"COME STO CON LA CRAVATTA BIANCA? QUESTA È IL SIMBOLO DELLA MIA PUREZZA" - GEMMA CALABRESI, VEDOVA DEL COMMISSARIO LUIGI, RICORDA LE ULTIME PAROLE DEL MARITO ASSASSINATO IL 17 MAGGIO DEL1972 – IL SOGNO DI INFILTRARSI IN UN COVO DI TERRORISTI E SPARARE ALL’ASSASSINO DEL MARITO, GIORGIO PIETROSTEFANI, CONDANNATO CON ADRIANO SOFRI COME MANDANTE DELL'UCCISIONE DEL COMMISSARIO CALABRESI...

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Estratto dell'articolo di Cesare Martinetti per “la Stampa”

 

 

LUIGI CALABRESI E GEMMA CAPRA APPENA SPOSATI - 1969

 

 

 

gemma calabresi con il figlio paolo

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Quanto siete rimasti insieme?

«Meno di quattro anni, non sono riuscita a fare il terzo anniversario di matrimonio: quando è stato ucciso mancavano tredici giorni».

 

E quindi per lei lui è sempre giovane?

«Sì, io adesso ho 75 anni, lui ne aveva 34. Ed è rimasto così».

 

luigi calabresi omicidio

Cosa penserà questa mattina, alle 9 e un quarto e cioè nel momento in cui 50 anni fa suo marito, il commissario Luigi Calabresi, è stato assassinato?

«Come sempre, tutti gli anni, il 17 maggio, al mattino guardo l'ora, chiudo gli occhi e dico: "Ecco, adesso"».

 

Cos' è successo, quel mattino?

«Siamo a casa, in cucina, io sto preparando la colazione per i bambini. Ne avevo già due, Paolo e Mario. Il terzo Luigi era nella mia pancia. Stavo aspettando una signora che doveva venire ad aiutarmi in casa. Non la conoscevo, era la prima volta che veniva. Gigi stava uscendo, mi ha dato le solite raccomandazioni, quelle che noi chiamavamo "le regole", e cioè non dire alla signora che faccio il commissario, quando esci stai attenta che non ti seguano, che non ci siano macchine ferme davanti al portone...».

 

E quali sono state le ultime parole che ricorda di suo marito?

esequie di luigi calabresi nel 1972

«È venuto da me, aveva la sua giacca nera, i pantaloni grigi, ma prima di uscire si era cambiato la cravatta. Ne aveva una rosa di seta, ne ha messa una di lana bianca. E mi ha chiesto: "Come sto, così?" Io gli ho risposto: "Bene, ma stavi bene anche prima". E lui mi ha detto: "Sì, ma questo è il simbolo della mia purezza". E queste sono le ultime parole che mi ha detto».

 

Una frase impressionante, sapendo adesso che stava per morire. Lei come l'ha interpretata?

funerali luigi calabresi

«In quel momento sono rimasta spiazzata, ma non ho fatto a tempo a chiedergli perché mi diceva quello o che senso aveva. Lui era eternamente in ritardo ed era già uscito. Dopo ho capito: era il suo testamento. Come se avesse voluto dirmi: continueranno a calunniarmi, ma sappi che io sono puro e sono innocente».

 

Questa dimensione di minaccia incombente quanto ha pesato nella sua vita?

«Molto, anche se lui non mi diceva tutto, molte cose le ho scoperte soltanto dopo, certi giornali non li portava a casa e io li ho visti molti anni dopo. Poi io allora avevo i bambini, un daffare enorme, grazie al cielo, perché mi hanno tenuto la mente occupata, il cuore e il resto».

 

gemma calabresi milite

Tutto è cominciato con la morte dell'anarchico Pino Pinelli, precipitato dalla finestra dell'ufficio di suo marito pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana. Lui come glielo ha raccontato?

«Lui in quel momento non era nella stanza e quand'è arrivato mi ha raccontato quello che gli avevano riferito. Ne era distrutto, perché un uomo era morto e pensava che aveva moglie e due bambine. Non mi ha mai minimamente detto di ritenere Pinelli colpevole. Anche lui era stato tirato dentro da questo uragano pazzesco».

