LA ROMA DEI GIUSTI - “LES JEUNES AMANTS” È UN MÉLO CHE LE SIGNORE SOPRA I SESSANTA E I SETTANTA APPREZZERANNO SICURAMENTE, CON LA STORIA D’AMORE TRA LA 71ENNE FANNY ARDANT E IL MOLTO PIÙ GIOVANE E BONO MELVIL POUPAUD - LUI PAZZO D’AMORE E LEI, CHE NON SA SE SCEGLIERE PER IL SUO AMORE LE FRESIE O I TULIPANI. POI BUTTA LE FRESIE DALLA FINESTRA CON UN GESTO DI RABBIA. “NON ABBIAMO UN FUTURO!”. LUI SI METTE A PIANGERE E LE GRIDA: “SONO SCONVOLTO!”. QUANDO LEI, FACENDO I CRUCIVERBA RIVELA AL PUBBLICO CHE HA PURE UN MEZZO PARKINSON ME NE SONO ANDATO… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

LES JEUNES AMANTS

Festa del Cinema di Roma. “Ma io tra poco faccio 71 anni!” dice stupita Fanny Ardant, architetta che vive tra una casa a Parigi e una baita di legno che s’affaccia sul mare d’Irlanda al molto, molto più giovane e bono Melvil Poupaud che le rivela il suo folle amore. “Spero mi inviterai alla tua festa”, le fa lui, oncologo di Lione alle prese tutti i giorni con tumori al seno e metastasi, sposato con la bellissima Cecile De France e padre di ben due figli. Aiuto! Stiamo parlando di un mélo che le signore sopra i sessanta e i settanta apprezzeranno sicuramente, “Les jeunes amants”, quarto film di Carine Tardieu, dedicato alla da poco scomparsa Solveig Anspach. Fanny Ardant, insomma, non ci vuole credere. “Ma lo sai da quanto tempo non faccio l’amore?”, gli dice.

 

LES JEUNES AMANTS

Lui se ne frega e punta al sodo. Già quando era suo ospite in Irlanda le si era presentato in camera da letto con la scusa “che ci hai uno spazzolino?”. La moglie bionda, Cecile De France, quando lui le rivela in quel di Lione la sua storia con la settantenne, sbotta a ridergli in faccia, “Ma è una vecchia signora!”.

 

L’oncologo Pierre si offende. Torna a Parigi pazzo d’amore da Fanny Ardant, che non sa se scegliere per il suo amore le fresie o i tulipani. Poi butta le fresie dalla finestra con un gesto di rabbia. “Non abbiamo un futuro!”. Lui si mette a piangere e le grida: “Sono sconvolto!”. Quando lei, facendo i cruciverba rivela al pubblico che ha pure un mezzo Parkinson me ne sono andato.

Il legionario

 

Qualcuno mi dirà come è andato a finire. Veramente de core, studiato e sentito, malgrado i pochi mezzi e qualche ingenuità, invece, “Il legionario”, bella opera prima del bielorusso di Lecco Hleb Papou, nella sezione “Alice in città”, ritratto super-realistico di un celerino nero romano, Daniel, interpretato da Germano Gentile, che si ritrova a dover evacuare il palazzone in Via di Santa Croce in Gerusalemme a San Giovanni a Roma, occupato da ben quindici anni dove vivono anche sua madre e suo fratello Patrick, Maurizio Bousso. Daniel, ribattezzato dal fratello Danielino il Celerino e dai commilitoni Ciobar, deve scegliere tra la fedeltà alla famiglia della Celere, e al suo comandante fascistissimo Aquila, Marco Falaguasta, o a quella di sangue.

 

Il giovane regista, assieme agli sceneggiatori Giuseppe Brigante e Gabriele Mochi, ha fatto un gran lavoro di ricerca sia sul palazzo occupato sia sui rituali della Celere. Come il fratello Patrick ha un orgoglio romano, e lo spiega anche al figlioletto, Daniel ha un orgoglio di poliziotto, di squadra.

Il legionario

 

Sa che quella famiglia non lo può tradire, anche se non solo non la pensa come Aquila, ma si prende tre giorni di sospensione perché ha menato un fascio che lo provocava durante una manifestazione. “Il legionario” è un film molto più importante di come appare, soprattutto in questo periodo di scontri, perché ci apre uno squarcio sull’Italia multietnica e sulla realtà della polizia che non conoscevamo. Partendo da un punto di vista totalmente innovativo e con un taglio realistico, ma anche molto ironico, quasi da Monnezza. Prodotto dalla Clemart di Gabriella Buontempo, vincitore di un bel premio a Locarno lo scorso agosto, verrà distribuito da Fandango a febbraio. Da non perdere.