IL REMAKE IN CHIAVE HARD DEL PASOLINIANO “MAMMA ROMA” ACCENDE FULVIO ABBATE: “A GUARDAR BENE LA LOCANDINA SEMBREREBBE CHE AI FRANCO E SERGIO CITTI, AGLI ETTORE GAROFOLO, AGLI “STRACCI”, AI NINETTO DAVOLI, E PERFINO ALLA STESSA MAGNANI, SI SIANO NEL TEMPO SOSTITUITE VOLTI PERFETTI ANCHE PER IL “TRONO OVER” DI “UOMINI E DONNE” DI MARIA DE FILIPPI, E FORSE ANCHE PER UN CASELLARIO SPETTACOLAR-GIUDIZIALE ULTERIORE; IL CERCHIO DEL GENERE CRIMINALE CAPITOLINO, GRAZIE A SALIERI, SEMBRA ESSERSI CHIUSO”
-Fulvio Abbate per https://www.huffingtonpost.it
Torna “Mamma Roma”. Si tratta di pseudo-remake, un calco, volendo anche un omaggio. Post pasoliniano. Stile porno, hard. Anche l’autore citato, PPP, per assurdo, aveva avuto a che fare con i sequel apocrifi. Con “Mamma Roma” non era però mai accaduto, il banner del film di arrivo a novembre lo dichiara proprio: “Liberamente ispirato al capolavoro di Pier Paolo Pasolini”.
Anche i volti degli interpreti meritano d’esser descritti, o forse basteranno i semplici cognomi, cominciando da Filippo Locantore, che sulla propria pagina social introduce l’opera: “Scritta e diretta dal maestro Salieri dove interpreto Gaetano Ascione delinquente pappone di Mamma Roma che poi sposa una giovane donna di Napoli e che poi diventa senatore a vita…” A seguire Roberta Gemma, Anika Russo, Alberto Pagliarulo…
Ma facciamo macchina indietro. Nel 1971, Pier Paolo Pasolini realizza “Il Decameron”, film di vasto successo commerciale; un’opera, dalla stampa “benpensante”, “perbenista”, garante della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, subito definita “licenziosa”, “oscena”. Siamo in anni dove l’accusa di “pornografia” vale doppio, tale pretendere l’intervento del censore e, ovvio, della magistratura. “Decameron”, storia ormai nota, ha notevole riscontro, Pasolini diventa presto autore celebre, perfino nei bar si accenna a quel “suo” film, le insegnanti dei licei commentano i peni in primo piano, tuttavia l’idea del “comune senso del pudore” veste ancora la divisa di panno ruvido delle guardie di Pubblica Sicurezza, di più, della squadra “buon costume”.
Il successo del film è tale che determinerà un genere, al cinema giungono così 10 100 1000 “Decameron” apocrifi, parodie, “centoni”, lo stesso Pasolini, in un’intervista, racconta che sovente gli viene attribuito un “Decameron” non di sua mano. Ne ride. Giunge perfino una denuncia da parte di alcuni frati minori, lo accusano a loro volta di pornografia, Pasolini replica d’avere assoluto rispetto della vita monastica, di sognarla addirittura per sé, in cuore suo forse pensa forse alla torre di Chia, rudere medievale, che si appresta ad acquistare e che, nelle intenzioni, dovrebbe diventare il rifugio della sua vecchiaia; le foto di Dino Pedriali che lo mostrano nudo, destinate, o almeno così vien detto, a un’appendice iconografica del romanzo postumo “Petrolio” sono scattate proprio lì, a Chia, fuori Viterbo.
L’altra mattina un amico mi ha inviato una locandina apparsa in rete. Non si trattava del “Decameron”, piuttosto di “Mamma Roma”, altro capolavoro pasoliniano con Anna Magnani, inutile aggiungere che terminata la lavorazione Pasolini si sentì poco soddisfatto dal personaggio così come lo restituisce l’attrice, accennando a un tratto “piccolo borghese”.
Di “Mamma Roma” ritroviamo la scena finale: Ettore, il figlio di “sora Roma”, sul letto di contenzione, un’inquadratura ne restituisce l’agonia come il “Cristo morto” di Mantegna; e ancora le battute del ragazzo in fin di vita: “Riportàteme a Guidonia…”, la voce sempre più flebile, lo strazio di un martirio post-neorealista. Un capolavoro comunque, aldilà dei dubbi del regista sull’interprete principale. L’altra mattina, dicevo, un amico ha voluto farmi dono di una locandina, titolo inequivocabile, “Mamma Roma”.
Dove la giacca della protagonista femminile, una post-Annarella, in primo piano, lascia intravedere la sontuosità dei seni, le fanno ala una corte di volti “coatti”, repertorio somatico pronto a indirizzare lo sguardo verso la finzione delle molte Suburre criminali, un antipasto umano che promette a suo modo di trasferire Pasolini nella circoscrizione di “mafia capitale” o qualcosa di simile.
La nostra, a suo modo, muovendo dai primi indizi visivi, è dunque una sorta di recensione preventiva, fotografica. Sarà davvero meraviglioso indagare sui contenuti profondi facendo caso alla recitazione di Emanuele Barbalonga, Axel Ramirez, Matteo Linux, Gisele Fioretti, Emmanuelle Worley e, soprattutto, Fabrice Triplex, nome che molto promette in termini assoluti. Fare infine caso al modo in cui la memoria dell’“epopea degli umili” cara a Pasolini si trasfigura nella serie scritta e diretta da Mario Salieri, un maestro del genere, mi garantisce Barbara Costa, che dell’hard è massima e profonda esegeta.
Resta che, a guardar bene l’immagine che annuncia l’opera, sembrerebbe che ai Franco e Sergio Citti, agli Ettore Garofolo, agli “Stracci”, ai Ninetto Davoli, e perfino alla stessa Magnani, si siano nel tempo sostituite volti perfetti anche per il “trono over” di “Uomini e donne” di Maria De Filippi, e forse anche per un casellario spettacolar-giudiziale ulteriore; il cerchio del genere criminale capitolino, grazie a Salieri, sembra essersi chiuso. A margine della trama narrata in rete dal maestro, brillano, amabili, numerosi commenti, tra questi: “Bellissima trama, sembra un film drammatico, in realtà è un film porno”. E un sospiro di sollievo conquista l’ideale sala di proiezione online.
Pasolini ne saprebbe dire ancora meglio.