 

Ci sono voluti molti anni perché vi incontraste, voi, le due vedove e le famiglie. È successo il 9 maggio 2009 su invito del presidente Napolitano. Cosa vi siete dette quel giorno?

gemma calabresi con il secondo marito tonino milite (dietro, i figli luigi, paolo, mario e uber)

«Io pensavo che anche in quella casa il papà non era rientrato: chi più di noi due poteva capire l'altra? Eravamo unite dallo stesso dolore. Ci siamo guardate negli occhi, ci siamo date la mano, ci siamo abbracciate.Io le ho detto: "Finalmente". E lei mi ha risposto: "Peccato non averlo fatto prima"».

 

Lei ha raccontato in un libro (La crepa e la luce, Mondadori) il percorso intimo compiuto nei 50 anni che ci dividono dall'uccisione di suo marito. Lei oggi si dice «in pace». Ma come ci è arrivata?

«Sono stati anni lunghi, difficili, con scivoloni indietro Nei primi mesi avevo una fantasia che facevo in genere nel momento in cui andavo a dormire. Con me c'erano mia mamma, o qualche mia sorella, mi davano sonniferi e allora per un po' io mi immaginavo di mettermi una parrucca e degli occhialoni e di infiltrarmi in un covo di terroristi, guadagnare la loro fiducia. E immaginavo che un giorno qualcuno a un certo punto si sarebbe vantato: "Ho ucciso io Calabresi"».

GEMMA MARIO CALABRESI

 

E a quel punto lei cosa pensava di fare?

«Avrei estratto la pistola che avevo nascosto nella borsa e gli avrei sparato. Questa fantasia, che facevo occhi aperti, prima di addormentarmi, allora pensavo mi facesse stare bene. Ma non è così perché quando uno si crogiola nel dolore e nella vendetta non può stare bene. In realtà sta malissimo. Oggi me ne vergogno molto».

 

Perché allora l'ha voluto raccontare?

gemma calabresi e i figli

«Per far capire a tutti che si può. Dopo un dolore lacerante si può risalire e si può tornare ad amare la vita, si può cambiare il giudizio sulle persone che vedevi solo come male e si può essere ancora felici. Volevo condividere il mio percorso con gli altri».

 

Quanto tempo ci vuole per arrivare ad accettare l'idea di poter perdonare?

«Io ci ho messo anni prima di iniziare il mio cammino. Inizialmente lo facevo un po' con la testa, poi ho capito che era tempo perso. Anche perché si scivolava indietro, bastava un articolo di giornale, una scritta che tornava sui muri, un documentario televisivo per cadere di nuovo nella rabbia. Poi ho capito che il perdono lo si dà solo con il cuore, non puoi prenderti in giro, il dono si fa con amore. Lo dice la parola, è un dono. Pianino pianino, lo devi fare, ogni giorno un pezzettino, lo devi volere, lo devi scegliere come vita. Io ci sono riuscita anche attraverso la fede».

GEMMA MARIO CALABRESI

 

È necessaria le fede o si può fare anche senza, diciamo in modo laico?

«Penso che si possa fare anche da un punto di vista umano. Ma io ho talmente fede che penso che anche quando uno mi dice che ha dato un perdono laico, dietro c'è il buon Dio che ci guida ed è sempre vicino a noi. Per me la fede è stata fondamentale. Dare il perdono ti dà la pace, ti rende libero».

 

Qual è stato il momento in cui ha cominciato a pensare di poter perdonare gli assassini di suo marito?

licia pinelli gemma capra calabresi

«Io insegnavo religione e un giorno un mio allievo mi ha chiesto: "Maestra, perché quando uno muore diventa sempre buono? Si parla sempre bene dei morti, muoiono solo quelli bravi?". Io lì per lì gli ho risposto che era giusto così, perché di una persona bisogna ricordare sempre gli esempi positivi, i suoi valori e non certo l'eventuale male che aveva commesso».

 

Ed è a questo punto che ha cominciato a pensare in modo diverso?

«Sì, perché improvvisamente mi sono detta che anche gli assassini di mio marito non potevano essere soltanto quello che erano stati nel momento in cui avevano ucciso o deciso di uccidere.

