ORESTE DEL BUONO NON DORME MAI, VEDE POCO MA HA UN NASO FINISSIMO - A UN SECOLO DALLA NASCITA E A 20 ANNI DALLA MORTE, IL RICORDO DEL "GRANDE ODB", EDITORE, RUBRICHISTA, TRADUTTORE, DIRETTORE DI "LINUS". SDOGANÒ FUMETTI E GIALLI E TITOLI SCORRETTI COME “ANCHE LE FORMICHE NEL LORO PICCOLO SI INCAZZANO” - INVECCHIANDO, LA SUA SENSIBILITÀ OLFATTIVA AUMENTÒ DI COLPO. NOTAVA PROFUMI E PUZZE BEN PRIMA DI CHIUNQUE ALTRO – SUO IL RECORD ITALIANO DELLE DIMISSIONI (UN CENTINAIO) – “LA MIA VITA SI È SVOLTA COME IN UN FILM DI CHARLOT, TRAGICA E UN PO' RIDICOLA” - IL LEGAME CON SCERBANENCO...
-Piero Colaprico per la Repubblica - Estratti
C'era mille volte Oreste del Buono, detto OdB, principe della creatività propria, ma soprattutto altrui. Ha cominciato, realizzato e abbandonato tante tante iniziative culturali e intellettuali da essere circondato da varie leggende: OdB non dorme mai; OdB non mangia; OdB vede poco ma ha un naso finissimo.
Questa dell'odorato è l'unica vera: a un certo punto, invecchiando, la sua sensibilità olfattiva aumentò di colpo. Notava profumi e puzze ben prima di chiunque altro gli stesse accanto.
(...)
Già, ma quale genere? OdB non si è fatto mancare nulla.
Senza di lui, e senza il mensile Linus , del quale diventò direttore, portando tra i collaboratori, ad esempio, un giovanissimo Andrea Pazienza, ma anche Altan e Hugo Pratt, il fumetto ci avrebbe messo molto più tempo a uscire dall'angolo del parente povero della letteratura.
Dei gialli e dei noir è stato con pochissimi altri editori italiani, come Marco Tropea e Laura Grimaldi - un cultore e un sostenitore appassionato. Anche qui esiste una leggenda speciale, che lega OdB a Giorgio Scerbanenco.
Scerbanenco, il “fratello maggiore” dei giallisti italiani, ha avuto, è noto, una sterminata e varia produzione narrativa. La popolarità internazionale e il vero successo arrivano però dal ciclo dei gialli con protagonista Duca Lamberti, medico irradiato dall'albo e diventato un collaboratore della questura in indagini delicatissime. La scrittura di Scerbanenco, in questi romanzi pubblicati negli ultimi anni di vita, si fa più secca, nitida e feroce rispetto agli altri. Vieni mai?
C'era stato un editing, rimasto dietro le quinte, di Oreste del Buono? Ed è vero che, come dice uno studioso, sempre a OdB si deve la paternità di due racconti che fanno parte della raccolta scerbanenchiana Il Centodelitti?
Le risposte precise mancano.
Né le si possono ricavare dalle biografie che Alan Scerbanenko, figlio della prima moglie di Giorgio, e Cecilia Scerbanenco, figlia della compagna Nunzia Monanni, hanno dedicato (notare la ke la c) al venerato padre.
Ma che OdB fosse un grande talent scout e un genio del “taglia e cuci” editoriale, uno capace di fare in modo che la voce degli scrittori arrivasse forte e chiara, è più che accertato. Traduttore di circa duecento romanzi (tra i quali opere di Raymond Chandler, Arthur Conan Doyle, Robert Louis Stevenson, Marguerite Yourcenar, Oscar Wilde), collaboratore di moltissime case editrici e sia della Mondadori che della Rizzoli («bigamo legalizzato», veniva chiamato) , saggista, critico di cinema e anche (per primo) degli spot pubblicitari, aveva come bussola la totale indipendenza intellettuale. Ed era un formidabile provocatore: da co-dirigente dei Tascabili Einaudi rianimò vecchi titoli e impone Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano.
Quel verbo era inconcepibile per la casa editrice, tanto che nei contratti inviati a Gino&Michele, i due autori che avevano messo insieme le tantissime battute comiche che componevano il libro, scrissero «le formiche nel loro piccolo…», con i puntini di sospensione. L'operazione a molti piacque (il libro è arrivato velocemente al milione di copie), ma ad altri non andò giù perché “rubava” ai singoli comici il frutto del loro ingegno.
(...) Suo il record italiano delle dimissioni - un centinaio - trovando sempre nuove occasioni di lavoro. Era riuscito a pubblicare, ovviamente in tempi diversi, ma per tre quotidiani (La Stampa, il Corriere, la Repubblica) una rubrica con lo stesso titolo: La talpa di città.
Erano gli appunti di quello che notava andando in giro, colori di un abito, frasi, bozzetti. Anche se più a una talpa, quella sua vita senza mai grandi pause dal lavoro («inesauribile» è l'aggettivo che gli dedica il convegno organizzato per domani a Milano allo spazio Wow in viale Campania 12) fa venire in mente i meccanismi delle macchine tessile. «La mia vita – sono parole sue – si è svolta come in un film di Charlot, un po' tragica e un po' ridicola».
Ridicola mai. Forse quell'aggettivo nasce dall'unica sua sconfitta. Si definiva, infatti, con ironia, «autore di romanzi di medio insuccesso»: ha scritto, scritto, buttato, ha ritirato a sue spese tutte le copie già stampate di un libro, ne ha bloccato un altro perché l'editore aveva cassato otto pagine.
Era come se lui dopo aver tradotto i grandi e aiutato tantissimi altri a trovare la voce, circondasse di troppi timori la sua.
Sua figlia Nicoletta ha detto che non aveva paura della morte e del dolore, ma delle «brutte figure». Nato nel 1923 all'Isola d'Elba e morto a Roma il 30 settembre 2003, aveva abitato dalla prima adolescenza quasi sempre a Milano. Non poteva star troppo lontano da questa città delle ambizioni: la considerava l'«unico luogo, non è affatto retorica, in cui possa vivere».
Resta il mistero su un suo editing dietro le quinte a favore di Scerbanenco. E c'è chi dice che scrisse due racconti della raccolta “Il Centodelitti”