati a Venezia, come l’imbarazzante “Codice privato” con Ornella Muti che parla per 88' con un computer, “Il segreto” con Nastassja Kinski e Stefano Dionisi, “L’alba” con Nastassja Kinski e Massimo Dapporto (1990), che strabordavano spesso in una comicità non volontaria.
“Cronache del terzo millennio” (1996), definito "fantascienza sociologica anni'60", dove relitti umani aspettano l'apocalisse, venne accolto a Venezia da non pochi sberleffi e trovò la sua giusta difesa in Fausto Bertinotti ("Citto ci ha narrato una tragedia e ci ha dato una speranza"). Più che girare film interi, negli ultimi anni, collabora a progetti, come “Intolerance”, il film sul GB di Genova “Un altro mondo è possibile”, per poi dirigere “Civico zero” (2007), “Le ombre rosse” (2009) e “Scossa” (2011) firmato assieme a altri due grandi vecchi del nostro cinema, Carlo Lizzani e Ugo Gregoretti.
Molto si dedicò a dar vita a eterni dibattiti sul cinema italiano e su come uscire dalle decine e decine di crisi ricorrenti che attraversava. Magari siamo (sono) stato cattivi nel vederlo spesso come un sopravvissuto di un cinema troppo legato alla politica. Certo non mi stupì vederlo chiamato, assieme al letterato Ruggero Guarini, come esperto di parte nel celebre processo per diffamazione che vide il giornalista supercraxiano del Tg2 Onofrio Pirrotta fare causa a me e a Enrico Ghezzi per un passaggio un po’ cattivo di “Blob”. Il nostro esperto era invece Beniamino Placido. Un processo, in realtà, dove tutti ridevano e che venne chiuso dalla Rai del tempo con un accomodamento. Cronache di altri tempi…