SANREMONE BY MATTIOLI – "L'ITALIA È CAMBIATA E IL FESTIVAL È RIMASTO UGUALE, RISULTANDO, OLTRE CHE SPESSO STONATO, SEMPRE SFASATO. LA QUARTA SERATA HA CONFERMATO QUESTO SCOLLAMENTO DALLA REALTÀ. LA SERATONA È DI LUNGHEZZA TERRORISTICA. IL BACIO GAY DI ACHILLE LAURO (GIÀ FATTO L'ANNO SCORSO), FIORELLO-AMADEUS CON LE PARRUCCHE ANCHE NO. GAZZÈ-DALÌ, IL MONOLOGO DI BARBARA PALOMBELLI, AIELLO ULULA MENO E LA BATTUTA (AZZECCATA) DI IBRA: “TROPPA GENTE IN CAMPO, RISCHIO SQUALIFICA” - VIDEO
ALBERTO MATTIOLI per La Stampa
Curioso. Di fronte allo smottamento degli ascolti, la Rai incolpa la tristezza dei tempi che toglie alla gente la voglia di ridere, scherzare, cantare e di conseguenza di sciropparsi il Sanremone (non è chiaro, per inciso, cosa invece faccia di sera, con tutto chiuso e il resto della tivù perfino peggio dell'overdose di canzoni).
Ma proprio per questo forse sarebbe stato bene pensare a un festival diverso, non a una fotocopia dell'Amadeus I che tanto piacque l'anno scorso, ultimo dell'era ante Covid.
Invece è evidente che il cinico calcolo era rifare il solito festival confidando nella voglia di evasione dal clima angoscioso del d.C.: insomma, la vecchia ricetta nazionale del canta che ti passa. Sbagliato.
Per esempio, è noto che con il Covid la soglia d'attenzione si è ridotta e siamo diventati tutti più insofferenti. Bene: ieri ci sono stati inflitti tutti e ventisei i cosiddetti big più la finale dei quattro gggiovani, concesso e non dato che ci sia poi tutta questa differenza fra molti sconosciuti neanche tanto illustri della prima categoria e i ragazzi di belle speranze ma di non grande voce della seconda.
Comunque abbiamo il verdetto della finale baby, officiata da Amadeus con due copremiatori: il direttore d'orchestra Beatrice Venezi (direttore e non direttrice, lo vuole lei) e il presidente della Liguria, Giovanni Toti. Con Polvere da sparo ha vinto Gaudiano, faccia da bravo ragazzo che ha sparso anche qualche lacrimuccia, commuovendo le mamme d'Italia (qualcuna che ancora guarda Sanremo ci sarà pure).
La seratona è di lunghezza terroristica. Sulla scaletta la fine è prevista per le 2.39 del mattino, e non si capisce se per fine si intenda l'estinzione del programma o di chi lo guarda. Chi deve sorbirselo tutto ha già sviluppato una sindrome di Stoccolma verso Ama & Fiore nel ruolo dei sequestratori sadici.
Tanto più che la calma è piatta e la noia palpabile. A dare una scossa prova il solito Achille Lauro. In posa da sposa, coperto dalle abituali piume, nell'ordine: a) si paragona a san Francesco, Prometeo e Giovanna d'Arco; b) imbraccia il Tricolore mentre risuona l'Inno; c) stampa un bacio gay in bocca a Boss Doms (già fatto l'anno scorso, pare di rimembrare). Che trasgressione, signora mia, che brividi.
Almeno stavolta sbuca Fiorello con corona di spine in testa per duettare Rolls Royce e fornire al Pennuto quel che gli manca: l'ironia. Tanto che alla fine Fiorello non schioda, "non posso muovermi, sono un olio, un quadro di Lauro", e lo portano via a braccia. A proposito: è Fiore l'unica variabile indipendente nella stracca ripetizione del rito.
Magari il duetto con Amadeus su Siamo donne con le parrucche, lui Sabrina Salerno e Ama Jo Squillo, anche no. Ma per il resto il Mattatore fa il suo e lo fa da par suo, cioè meglio di chiunque altro. Però neanche lui può restare in scena per sei ore. Va detto però che, a forza di ascoltarle, le canzoni sembrano quasi buone, o almeno non così cattive. Anche i cantanti stonano meno.
Perfino Aiello, forse il più micidiale, ha realizzato che si può anche cantare invece di ululare. Apprezzabile anche Gazzè truccato da Salvador Dalì. Visto tuttavia che trenta brani non bastano, la scaletta è stata inzeppata con la consueta bulimia. C'è ovviamente Ibra che ormai è diventato il sergente sadico dei film che le reclute prima odiano e poi rispettano, ma ha una battuta buona: "Troppa gente in campo, rischio squalifica". Se n'è accorto anche lui.
Fra le new entry c'è Barbara Palombelli che fa un bel monologo sulle donne "che tengono il Paese" ed esorta le ragazze a "studiare fino alle lacrime e lavorare fino all'indipendenza". Da Alessandra Amoroso e Matilde Gioli arriva l'appello perché la gente di spettacolo possa ricominciare a farlo. Già. Anche fuori dall'Ariston c'è vita (forse).