SUPER TONY PAPPANO NEL PALLONE: “DA PICCOLO PREFERIVO IL CALCIO AL PIANOFORTE. OGGI PER ME IN ITALIA ESISTE SOLO IL NAPOLI, SONO UOMO DEL SUD” - IL DIRETTORE D’ORCHESTRA "SIR" ANTONIO PAPPANO: "IL TITOLO DI BARONETTO DI SUA MAESTA’? MI RENDE ORGOGLIOSO, ANCHE SE IO LO PORTO IN MANIERA LEGGERA. COME DIRETTORE D’ORCHESTRA SONO COME UN ALLENATORE CHE PUÒ GUIDARE IL PROCESSO PER ARRIVARE A UN BUON RISULTATO” -E SUL CONCERTO PER L'INCORONAZIONE DI RE CARLO RIVELA... - LIBRO
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Franca Cassine per “La Stampa” - Estratti
Sul podio è il rigore britannico a prevalere, mentre nella vita quotidiana fanno capolino lo spirito e la simpatia di uomo del Sud. Sir Antonio Pappano, uno dei maggiori direttori d'orchestra contemporanei, pur essendo nato nella contea di Essex mantiene un forte spirito italiano, quello trasmessogli dai genitori emigrati da Castelfranco in Miscano, in provincia di Benevento.
In questi giorni è in tournée proprio in Italia con la Chamber Orchestra of Europe – solista al pianoforte Bertrand Chamayou –, e oggi sarà al Teatro Pavarotti-Freni di Modena, domani all'Auditorium del Lingotto di Torino e giovedì al Teatro Nuovo Giovanni da Udine di Udine.
Maestro, lei è stato nominato "Baronetto di Sua Maestà" dalla regina Elisabetta nel 2012, cosa significa essere un Sir?
«Si tratta di un'onorificenza che mi rende orgoglioso, anche se io porto il titolo in maniera leggera. È anzitutto una forma di rispetto per il lavoro fatto e ne sono fiero, nonostante ciò sono semplicemente me stesso. Conservo gelosamente il ricordo di essere stato a Buckingham Palace assieme a mio fratello e a mia madre che, da buona mamma meridionale, era fuori di sé dalla gioia».
Ha diretto perfino il concerto dell'incoronazione di re Carlo III all'Abbazia di Westminster.
«È stata una giornata meravigliosa, per l'atmosfera e per il fatto che miliardi di persone stavano guardando l'evento.
Non è stato semplice perché logisticamente non ero nella posizione più favorevole e non è nemmeno stato facile trovare le soluzioni giuste con telecamere e monitor. Mi è venuta in soccorso l'esperienza teatrale, anche perché la cerimonia non era altro che un grande spettacolo. Alla fine è filato tutto liscio, merito pure dell'ottima squadra di musicisti».
La sua è una carriera prestigiosa e costellata di riconoscimenti, è vero che da bambino allo studio del pianoforte preferiva il gioco del pallone?
«Ebbene sì! Ed ero persino abbastanza bravo, nondimeno da piccoli si sognano tante cose. Devo dire che l'esperienza calcistica mi è servita in quanto ha delle similitudini con il mio lavoro. L'allenamento fisico e mentale è simile allo sport e come direttore d'orchestra sono come un allenatore che può guidare il processo per arrivare a un buon risultato».
Segue ancora il calcio?
«Purtroppo ho poco tempo, ma sono tifoso del Chelsea».
Squadre italiane?
«Per me in Italia c'è solo il Napoli, sono un uomo del Sud».
Tornando alla classica, come si può superare il preconcetto che molti hanno della cosiddetta "musica colta" e diffonderne l'ascolto?
«Ovviamente si deve cominciare dalle scuole e questo è un problema che diventa ogni anno più frustrante perché l'insegnamento della musica è la parte dell'educazione a essere sacrificata per prima.
Quando si tagliano i fondi si comincia sempre da lì senza pensare all'importanza per il cervello. Infatti, lo studio della musica non è fine a se stesso, serve pure per le altre discipline. Inoltre, imparare ad ascoltare la classica contribuisce a creare il concetto di democrazia. Anche per questo è importante far entrare i giovani ai concerti, magari abbassando i prezzi, una volta in sala sono sicuro che l'impatto della musica li conquisterà».
Da quale autore sarebbe bene iniziare per avvicinarsi all'universo della classica?
«Ce ne sono tanti, ovviamente Beethoven, che è un compositore così dinamico, oppure Mozart che è aperto, grande, gioioso.
Poi l'Opera lirica nel suo complesso, perché il teatro porta interesse da sé, in quanto pone l'accento sull'aspetto visuale e noi viviamo in una società dominata dall'apparenza. Quindi titoli come Bohème, Traviata, Nozze di Figaro, che sono musicalmente meravigliosi, raccontano storie sempre attuali e qualche volta divertenti».
In questo momento di cambiamento degli equilibri geopolitici mondiali, la musica può contribuire al processo di pace?
«La musica non può fermare i conflitti però, essendo ricca di emozioni, può sicuramente smuovere qualcosa, oltre a creare dei simboli di pace. Come ad esempio succede con la Nona di Beethoven che grazie alla profondità, alla gioia del sentimento di fratellanza e di rispetto dell'altro, veicola un messaggio forte.
Inoltre, la musica dal vivo contribuisce a creare una comunità e questo è un modo per influenzare positivamente le persone. In una comunità dove si condivide qualcosa di così potente, si viene forzati a lasciare andare quell'egoismo che fa parte della natura umana».
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