SALVIAMO LA DEMOCRAZIA, FACCIAMO A PEZZI LE BIG TECH - L'INTELLETTUALE FRANCESE JACQUES ATTALI IN DIFESA DEGLI EDITORI CONTRO LO STRAPOTERE DI ZUCKERBERG E SOCI: "GOOGLE VA DIVISO IN QUATTRO RAMI, SEPARANDO IL MOTORE DI RICERCA, ANDROID, LA CONCESSIONARIA PUBBLICITARIA E LE ALTRE ATTIVITÀ. LO STESSO VALE PER FACEBOOK, AMAZON, MICROSOFT, APPLE. BIDEN FACCIA COME LA CINA: PER AVERE AVUTO TROPPE AMBIZIONI, JACK MA È STATO MANDATO A GIOCARE A GOLF..."
-Anais Ginori per “la Repubblica”
«Il futuro dei media sarà ibrido». Jacques Attali è un lettore compulsivo di giornali. Nel suo nuovo saggio, Histoire des Médias, l'intellettuale francese, già consigliere di François Mitterrand e poi vicino a tanti altri presidenti, compreso Emmanuel Macron, ripercorre la grande avventura dell'informazione.
Dai segnali di fumo agli algoritmi, da Gutenberg agli ologrammi. Attali parla delle prossime innovazioni tecnologiche ma lancia anche un appello ai governi per difendere gli editori contro l'oligopolio delle Big Tech: «Biden deve smantellare Google, Facebook e gli altri dividendoli in diversi rami di attività per ripristinare le regole della concorrenza».
I media, come lei racconta, hanno già vissuto altre trasformazioni. Cosa c'è oggi di tanto diverso?
«Il primo dei media, la carta stampata, temeva di morire quando arrivò la radio. E poi di nuovo quando cominciò la televisione. Ma fino agli anni Novanta c'è stato un circolo virtuoso tra stampa, radio e tv.
Dagli anni Duemila, è cambiato tutto: Internet li sta inghiottendo in un unico spazio globale non regolamentato. Oggi la diffusione dei giornali è solo un quarto di quello che era vent'anni fa. Non ci sono più testate europee nella top ten mondiale. E persino il New York Times è al dodicesimo posto.
Di pari passo, la pubblicità che andava sui giornali è stata assorbita dagli over the top che controllano più di metà del mercato mondiale».
Si poteva evitare?
«All'inizio c'è stata una certa incoscienza degli editori che si sono affrettati a mettere i loro contenuti su Internet gratuitamente, contando probabilmente sugli introiti pubblicitari, poi invece dirottati dalle Big Tech. I social network sono diventati dei media, quasi senza che ce ne accorgessimo.
Loro stessi non vogliono definirsi come editori, con tutte le responsabilità che ne conseguono, ma intanto si sono appropriati di contenuti di informazione. Ormai stiamo andando verso la fusione tra stampa, tv, radio e Internet. Gli editori tentano di far pagare i loro contenuti digitali, ma è molto difficile difendersi dall'oligopolio delle Big Tech».
In Europa è stata approvata la direttiva sul copyright. Molti editori fanno accordi con le piattaforme. Cosa ne pensa?
«Le direttive già adottate nell'Unione europea, insieme al nuovo Digital Act del commissario Thierry Breton, sono tentativi lodevoli. Ma non mi farei troppe illusioni: i colossi americani bloccheranno tutto.
Dispongono di schiere di avvocati e lobbisti per rallentare ed eludere i controlli di Bruxelles e dei governi europei».
Rupert Murdoch è riuscito nella sua battaglia contro Facebook in Australia.
«È un buon risultato, ma parliamo sempre di misure di compensazione, accompagnate da cifre irrisorie. È poco più di un'elemosina. Quello che versa Google ad alcune testate è sufficiente per finanziare i loro funerali. C'è solo una cosa che può avere un impatto decisivo».
Quale?
«Un piano del governo americano per smantellare le Big Tech, ripristinando così le regole della concorrenza. Nel libro propongo di dividere Google in quattro rami, separando il motore di ricerca, Android, la concessionaria pubblicitaria e le altre attività. Lo stesso vale per Facebook, Amazon, Microsoft, Apple. Per me l'unica soluzione è considerare che i social ormai fanno un servizio pubblico e quindi devono piegarsi a regole per garantire la collettività».
Crede davvero che il presidente Biden potrebbe farlo?
«È già successo in passato, nel mercato petrolifero e in altri settori. Il regime cinese ha già cominciato a porsi questo problema. Per avere avuto troppe ambizioni, Jack Ma (il fondatore di Alibaba, ndr) è stato mandato a giocare a golf.
Nessuno Stato, democratico o meno, può lasciare un potere così immenso ad aziende private. Biden deve agire ora prima che queste aziende statunitensi diventino entità sempre più globali e inafferrabili anche per l'amministrazione americana».
Nel futuro lei vede giornalisti sostituiti da robot.
«Sta già succedendo. In Francia, alcuni quotidiani regionali e L'Equipe generano brevi articoli in modo automatizzato. Alla radio è possibile far parlare una voce sintetica.
In Corea alcune televisioni presentano i notiziari con presentatori ologrammi. Il passo successivo sarà la notizia in 3D e realtà aumentata. Vedremo la partita di calcio come se fossimo sul campo, saremo embedded in una guerra. Non è fantascienza: accadrà al massimo nei prossimi vent' anni».
Qualche ragione per essere ottimisti?
«I giornalisti, e aggiungo gli insegnanti, hanno una grande missione: la ricerca e la difesa della verità. Nonostante le tecnologie, rimarrà sempre un lavoro artigianale di fact-checking nella battaglia contro la disinformazione.
Qualsiasi media deve diventare globale se non vuole scomparire. La carta stampata si sta già reinventando con podcast, newsletter, videoinchieste, servizi ai lettori sempre più multimediali.
Purtroppo questa trasformazione potrebbe non bastare. Deve essere accompagnata da coraggiose misure di regolamentazione del mercato».