MADRE RAGAZZE ROM MORTE ROGO CENTOCELLE
Rinaldo Frignani per il “Corriere della Sera”
Da venti giorni, forse qualcuno di più, quel parcheggio sopra il centro commerciale Primavera era diventato la loro casa. Un rifugio che pensavano tranquillo, dopo i mesi passati fra i campi di via Salviati e della Barbuta a guardarsi le spalle, a temere vendette.
Regolamenti di conti che li hanno raggiunti lo stesso martedì notte. «All' improvviso fuori dai finestrini è diventato tutto giallo. Una luce fortissima, è scoppiato il finimondo.
Eravamo terrorizzati, non sapevamo come uscire». I fratelli più grandi di Elisabeth, Francesca e Angelica non vogliono parlare con i giornalisti. Guai a chi si avvicina troppo, è giusto anche così. Lo fanno con altri che hanno oltrepassato il rigido cordone della polizia e dei vigili urbani per arrivare nello spiazzo della morte. Il padre, Romano Halilovic, 43 anni, bosniaco, si dispera. Non trova pace, non può. Nessuno potrebbe nei suoi panni. Avverte chiunque gli capiti a tiro di non alzare obiettivi e telecamere verso il furgone ridotto in cenere.
Poi gli agenti della Squadra mobile lo caricano su un' auto per portarlo in Questura. Ci rimarrà fino a sera, a riempire pagine di verbali, ad aiutare i poliziotti a trovare subito chi ha ucciso in quel modo tre dei suoi undici figli. C' è il collegamento con l' incendio del Peugeot intestato a un anziano parente ma usato da chissà chi, bruciato la notte del 5 maggio proprio lì dietro, in via Romolo Balzani, mentre non risulta alla Mobile quello con le indagini a dicembre sulla morte di Zhang Yao e la consegna da parte dei rom di via Salviati dei tre scippatori della studentessa cinese.
«I figli non si toccano!», ripete Romano a chi è approdato al parcheggio. E non è solo una questione di cultura rom, anche negli scontri fra clan più duri, quelli senza esclusione di colpi. «I figli non si toccano!». La moglie del capo famiglia, Mela Hadzovic, rimane piegata su se stessa dal dolore, accucciata sul marciapiede.
Una parente cerca di consolarla, quasi la costringe a riprendere fiato, a bere un sorso d' acqua. È ancora in pigiama. Le mani sono annerite dal fumo, le calze bruciate.
«Ho provato a tirare fuori tutti, tutti. Il fuoco era troppo forte, troppo alto», mormora.
Poi un' ambulanza la porta via, in ospedale. Nella sua mente le immagini incancellabili di quegli attimi da incubo: il primo figlio che si sveglia e si accorge dei bagliori fuori dal camper, le grida, le fiamme che irrompono violente attecchendo su tutto, coperte e materassi. I bambini che urlano terrorizzati, papà e mamma che sfondano la porta e trascinano tutti fuori.
Ma l' inferno inghiotte tutto troppo rapidamente, sale fino al tetto, avvolge la cuccetta dove Elisabeth dorme abbracciata alle due bambine. «Tirarle giù è stato impossibile, c' era il fumo, tantissimo, tossico. Non hanno avuto scampo», commenta un soccorritore. E solo il pensiero fa venire da piangere.
camper in fiamme muoiono tre ragazzine camper in fiamme muoiono tre ragazzine il luogo del rogo del camper