"MA CHE CAZZO HA DA RIDERE GIOVANNI FLORIS?" – IL RITRATTO AL VELENO DEL CONDUTTORE BY "IL GIORNALE" – "CATTOCOMUNISTA CACIO E PEPE, GIOVANNI FLORIS DETTO "DURBAN'S", RIDE SEMPRE, ANCHE ALLE BATTUTE STINTE DEI COMICI OSPITI FISSI IN TRASMISSIONE, CHE DI SOLITO COME LUCA E PAOLO SONO DELLA SUA STESSA SCUDERIA, CHEZ CASCHETTO – IL VESPINO DI SINISTRA, OGGI CON MENTANA IL GIORNALISTA PIU’ VICINO A CAIRO, DA 20 ANNI REPLICA IL SUO SHOW: STESSI OSPITI, STESSA IDEOLOGIA, STESSI RISOLINI. MA COS'È?!? TALK BOH...FORSE AVEVA RAGIONE FERRARA QUANDO DISSE: “FLORIS? HA TROPPI DENTI” (ALE'!)
-Estratto dell’articolo di Luigi Mascheroni per Il Giornale
Forse aveva ragione Giuliano Ferrara quando, a chi gli chiedeva un'opinione su Giovanni Floris, rispose: «Ha troppi denti». E su un vecchio televisore in bianco e nero scorre l'episodio di Alberto Dentone Sordi, giornalista ferrato e risoluto che partecipa senza complessi al concorso Rai. Scioglilingua, prova scritta con citazioni in arabo, tedesco, fiammingo, e sorriso.
Detto «Sorrisino» dagli amici (non così tanti) e «Durban's» dai nemici (non così pochi), Giovanni Floris è giornalista ferrato, risoluto, studioso, sempre preparato - falce e pennarello - pacato, deciso, gentile (come dice la vecchia nonna sarda, gallurese di Tèmpiu, «Gjuanni è così beddu: sorride sempre»), faccia e modi del bravo ragazzo, un professionista che prepara la scaletta anche per andare in bagno, professorino figlio di professoressa del Tasso («Ah, la Floris!»), metodico, abitudinario vacanze sempre a San Teodoro, bermuda stinti e quelle Crocs raccapriccianti, sempre il cinepanettone a Natale, stessi amici per la pizza, stesso gruppo di lavoro, stesse infinite riunioni, stessa noia redazionale - occhialino da intellettuale zdanoviano, realismo socialista e pragmatismo antiberlusconiano. «Giovaaaaaaaa!!!».
Sardo di origini nuoresi, romanista tottiano e romano del Nomentano, dalle Domus de janas alle catacombe di Villa Torlonia, Giovanni Ciao Giova Floris rimane un cattolico democratico di piazza Bologna, un cattocomunista cacio e pepe, Pajata e Vaticano, suppliche e supplì, passato indenne dalla liberalissima Luiss - docenti: Dario Antiseri, Luciano Pellicani, Domenico Fisichella e Antonio Martino; compagni di corso: Giovanni Orsina, Andrea Mancia, Fausto Carioti e Vittorio Macioce gli altri fissati con l'epistemologia di Karl Popper, lui con la storia del Partito comunista. Tesi: «Capitale e lavoro: dallo scontro alla cooperazione conflittuale?». E anche i talk, in fondo, sono scontro e conflitti.
Tesi, Antiseri e sintesi: Floris alla fine sceglie il giornalismo. Piccole collaborazioni politically oriented l'Espresso, l'Avanti! poi Scuola di giornalismo a Perugia e l'entrata in Rai: al Giornale Radio. Le scorciatoie per il successo sono solo due: bravura e fortuna. Giovanni, al quale entrambe sorridono, da cui il famoso risolino, da bravo giornalista si trova nel posto sbagliato al momento giusto. A New York, per sostituire un collega in ferie, l'11 settembre 2001. Che per lui fu tutto, tranne che una tragedia. E così diventa la voce e il volto italiano da Ground Zero. Uno, due, tre... passa un anno e grazie al più grande floriscultore di Viale Mazzini, il plenipotenziario apostolico palermitano Paolo Ruffini, direttore di tutte le reti democraticamente corrette, da Rai3 a «Lazette», diventa l'étoile del nuovo talk show Ballarò, stagioni 2002-2014, dodici anni di applausi e sorrisi. Poi il passaggio a La7: Dimartedì, di tutti i mesi, da dieci anni.
Interruzione pubblicitaria. Lettiano con un debole televisivo per Bersani e una cotta politica per Elsa Fornero - c'è chi sorride e c'è chi piange - in quello stesso 2014 il ridanciano Giovanni Floris (ride, ride sempre, anche alle battute stinte dei comici ospiti fissi in trasmissione, che di solito come Luca&Paolo sono della sua stessa scuderia, chez Caschetto, altro furbetto del quartierino televisivo) a La7 ottiene anche il preserale,
(...) Da 22 anni Floris, cambiandogli nome, fa lo stesso programma, con gli stessi identici ospiti, mandando in loop un'identica eterna trasmissione, un ininterrotto teatrino delle maschere, qua a sinistra facciamo sedere quelli presentabili, lì a destra gli scappati di casa...
Format di Ballarò-Dimartedì. Copertina: pezzo dei due comici di turno, di solito sui «fasci», con Floris che si sbellica per riempire le pause. Poi si invitano degli ospiti, tanti ospiti, una caterva di ospiti, un nugolo di ospiti, a caso, così che tutti parlano di qualcosa, senza capo né coda, del tutto fuori contesto, tutti gratis (tipi esemplari: Diego Della Valle che scambia Floris per Formigli; gente che non ha particolari titoli accademici; un'anziana partigiana che recita la parte richiesta e intanto presenta il suo libro, pensa un po', edito dalla Mondadori...); Floris che affetto da dromomania saltella qua e là, dando e togliendo la parola, incapace di stare fermo nello stesso posto o sullo stesso argomento per più di un pixel; poi molti applausi, una valanga di applausi, una piramidale cascata di applausi, del tutto immotivati, e il sottile retropensiero che la trasmissione, indipendentemente dai temi, si poggi solo su una frase della settimana, fuori posto, di un politico di destra.
(...) Ma cos'è?!? Talk boh...
Domanda. Ma che cazzo ha da ridere Floris?
(...)
Trentadue denti, 55 anni, moglie scrittrice - che come lui pubblica per Berlusconi, lui per Rizzoli, lei per Sperling ('Tacci vostra...) - detto il «Vespino di sinistra» malsopportato dal Vespone, Giovanni Floris è oggi il giornalista più strettamente vicino a Urbano Cairo, giocandosi il primato con Enrico Mentana (e se questo è la ghiandola pineale di Urbano, quello è l'aorta), l'unico che in assenza forzata di Lilli può condurre Otto e mezzo, prendendosi un bel nove... E così si avverò il sogno del grigio burocrate - la versione Facis, tendenza Lebole, del giornalismo che ha finito per costruirsi la più perfetta delle maschere, anonima ma telegenica. Button down e orgoglio altissimo, abiti color travet e impegno civile. È lui l'impeccabile direttore dell'orchestra più democratica e più bella, che se la suona e se la canta. Sempre sulla stessa musica. «Abbassa lo studio...». Applausi.
«Alè!».