QUANDO PASOLINI FACEVA A PEZZI LA SINISTRA – SERINO: "NELLE LETTERE IN LIBRERIA PER GARZANTI, PROMOSSE COME PRIMA RACCOLTA COMPLETA DELL’EPISTOLARIO DI PPP (ANCHE SE NON È VERO, COME HA CONFERMATO WALTER SITI) IL POETA-REGISTA SI MOSTRA SEMPRE PIÙ DELUSO DAI COMUNISTI" - "NEL 1968 RIFLETTE SU 'QUANTA DEMAGOGIA' ABBIANO FATTO LE SINISTRE SULLA PAROLA PACE" – QUANDO PASOLINI SCRISSE CHE RITENEVA “PORCILE” LA SUA OPERA PIU’ COMPLETA
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Gian Paolo Serino per il Giornale
“Ogni cosa mentre è mi delude, e quando è passata la rimpiango”: è questa la tragedia umana di Pier Paolo Pasolini come scrive in una delle “trecento” lettere inedite contenuta in Pasolini Le lettere ora in libreria per Garzanti a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini.
Viene “promosso” come “volume che riunisce per la prima volta in forma completa l’epistolario di Pier Paolo Pasolini”, sin dalla seconda di copertina e da tutti i quotidiani che ne hanno scritto evidentemente non avendolo letto, seppure siano evidente le lacune a chiunque conosca minimamente l’opera dello scrittore friulano.
Sono annunciate “300 lettere inedite”, nel libro indicate con doppio asterisco ma sono molto meno: la maggior parte di quelle non ancora pubblicate veramente sono telegrammi, appunti ritrovate tra le carte di Pasolini, addirittura una missiva scritta nel giorno della morte del fratello Guido: è logico che nelle intenzioni di Pasolini fosse un ricordo in forma epistolare ma non una lettera: a chi la spediva? Tanto è vero che è lo stesso scrittore a sottolineare “in questo diario”.
Certo poi ci sono inediti preziosi: lo stesso ricordo del fratello - ucciso appena diciannovenne ucciso da quella stessa sinistra partigiana che doveva proteggerlo - è struggente e lontano dalla retorica del dolore come pochi riuscirebbero a scrivere (intrisa violenta strappata lancinante ma razionale tenerezza). Gli inediti per la maggior parte sono lettere inviate a suoi lettori o più spesso a giovanissimi poeti e scrittori che a lui si rivolgevano per un parere.
E proprio in queste lettere si scopre un Pasolini lontano dal famelico ritratto di divoratore di “ragazzi di vita”: un Pasolini mosso da un intento pedagogico, generoso e al contempo troppo intelligente per non capire che oltre ai suoi interlocutori colti (Contini, Ungaretti, Morante, Bertolucci, Bassani, Giulio Einaudi, Livio Garzanti) la sua forza era proprio confrontarsi con sconosciuti.
Leggeva i loro componimenti, i loro libri, rispondeva a volte ammirato a volte con critiche feroci: al contempo non mancava il confronto con i più giovani, con le loro idee, cercando di insegnare loro non la strada migliore ma una strada che fosse la loro.
Tra quei ragazzi anche Walter Siti, Premio Strega, oggi massimo esperto di Pasolini tanto da aver curato ben undici Meridiani Mondadori dedicati all’opera dello scrittore. Un Siti che ci conferma come l’epistolario sia incompleto (mancano le lettere raccolte proprio da lui nei Meridiani, quelle spedite a riviste e a critici) e comprenda molte imprecisioni (ad esempio lui laureato alla Normale di Pisa nel testo è laureato a Firenze) risentendo di non essere stato completato da Nico Naldini (scomparso lo scorso Settembre).
Il Pasolini che leggiamo è anche un Pasolini sempre più deluso dalla sinistra: non per vendetta contro quel PCI che da giovane insegnante lo aveva espulso per “immoralità” ma per una sua visione che letta oggi è attualissima: nel 1968 riflette su “quanta demagogia abbiano fatto le Sinistre sulla parola pace. Da ciò, quindi, la mia colpevole renitenza. Se io dovessi scegliere il mio eroe, no sceglierei certo Che Guevara, né Mao: sceglierei Camillo Torres.
