E’ STATA LA MERDA DI GALLINA LA FONTE DI ISPIRAZIONE DI "BIRIGNAO" BIGNARDI: “FU QUELLA CHE MI FECE CAPIRE CHE ME LA POTEVO CAVARE CON LE CHIACCHIERE”. LA PROTAGONISTA DEL ROMANZO DI NINA ZILLI, INVECE, E’ COLPITA DAI “TRATTI BRUSCHI E VIOLENTI DEL PENNELLO CHE LA FANNO FEMMINA SICURAMENTE COME SI DEVE” (UNA METAFORA?). LA PAGINA DELLA CULTURA DEL “CORSERA” METTE FIANCO A FIANCO LE PRESENTAZIONI DEI ROMANZI (ROMANZI?) DELLA GIORNALISTA E DELLA CANTANTE. SE QUESTA E’ LA CULTURA, PER GIUNTA PROPOSTA DAL PRIMO GIORNALE DEL PAESE, POI NON LAMENTIAMOCI DEI POLITICI…
-Dagoreport
Non si dice quando scrivevano Pierpaolo Pasolini o Michel Foucault (quei detestabili maschi bianchi sebbene, almeno, omosessuali) o Giuliano Gramigna e Pietro Citati con le loro sottili analisi letterarie e di critica sociale, psicologica… La doppia pagina della cultura (cultura?) tutta al femminile proposta oggi dal “Corriere della Sera” va oltre il marketing editoriale o il mainstream, dal pop volge al trash.
Due giornaliste sconosciute (Giulia Ziino e Jessica Chia) presentano i romanzi (romanzi?) di due non scrittrici purtroppo conosciute: Daria Bignardi e Nina Zilli.
Birignao Bignardi va in libreria con “I libri che mi hanno rovinato la vita” (certo, se ha letto libri come quelli che scrive non poteva andare diversamente), edito da Einaudi – sì, quella di Leone Ginzburg ecc. ecc. che ti pubblica basta che ti dichiari di sinistra. Un libro adattissimo alle ragazzotte da Libreria Feltrinelli alle quali Birignao Bignardi racconta la sua iniziazione alle lettere, anzi, alle chicchere. Fu la merda di gallina a spalancarle il mondo della cultura. Lei vorrebbe essere come De André (“dal letame nascono i fior”), ma risulta più banal-prosaica, come le si addice.
Ha avuto una infanzia felice, “il prato con le farfalle, le margherite…” (mamma, che immagine inedita), passata a preparare “torte di terra con i cugini”, decorandole “con fiori e sassolini” (fin qui tutto bene). Poi Lulli ne ha decorata una con “merda di gallina”. Birignao è rimasta allora folgorata come San Paolo sulla via di Damasco: “Fu quella torta a insegnarmi che l’arte non doveva rassicurare ma turbare” (in questa frasetta da Baci Perugina almeno la virgola davanti al ma avversativo si poteva mettere?). Da allora “capii che me la potevo cavare con le chiacchiere”, anche se ciò la faceva sentire in colpa, considerando la qualità oratoria “una truffa per nascondere la mia inferiorità fisica” (vabbè, ma che penso piagnisteo).
Passiamo all’altra pagina, dove non c’è Shakespeare ma, forse per non fare sfigurare Birignao Bignardi, Nina Zilli scrittrice. Il suo romanzo “L’ultimo di sette” (speriamo l’ultimo e basta) è edito da Rizzoli (annamo bene). In mezzo a un mare nero da qualche parte tra Filicudi e Lipari, scrive la giornalista (che c’è, una fuoriuscita di petrolio?) Anna e Marco (povero Lucio Dalla) si incontrano.
Ma dopo dodici anni sono esauriti: “tutta la vita è lì dentro, conficcata come una spina in ogni atomo di queste mura” (una metafora edilizia). Lui finisce nella droga; lei passa a Raffaello e per mantenersi vende un quadro colpita dai “tratti bruschi e violenti del pennello che la fanno femmina sicuramente come si deve” (che è: una metafora?). Raffello è lì per un concerto e “la graffierà dalle prime note” (la metafora, in questo caso, è della giornalista), che parla di potente storia d’amore tra due trentenni.
Ma non potevano andare a Sanremo anziché scrivere?