LA VENEZIA DEI GIUSTI – “LA VERITÀ È COME LA COCA, NON C’È PURA”. QUESTO “ADAGIO”, GRANDE RITORNO DI STEFANO SOLLIMA AL GENERE PIÙ AMATO DEI NOSTRI ANNI ’70, IL POLIZIESCO ROMANO, È NON SOLO UN REGALO INASPETTATO, MA ANCHE UN GRANDE FILM CHE DOVREBBE CHIUDERE UN’EPOCA SIA PER CHI LO FA SIA PER CHI LO VEDE - CALDO, SUDORE, SPORCIZIA DI UNA ROMA IN FIAMME INVIVIBILE E BELLISSIMA, CAPOCCIATE, ZACCAGNATE IMPREVISTE E MORALE FACILE. VEDIAMO SE I GIURATI CAPIRANNO… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

“La verità è come la coca, non c’è pura”. Sì, valla a trovare la verità in questo film di carabinieri infami, vecchi arnesi della Banda della Magliana che hanno ancora un codice morale e pischelli che si muovono senza pensare troppo alle conseguenze.

 

stefano sollima

Vedetela un po’ come volete, ma questo “Adagio”, grande ritorno di Stefano Sollima al genere più amato dei nostri anni ’70, il poliziesco romano, con tanto di omaggio al padre Sergio con lo stesso lettering dei suoi vecchi film, con un plot alla “Milano calibro 9” di Fernando Di Leo, con una Roma inedita tutta costruita sopra e sotto la sopraelevata fantozziana tra San Lorenzo e Pigneto, con le sue precise citazioni del Califfo, con un cast di attori favolosi e tutti in parte, dai carabinieri infami di Adriano Giannini, Francesco Di Leva e Lorenzo Adorni ai tre vecchi arnesi della Banda, Toni Servillo alias Daytona, Valerio Mastandrea alias Paul Niuman, Pierfrancesco alias Il Cammello, al giovane Manuel di Gianmarco Franchini, è non solo un regalo inaspettato, ma anche un grande film che dovrebbe chiudere un’epoca sia per chi lo fa sia per chi lo vede (“Tutto il resto è noia”) che speriamo i giurati possano apprezzare come lo può apprezzare il pubblico di “Romanzo criminale”, “Gomorra”, “Acab” e “Suburra”.

 

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Forse il miglior film di Sollima, che lo ha scritto assieme a Stefano Bises e prodotto assieme a Vision e al vecchio amico Lorenzo Mieli. Per questo ritorno a casa dopo le esperienze a Hollywood, Sollima richiama il suo storico direttore della fotografia Paolo Carnera (“Acab”, “Suburra”) e assieme dimostrano che non è affatto vero che non si può fare più il cinema a Roma. Nessuno si muove come loro a raccontare il genere, a impostare e muovere gli attori negli angoli più oscuri della città.

 

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Il finalone a Stazione Tiburtina potrebbe valere i finali dei film di De Palma. La Roma che brucia, richiamo neroniano, chiude per sempre la possibilità di una fuga dal proprio destino per i personaggi. L’idea, nuova, magari, è quella dei rapporti padri-figli. