SABATO, GNOCCHI! "INCONTRAI DAVID BOWIE E GLI DOMANDAI DEL TRAFFICO. SIMONA VENTURA SI INFEROCÌ: MA CHE CAZZO CHIEDI! – "LA TV? C' È QUALCOSA CHE NON QUADRA SE OGNI PERSONAGGIO VIENE INTERPRETATO DA BEPPE FIORELLO - SONO STATO A UN PASSO DALL'ESORDIRE IN SERIE A MA OGNI VOLTA CHE NELLA MIA RUBRICA SULLA “GAZZETTA” PRENDO PER IL CULO MATERAZZI, MI TELEFONA PER RICORDARMI CHE LUI È CAMPIONE DEL MONDO E IO UNA MERDA" - IL SARCASMO SU GIALLISTI, LIBRAI E SUL LIBRO DI TONINELLI: “PENSAVO FOSSE DA COLORARE…” - VIDEO
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Paolo Di Stefano per il Corriere della Sera
La prima cosa indiscutibile è che leggendo il suo ultimo libro, «Il gusto puffo» (Solferino), si ride.
Ma si ride davvero. La seconda cosa indiscutibile è che Gene Gnocchi ci fa ridere e insieme ci inquieta, costruendo storie molto belle, con personaggi verosimili anche se surreali, grotteschi, lunari, paradossali. Troviamo il genero che per evitare che la suocera si unisca per le ferie decide di spaccarle il femore. Troviamo l' uomo più bello del mondo che non vuole far sapere di essere l' uomo più bello del mondo. Troviamo l' intermediatore di una coppia di coniugi Incas che vuole adottare il figlio di Briatore e di Elisabetta Gregoraci.
Troviamo l' inventore del gusto puffo dei gelati nel giorno del suo funerale (a cui non può partecipare essendo impegnato altrove). Troviamo il tipo che per risolvere i problemi dell' immigrazione decide di tenere con sé otto piccoli Lukaku di cento chili l' uno appena sbarcati a Lampedusa. C' è l' ipocondriaco che si compra da Media World un impianto di risonanza magnetica ad uso personale. C' è il poveretto che non può sottrarsi a sostituire Rocco Siffredi per un giorno da pornodivo. E così via.
«In realtà - dice Gnocchi - sono personaggi che si trovano dentro situazioni più grandi di loro e che cercano di barcamenarsi con le loro bizzarrie, le manie, le inadeguatezze, tutti disturbi legati al vivere contemporaneo».
Anche il gusto puffo fa parte del vivere contemporaneo, ma è un po' fuori moda.
«In realtà il gusto puffo dei gelati è un' idea che mi accompagna da un sacco di tempo: c' era un periodo in cui quel gusto azzurro, fatto con i coloranti, che non si sapeva che cosa fosse esattamente, andava per la maggiore. Ed è lo stesso gusto retrò che caratterizza un po' i miei personaggi, che sono miscugli di coloranti e di vaniglia, di cose genuine e artefatte».
Ingenui che faticano a capire il mondo?
«Sì, hanno difficoltà ad accettare e a farsi accettare, sono un po' dei borderline, sempre sul crinale, che non vengono riconosciuti come vorrebbero e reagiscono di conseguenza».
Dove trova Gnocchi il tempo per scrivere?
«Quando c' è qualcosa che mi gira per la testa, il tempo lo trovo, non so per quale ragione misteriosa e come mai... Anche adesso mi sono venute in mente alcune cose sulla riassumibilità della vita... Può essere la mattina presto o la sera tardi, può essere a mezzogiorno, alla pausa pranzo... Diciamo che non sono il tipo che scrive quattro ore di seguito tutti i giorni, ma se ho un' idea o un' immagine che mi piace, mi ci metto nei momenti più impensati».
Aiutato dagli stessi quadernetti con cui circola un suo personaggio?
«C' è un personaggio che ha un taccuino ma lo usa pochissimo perché non lo tiene vicino al letto e di notte non ha mai la forza di alzarsi.Io scrivo a mano su bloc notes a spirali della Pigna, quelli grandi a quadrettoni. Poi ho sempre in tasca dei foglietti bianchi e delle penne Vision élite, ne ho comperate un bel po' perché non ne fanno più».
Che ne pensa, Gnocchi, della letteratura contemporanea?
«Io appartengo a una generazione che ha letto e amato Gadda, Bianciardi, Patti, Brancati, autori che mi hanno accompagnato e che rimangono dentro di me: e Silvio D' Arzo, Antonio Delfini, Ennio Flaiano... Scritture limpide, aerate, meravigliosamente pulite. Alla fine, per me quello che conta è la pagina scritta, lo stile, il ritmo, ma leggendo gli autori di oggi ti rendi conto che non c' è più spazio e attenzione per queste cose. Anche la letteratura è una fabbrica del consenso che non ha niente a che fare con la qualità della scrittura, l' unica cosa che dovrebbe contare».
Colpa di chi?
«C' è da dire che sono scomparsi i librai. Una volta alla Feltrinelli di Parma c' erano due librai che mi consigliavano: prova a vedere quel titolo, dai un' occhiata all' altro. Adesso i librai ti vendono prima di tutto i prosciutti e la pasta, il primo libro lo vedi dopo aver attraversato i banchi con le derrate alimentari e i gadget... Ti viene da star male, vacca boia».
Un consiglio di lettura?
«"Le ombre bianche" di Flaiano, un ritmo, una precisione... "Un bellissimo novembre" di Ercole Patti è un libro meraviglioso. E "Casa d' altri" di D' Arzo è un capolavoro assoluto. Ma quanti li conoscono? Oggi mi piacciono Ugo Cornia, Ermanno Cavazzoni... È una letteratura umoristica di outsider, estemporanea e tenuta un po' ai margini... Non sono certo tra gli scrittori più celebrati».
