"AVERE QUESTO COGNOME NON È UNA COLPA” – BRANDO DE SICA, FIGLIO DI CHRISTIAN E SILVIA VERDONE E NIPOTE DI VITTORIO, DEBUTTA DA REGISTA - "SONO IL PRIMO DELLA FAMIGLIA A SCEGLIERE L'HORROR. NOI DE SICA NON FACCIAMO TUTTI LA STESSA PROFESSIONE, MIA SORELLA, PER ESEMPIO, NE HA SCELTA UN'ALTRA. HO FATTO UNA LUNGA GAVETTA, L'ESORDIO È ARRIVATO A 40 ANNI, ED È ANCHE SUCCESSO CHE QUELLO CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE IL MIO PRIMO FILM SIA STATO INTERROTTO SUL NASCERE PER MOTIVI PRODUTTIVI. UN'ESPERIENZA BRUTTISSIMA...”
-Fulvia Caprara per “la Stampa” - Estratti
Si fa presto a dire figlio d'arte: «Il regista - dice Brando De Sica - è come il capitano di una nave, l'intermediario tra il mondo dei sogni e quello empirico, sul set è come un sacerdote, ma anche un po' come la polena della nave, sospesa tra l'oceano, che rappresenta l'inconscio, e l'umano, cioè le vele, le ciurme, i timoni».
Nipote di Vittorio, figlio Christian e di Silvia Verdone, De Sica dirige il suo primo lungometraggio Mimì. Il Principe delle Tenebre (dal 16 nei cinema) scegliendo come protagonista il neo-divo di Mare fuori Domenico Cuomo e ambientando la sua vicenda di sangue, amore e bullismo, in una Napoli non convenzionale, scura come il vulcano, blu come le notti in cui i vampiri tornano in vita: «È un film sull'importanza dei sogni e sulla fuga dalla realtà. Una ballata di sognatori».
Il suo è un cognome pesante, destinato a provocare invidie e severità di giudizi. Ci vuole coraggio per scegliere questo mestiere in una famiglia così blasonata?
«Direi che ci vuole coraggio, in generale, nel decidere di fare questo lavoro. Cito Wes Anderson, sa cosa disse una volta ai suoi studenti? "Il primo consiglio è: non fate i registi, cambiate obiettivo».
Lei non lo ha seguito.
«Sì, ma non è una questione di famiglia, non è che tutti facciamo la stessa professione, mia sorella, per esempio, ne ha scelta un'altra. Per me è stato un po' come soccombere a una dannazione, come una droga, non ne potevo fare a meno, un po' come quando le suore ricevono la chiamata da Dio. Ho sentito una voce, non potevo evitare di ascoltarla».
Sapeva che le avrebbero imputato tutti il fatto di essere nipote di Vittorio De Sica e figlio di Christian. Come ha superato l'ostacolo?
«Ho avvertito da subito una grande responsabilità, imparare la regia è stato un lavoro complesso, forse anche per il nome che porto, ma è anche vero che chiamarmi De Sica non è una colpa.
Ho studiato, mi sono laureato alla University of Southern California School seguendo i corsi della School of Cinematic Arts, ho fatto una lunga gavetta, ho girato corti, film pubblicitari, sono stato aiuto di tanti registi. L'esordio è arrivato a 40 anni, ed è anche successo che quello che avrebbe dovuto essere il mio primo film sia stato interrotto sul nascere per motivi produttivi. Un'esperienza bruttissima».
Quando ha capito che questo sarebbe stato il suo mestiere?
«Ero molto piccolo, ho cominciato a guardare un sacco di film di genere diversi, horror, ma anche quelli che mi faceva conoscere mio nonno materno, Mario, pellicole di Lubitsch, Renoir, Kurosawa. Mi chiudevo dentro quei mondi filmici e lì trovavo la mia essenza, la mia passione.
Sapevo che non avrei potuto resistere all'idea di mettere in scena tutte quelle suggestioni, da bambino organizzavo recite a casa, mi truccavo. Avevo un'attrazione incredibile per il make-up e per gli effetti speciali, andavo spessissimo nel negozio di Dario Argento "Profondo rosso". Poi i miei mi hanno regalato una piccolissima telecamera e allora ho cominciato a girare».
Chi è il regista da cui ha imparato di più?
«Voglio molto bene a Matteo Garrone, è la persona che mi ha insegnato più cose sul mestiere della regia».
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