Che ne direbbe Camillo Torres (ndr: guerrigliero colombiano) della pace, Camillo Torres ha parlato della pace facendo la guerra. Ne ha parlato, cioè, attraverso il linguaggio della guerra”. In un’altra lettera risponde a un poeta: “La libertà dell’io in direzione basso-alto, che direzione metastorica. Ed è questo che non mi fa essere comunista”. Perché, continua, “io per cultura intendevo la storia nel suo manifestarsi attuale: quindi qualsiasi atto – in fondo anche il più meramente pratico- è un atto culturale”.
Malgrado le mancanze filologiche, che lasciamo agli studiosi e abbiamo qui voluto unicamente denunciare, questa raccolta è la migliore lettura possibile di questo anno: nessuna delle 1500 pagine risente del tempo o di certi epistolari che sono puramente per specialisti. Perché in ogni lettera Pasolini ha talmente tanta forza che sembra scrivere a noi. E così si crea una strana e insolita simbiosi tra noi e lo scrittore: e la lettura non stanca, si fa compulsiva. Leggendo questo Pasolini diventi complice. Più che un libro è un dono. Poi certo le dimenticanze.
Ad esempio le lettere inedite inviate tra gli anni ’50 e ‘60 a Giancarlo Vigorelli, che insieme a Gianfranco Contini, lo ho scoperto e aiutato sin dagli esordi. Lettere che ho pubblicato anni fa sulla rivista Satisfiction: sempre in bilico tra timidezza quasi reverenziale e affetto, bisogno conclamato di aiuto e brevi ma folgoranti confidenze Pasolini si mostra ansioso per una mancata risposta. In quegli anni Vigorelli gli commissiona molti articoli per le sue riviste ed è tra i pochissimi intellettuali italiani -Alberto Moravia, Carlo Bo, Gianfranco Contini ed Emilio Cecchi- a difenderlo durante il processo per oscenità intentato nel 1955 contro Ragazzi di vita.
Gian Paolo Serino
PASOLINI
Gentile Sig. Vigorelli, forse avrà avuto notizia dagli uscieri o dalla telefonista della mia insistenza nel volerla rivedere: non era per capriccio, Lei lo sa. Ora avrei bisogno del materiale che Le ho lasciato, per cercare di pubblicarlo da qualche altra parte.
Roma 30 agosto ‘54
Caro Vigorelli, Bertolucci mi ha avvertito che per la recensione Lei desidererebbe qualche altra cosa mia (…). Ho messo insieme tutto quello che ho potuto trovare nei miei cassetti: di cui è custode mio padre. E’ mio padre che viene a portarLe il pacco (…). Sono documenti della mia prima gioventù letteraria.
Roma 6 ott 1954
Caro Vigorelli, ho letto stamattina, appena alzato, il tuo stupendo articolo. Sono qui senza parole , tanto sono colpito e sovvertito (…). E sono oppresso insieme da una contentezza quasi infantile (quella che vedo dipinta negli occhi di mia madre e di mio padre) e da una nuova, ancora più ossessionante responsabilità. Non trovo altro modo di ringraziarti che prometterti di non risparmiarmi, di non attutire mai, anche dovesse assumere forme di smania o di vizio nell’ordine irrazionale, o di mania intellettualistica o moralistica, quella passione che tu hai sentito nei miei versi.
Roma 11 dicembre ‘55
Caro Vigorelli, ormai tu sei una delle sei o sette persone per cui io scrivo, come destinatari diretti e coscienti: e sei stato tu a volerlo essere, a esserlo, sin dalle prime ormai antiche letture (…). Forse, per orgoglio, per eleganza, non avrei dovuto scriverti queste righe: ma perché? che me ne importa dell’orgoglio, dell’eleganza, non voglio saper vivere…
Roma, 8 ottobre 1969
Caro amico, la critica in genere ha accolto un mio film PORCILE in modo ingiusto e sgradevole. Temo che a causa di questa accoglienza, tu non sia andato a vedere il mio film (…).
Ma io invece ci tengo enormemente a PORCILE, che considero la mia opera più riuscita.