Tra i più celebrati ci sono i giallisti, alla cui parodia viene dedicato un capitolo, «Un caso scottante per il commissario Prugna».
«Sì, è una presa in giro dei tanti scrittori di gialli: un racconto in cui muoiono a uno a uno tutti i commissari e dopo quelle scomparse inspiegabili al concorso pubblico della polizia non si ripresenta più nessuno» ( ride ).
Com' è cominciata la voglia di scrivere?
«Ho sempre scritto racconti. Al ginnasio avevo in italiano il professor Petrolini, che era un glottologo allievo di Devoto e che assegnava sempre il tema libero: io facevo dei raccontini che spesso venivano letti alla classe».
Il primo libro, «Una lieve imprecisione», è uscito trent' anni fa da Garzanti.
«Sì, l' ho scritto prima di dedicarmi allo spettacolo ma l' ho pubblicato dopo, e per questo è caduto in una specie di fraintendimento. Erano i tempi in cui facevo la televisione, "Mai dire gol" e altro, e uno di Napoli mi scrisse una lettera molto risentita in cui mi diceva che aveva speso 12 mila lire pensando di leggere un libro da ridere.
Allora io gli ho mandato "Parola di Giobbe", il libro di Covatta, per riparare al danno. E siccome il libro di Giobbe costava tre o quattro mila lire in più del mio, quel tipo da Napoli mi mandò indietro il resto. È stata una delle cose più strane che mi siano mai capitate. Per certi versi aveva anche ragione, ma non era né colpa mia né colpa sua».
Dopo tanti anni, si avverte uno sguardo disincantato verso il mondo dello spettacolo, forse anche un po' amareggiato, con qualche puntata satirica. Per esempio su Beppe Fiorello...
«Per carità, io ho avuto grande successo. Ma oggi mi trovo come uno che di fronte a certe situazioni capisce che c' è qualcosa che non quadra se ogni personaggio viene interpretato da Beppe Fiorello. È una cosa di dominio pubblico: tu accendi la televisione e chi trovi? Beppe Fiorello. Chi fa Einstein? E Palmiro Togliatti? E Cassius Clay? E i quattro del Quartetto Cetra, li fa tutti Beppe Fiorello... Naturalmente nella scrittura tutto diventa paradossale».
Tra i suoi grandi sodali e amici del palco e della tv c' è Teo Teocoli.
«Un grandissimo. Se ti vuole far ridere ti fa ridere. Ricordo quando veniva in camerino e faceva l' elettricista: si sdraiava vicino alla presa e ti chiedeva di dargli un cacciavite... Esilarante... Da Teo c' è solo da imparare. Ed è generoso, se pensa che una battuta stia meglio sulla tua bocca te la lascia. È una cosa rarissima».
Prima venne Raimondo Vianello.
«Un aplomb e una raffinatezza. Non aveva mai bisogno di andare sopra le righe... Gli bastava un niente per cambiare il verso della conversazione. Una volta mi disse: non faccio per vantarmi ma ho sonno...».
E i tanti anni a «Quelli che il calcio»?
«Simona Ventura conduceva con Maurizio Crozza che faceva i personaggi e con me che facevo il guastafeste e il grillo parlante. Simona si fidava ciecamente. Tre ore di trasmissione e prima non voleva sapere niente. Una volta è venuto David Bowie e gli ho chiesto: scusi, lei arrivando da Londra ha trovato traffico? Lei si è inferocita: ma che cazzo chiedi! Diventava matta... ( ride ) Quando intervenne il ministro Gasparri in diretta per attaccare la satira, lei fu una leonessa nel difenderci...».
Sembra passato un secolo da Zelig...
«Non c' è più quella voglia. Forse negli ultimi tempi qualcosa ancora si sperimenta nelle seconde serate: Lundini, Ale e Franz, Barbareschi... Ma oggi nei social chiunque abbia 50 like in due minuti diventa un comico, anche se poi la vera misura te la dà il palco in spettacoli di un' ora e mezza».
Il Rompipallone, la rubrica quotidiana della «Gazzetta», come viene fuori?
«Guardo i focus della giornata, ne scrivo tre o quattro, li detto e lascio che siano i redattori a scegliere. Ogni volta che lo prendo per il culo Materazzi mi telefona per ricordarmi che lui è campione del mondo e io una m...».
La passione del calcio è arrivata fino al punto da ottenere un tesseramento in serie A nel Parma di Ranieri. Come andò?
«Mi allenavo ma non riuscii a giocare neanche cinque minuti, perché il Parma si salvò all' ultima giornata con l' Empoli. Peccato. Mi ero già messo d' accordo con il quarto uomo che facesse un recupero di un quarto d' ora in modo da poter giocare una ventina di minuti...».
Com' è andata l' esperienza cinematografica con Lina Wertmüller?
«Era francamente un film brutto che non si poteva vedere, senza mezze tinte, ma con lei imparavi tantissimo, ogni parola era un insegnamento: ti faceva rifare la scena anche sei o sette volte, e capivi che ogni volta ti stavi avvicinando al meglio».
E il Festival del 2004?
«Una centrifuga folle. Vai a Sanremo, per cinque giorni non dormi mai, esci dall' albergo e ti ritrovi davanti i microfoni di cinquanta radio e televisioni che ti chiedono qualunque cosa. Quell' anno c' era Tony Renis direttore artistico che continuava a promettere che avrebbe portato Robert De Niro perché aveva appena fatto una grigliata di carne con lui».
Cosa sta leggendo Gnocchi adesso?
«Ho preso il libro di Toninelli per le mie bambine, pensavo che fosse da colorare...».