 

Ho pensato che dovevano essere anche padri buoni e affettuosi. E l'avevo visto al processo. Ho pensato che potevano aver aiutato tanta gente. E allora li ho separati da quell'atto, perché non avevo diritto di relegarli tutta la vita all'atto peggiore che avevano compiuto.

 

gemma capra calabresi

E quindi gli ho restituito la loro dignità di persone, la loro vita con tutte le sfaccettature, facendo il contrario di quello che facevano i terroristi quando uccidevano una persona perché simbolo di qualcosa attraverso la calunnia, gli slogan urlati nelle manifestazioni. Loro disumanizzavano, trasformavano le persone in "cose" e così potevano colpire anche con il consenso del popolo. Io nel mio sentimento, invece, ho fatto esattamente il contrario e li ho resi completamente umani. Ed è stato fondamentale per fare la svolta dentro di me. E da allora non li ho più neanche chiamati assassini».

 

(...)

gemma capra mario calabresi

 

il commissario luigi calabresi

 

Il nome «Calabresi», con tutta quella terribile simbologia che si è portato dietro, è stata una delle parole chiave degli Anni 70. Quanto è stato difficile portarlo?

«Le dico una cosa: io questo cognome l'ho portato con molto orgoglio, a testa alta. Ai miei figli, prima del processo, avevo detto: riabiliteremo il nome di papà con il nostro comportamento. E li devo ringraziare perché si sono fidati, non sono mai stati aggressivi, hanno accettato le sentenze, nel bene e nel male.

 

E il loro comportamento ha contribuito a dare a Gigi la sua vera figura. Oggi ha un'immagine ripulita dal fango che gli hanno buttato addosso, una figura di uomo onesto, appassionato, che amava il suo lavoro e la sua famiglia. Un servitore dello Stato con la sua cravatta bianca che ha meritato la medaglia al valore civile. E io sono molto contenta perché gli ho ridato la dignità. Posso dire che sono arrivata. Oggi mi sento in pace, libera».

omicidio luigi calabresi a milano 17 maggio 1972

 

Ma c'è voluto molto tempo perché ci fosse un pieno riconoscimento delle vittime. Ci sono stati anni in cui sembrava che il discorso pubblico fosse dominato dalla memoria dei terroristi. Lei lo Stato lo ha sempre sentito vicino?

«Negli Anni 70 ho vissuto momenti di solitudine. Per fortuna avevo i miei bambini piccoli, avevo la mia famiglia che mi ha avvolto: io ero la quarta di sette fratelli e sorelle.

 

Nell'81 mi sono risposata con Tonino Milite che ha preso tutti noi con molto amore e ho avuto un quarto figlio. Nonostante tutto io ho amato la vita. Noi non abbiamo smesso un giorno di parlare di Gigi, anche in modo allegro, con le sue battute e i suoi valori. Però, certo, a quell'epoca, per come l'ho vissuta io, penso che lo Stato fosse impreparato.

 

Poi il presidente Ciampi ci ha dato la medaglia a noi vittime, Napolitano ha spinto per la riconciliazione e Mattarella ha pronunciato parole meravigliose. Molti dicono che tutto questo è arrivato tardi, ma io sono contenta che si sia arrivati, la storia ha bisogno anche dei suoi tempi».

 

paolo e mario calabresi con la madre gemma

Pietrostefani?

«ha 78 anni, ed è molto malato e mi chiedo che senso ha oggi toglierlo dalla sua famiglia e relegarlo in un carcere a finire i suoi giorni. Sinceramente non mi sento di gioire».

LUIGI CALABRESI
adriano sofri
luigi calabresi ferma un manifestante
ovidio bompressi giorgio pietrostefani
delitto luigi calabresi
leonardo marino
delitto luigi calabresi
ovidio bompressi con la moglie
pagina-lotta-continua - delitto luigi calabresi
francobollo per Luigi Calabresi
adriano sofri, il suo avvocato massimo di noia e giorgio pietrostefani
omicidio calabresi
IL CORPO DI LUIGI CALABRESI
IL COMMISSARIO LUIGI CALABRESI
IL LUOGO DELL OMICIDIO DI LUIGI CALABRESI
busto dedicato alla memoria di luigi calabresi
licia pinelli gemma calabresi mattarella