"IO UNA SEX SYMBOL? IL RUOLO PUÒ ESSERE SCOMODO: SI SA, SCADE COME IL LATTE" – LE CONFESSIONI DI DEBORA CAPRIOGLIO DALL’AMORE CON KINSKI (“AMAVO LA SUA FACCIA PLASTICA. SONO SEMPRE STATA CIRCONDATA DA GIUDIZI E PREGIUDIZI, PERCHÉ HO FATTO SCELTE CONTROCORRENTE”) ALLA PRESUNTA STORIA CON TINTO BRASS ("È UNA COSA CHE NEGO DA SEMPRE, OGNI TANTO QUALCUNO ESCE CON STORIE MILLANTATE") - "CON SVEN-GÖRAN ERIKSSON STESSA COSA. MI SONO CHIESTA: MA C’ERO? PENSO ME LO RICORDEREI. ORA HO UN COMPAGNO CON CUI STO BENISSIMO: È STATO L’UNICO A..."
Chiara Maffioletti per il "Corriere della Sera" - Estratti
«Il successo, per un attore, è non somigliare mai a sé stesso». Debora Caprioglio ne è certa. E lei di trasformazioni e cambiamenti, nella sua carriera, ne ha fatti molti.
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Mai stata tentata di farlo?
«Non avevo la vocazione.
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E lì conobbe Klaus Kinski, che diventò il suo compagno.
«Le cose sono cambiate in modo repentino. Ero giovane: sono passata dal mondo della scuola a quello del lavoro e a livello internazionale. Recitai in Paganini , diretta da lui, ma fu tutto molto naturale. L’incoscienza è l’unica cosa che rimpiango della gioventù».
Davvero l’unica?
«Davvero. Non il non avere le rughe o essere più magra. Nulla, se non l’incoscienza: ero intraprendente. Con l’età si diventa più timorosi».
Cosa le piaceva di Kinski?
«La sua faccia, plastica e mobile. E la sua grande cultura. Non nego poi che entrare con lui nel mondo del cinema affascinava molto una ragazza di provincia come me. Avevo voglia di imparare».
Ha dovuto però affrontare molti pregiudizi, vero?
«Sono sempre stata circondata da giudizi e pregiudizi, perché ho fatto scelte controcorrente. Forse ora non desterebbero più grande scalpore, ma allora era considerato anomalo frequentare una persona tanto più grande».
Quanto tempo ci ha messo per sentirsi una brava attrice?
«Parecchio. Ma nel frattempo mi sono sempre fidata di me stessa. È servito molto lavoro ma era messo in conto: sapevo quali potevano essere le conseguenze delle mie azioni. Dopo un inizio scabroso la strada era in salita: ho combattuto gli stereotipi».
Solo che poi è arrivato Tinto Brass.
«Ci scherzo, ma quando ho fatto Paprika , mi dicevo: vabbè, non lo vedrà nessuno... le ultime parole famose. È stata una esplosione di popolarità fuori misura. Ma poi la mia carriera è stata più faticosa».
Potesse tornare indietro, farebbe diversamente?
«Vorrebbe dire rinnegare o rimpiangere. Se dovessi rinascere forse non farei neanche l’attrice... Di certo ci sono state colleghe che hanno iniziato da sex symbol e poi sono state costanti, anche nel variare».
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Come è stato essere considerata un sex symbol?
«Ho gestito tutto da sempre con molta autoironia, l’unica chiave per uscirne indenni. Il ruolo del sex symbol può essere scomodo: si sa, scade come il latte. Ed è bello sia così, spazio ai giovani».
Ha 56 anni: l’età la preoccupa?
«Per niente, tranne che per le malattie. Non mi importa della bellezza che cambia o che passa, si acquisisce autorevolezza. L’unica cosa che mi disturba dell’invecchiare è la salute: mi piacerebbe lavorare come attrice fino a 90 anni».
E il giudizio degli altri sul suo aspetto?
«Non mi interessa no. Sono stata fortunata, va bene così».
Da anni si dedica al teatro. Quando è iniziato questo nuovo capitolo?
«Francesca Archibugi ha rappresentato una svolta. Mi volle in Con gli occhi chiusi , film di nicchia ma per me fondamentale. Ha incarnato la mia voglia di spostarmi verso un mondo più autorale: da lì le mie scelte sono cambiate».
Ha vissuto una grande fama e una strada con meno riflettori. Contraccolpi?
«Il nostro è un lavoro che va fatto seriamente ma senza prendersi tanto sul serio, se no rischi di deprimerti se il telefono non suona. A me è successo, a volte ero io a non voler rispondere. Per fortuna non è durato a lungo».
Ha ancora rapporti con Tinto Brass?
«No, no. Un paio di anni fa c’è stata una sua mostra, a Roma, ma non sono potuta andare all’inaugurazione. Ci sono stata dopo. Nulla più».
Eravate stati legati sentimentalmente, si dice.
«È una cosa che nego da sempre, ogni tanto qualcuno esce con storie millantate».
Con Sven-Göran Eriksson?
«Stessa cosa. Mi sono chiesta: ma c’ero? Penso me lo ricorderei. Ora ho un compagno con cui sto benissimo: è stato l’unico a mandarmi cento rose rosse».
Possibile? L’unico?
«Sì, l’unico, davvero».
Sa che le storie con Brass e Eriksson sono scritte anche sul suo profilo di Wikipedia?
«Una volta c’era scritto anche che sono libanese. Ma no, giuro che sono di Mestre».