L’UNICO OBIETTIVO PER L’EUROVISION IN ITALIA? NON RIPETERE LA DISASTROSA EDIZIONE DEL 1991 – LA SERATA, AFFIDATA GIGLIOLA CINQUETTI E TOTO CUTUGNO, È RIMASTA NELLA STORIA PER I DISAGI, I DISGUIDI, LE IMMANCABILI POLEMICHE LEGATE ALL’INVESTIMENTO TROPPO ONEROSO DI VIALE MAZZINI E PER I PROBLEMI DI LINGUA DEI PRESENTATORI – UNA FIGURACCIA IN EUROVISIONE A PARTIRE DALLA INCOMPRENSIBILE SCENOGRAFIA REALIZZATA CON MATERIALE DI VECCHI FILM E… - VIDEO
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Massimo Falcioni per "www.tvblog.it"
L’Eurovision organizzato in Italia? L’ultimo ricordo è vecchio trent’anni e all’epoca molti degli spettatori che sabato sera hanno esultato per il trionfo dei Maneskin erano piccolissimi, o non erano addirittura nati. Chi invece davanti allo schermo c’era pure allora, al momento della proclamazione avrà avuto un brivido lungo la schiena.
“Speriamo che stavolta vada diversamente”, sarà stato il primo pensiero. Sì perché il precedente dell’ultimo Eurofestival andato in scena nel nostro Paese rappresenta, televisivamente parlando, un vero e proprio trauma.
Era il 1991 e il privilegio di un’edizione svolta in casa fu conseguente alla vittoria di Toto Cutugno a Zagabria, dodici mesi prima.
Proprio Cutugno – assieme a Gigliola Cinquetti che si era imposta nel 1964 – presero tra le mani il timone di una barca che fu difficilissimo condurre in porto.
I problemi sorsero fin dalla scelta della location. Inizialmente il concorso si sarebbe dovuto svolgere al teatro Ariston, con un chiaro richiamo a stili e colori sanremesi. La Guerra del Golfo e la poco tranquillizzante situazione in corso in Jugoslavia, spinsero la Rai a spostarsi a Roma per assicurare maggiore sicurezza alle delegazioni straniere.
La decisione venne presa a gennaio, troppo tardi per non immaginare disagi e disguidi, con immancabili polemiche legate all’investimento economico di Viale Mazzini, considerato troppo oneroso.
Si trasmise dallo studio 15 di Cinecittà e parecchi elementi della scenografia non erano altro che il materiale già utilizzato nella realizzazione di vecchi film. Una anomalia che spiega in larga parte la sensazione di disorientamento di chi oggi ripesca immagini di quell’edizione.
Non che l’Eurovision non si sia evoluto di suo. Nel lungo periodo in cui l’Italia non ha partecipato, l’evento ha avviato un corposo restyling soprattutto visivo che oggi ci consente di dipingere lo show del ‘91 come un parente alla lontana, quasi sconosciuto.
Per l’Italia gareggiò Peppino Di Capri. Comme è doce ‘o mare, eseguita in napoletano, si piazzò al settimo posto. I commenti però furono tutti per i conduttori, con critiche e bocciature che riempirono pagine di giornali.
Cutugno e Cinquetti, innanzitutto, riscontrarono parecchi problemi di lingua, annaspando sulle lingue. Il regolamento prevedeva che le votazioni delle singole nazioni venissero lette in italiano, inglese e per l’appunto francese. A differenza di oggi, dove la grafica la fa da padrona e i corrispondenti si limitano a salutare e a incoronare lo Stato premiato col punteggio più alto, nel 1991 i voti venivano espressi a voce e per telefono. Cutugno manifestò a più riprese il proprio disappunto: “Vi sembrerà strano, ma bisogna ripetere i numeri in tre lingue. Chiedo ai colleghi di essere più veloci, con più ritmo, senno arriviamo fino alle due di domani”.
A dare problemi di linea fu soprattutto la Turchia: “Ankara non risponde”, lamentò il cantante rivolgendosi al supervisore Frank Naef. Seguirono momenti di imbarazzo, con Cutugno che spinse per saltare il turno o coprirlo con qualche mossa improvvisata: “Colleghiamoci con la green room, mettiamoci a suonare, a cantare, a far qualcosa. Oppure andiamo avanti con l’Irlanda e recuperiamo dopo”.
L’ultimo elenco venne diramato dall’Italia, ma di fronte al “pronto” dei presentatori, dall’altra parte della cornetta si sentì parlare in francese. I motivi della scelta non si sapranno mai (che si intendesse facilitare il lavoro ai padroni di casa?), fatto sta che Cutugno non la prese benissimo: “A Roma si parla francese? Parlate italiano, per favore”. L’insofferenza, mascherata dai sorrisi di circostanza, venne a galla in una frase, tanto sintetica quanto eloquente: “Menomale che l’Eurofestival lo abbiamo vinto dopo ventisei anni, pensa se lo vincevamo sovente”. Tradotto: fortuna che una serata del genere ci ritoccherà tra più di un quarto di secolo.
Per la cronaca, a conquistare il titolo la svedese Carola, protagonista di un inedito ex aequo con la Francia. Pari merito, eccezionalmente, anche nel numero di 12 punti aggiudicati. Ecco allora che per assegnare la coppa si dovette andare a controllare chi avesse totalizzato più volte i 10 punti.
Quella sera, temuta dal Toto nazionale, rifarà capolino nel 2022. L’auspicio è di arrivarci preparati. E felici di esserci, soprattutto.