LA ROMA DEI GIUSTI - BENTORNATO AL CINEMA POLITICO. “PALAZZINA LAF” È UN SOLIDO, FORTE, IMPORTANTE FILM DI DENUNCIA CHE RACCONTA UNA STORIA CHE NESSUNO VORREBBE DAVVERO SAPERE PERCHÉ, IN QUALCHE MODO, CI VEDE TUTTI COMPLICI - SIAMO A TARANTO, DENTRO L’INFERNO DELL’ILVA, DOVE SI PERMETTE AI DIRIGENTI DI CHIUDERE NELLA LA PALAZZINA LAF DEL TITOLO, TUTTI QUELLI CHE NON LA PENSANO COME I CAPI, CHE CERCANO DI DISSENTIRE E PROVOCARE SCIOPERI - VIDEO
-Marco Giusti per Dagospia
Bentornato al cinema politico. Anche se non tutto è chiaro, a cominciare dalla domanda in che anno siamo?, ma dovrebbe essere il 97-98, alla fine del secolo, o dal dialetto tarantino, quel che è evidente in questo riuscito “Palazzina Laf”, forte opera prima presa dalla realtà, diretta e interpretata da Michele Riondino, che l’ha scritto assieme al bravissimo Maurizio Braucci, lo sceneggiatore dei film di Pietro Marcello, è che siamo a Taranto.
E che siamo a Taranto dentro l’inferno dell’Ilva dei Riva, che parliamo di padroni, capetti, operai e dipendenti e spie in un momento difficile dell’industria, con tante morti sul lavoro e tanti morti in città a causa dell’acciaieria, dove si permette ai dirigenti di chiudere in un luogo, la Palazzina Laf del titolo, tutti quelli che non la pensano come i capi, che cercano di dissentire e provocare scioperi. Una situazione beckettiana dove anche i più saggi diventano matti, non è capitato solo all’Ilva, e dove fanno carriera le spie e i ruffiani.
Se vuoi tornare a lavorare, accomodati, ma non avrei un posto da ingegnere, ma da operaio. A tuo rischio e pericolo. Caterino Lamanno, il nostro protagonista, interpretato da Michele Riondino con toni un po’ chapliniani e ricordo del vecchio Mimì Metallurgico di Giancarlo Giannini, da operaio che respira merda ha l’occasione di fare carriera, di avere una macchina, guadagnare di più, spostarsi con la fidanzata vicino all’Ilva. Basta che faccia la spia, che racconti al suo capo, il Dottor Basile, un cattivissimo Elio Germano, e al freddo dirigente del nord, Paolo Pierobon, cosa stanno progettando gli operai sindacalizzati, chi sono le teste calde e, una volta entrato nella Palazzina Laf, cosa succeda lì dentro.
Ma Caterino non è solo una spia, è soprattutto uno stupido che non si rende conto di quello che possono provocare le sue soffiate. E così inguaia amici, colleghi, e sceglie una vita rischiosa, mentre il saggio zio lo spingeva a fuggire il più lontano possibile da Taranto. Costruito con una serie di segnali che il pubblico del sud e tarantino ben conosce, le pecore con la lingua blu, esattamente come il recente “Killers of the Flower Moon” di Scorsese, racconta una storia di brutale capitalismo e omicidio (la scritta ricorrente è “Ilva is a killer), non meno terribile della decimazione degli indiani Osage (ricordate il film di Rubini girato a Taranto?), facendoci seguire un personaggio divertente nella sua stupidità, incapace di fare la scelta giusta per sé e per la famiglia, che pensa che l’unica strada è quella dei pochi soldi in più e dello stare vicino a chi comanda.
Al punto che Caterino non si renderà neanche conto di dove lui stesso precipiterà una volta scoperto il meccanismo della Palazzina Laf. Solido, forte, importante film di denuncia che ha qualche ingenuità da opera prima, ma che racconta una storia che nessuno vorrebbe davvero sapere perché, in qualche modo, ci vede tutti complici. Chiusi o meno nella Palazzina Laf. Bravissimi tutti, da Riondino a Germano, da Vanessa Scalera a Eva Cela, da Domenico Fortunato a Paolo Pierobon. Esce il 30 novembre in sala.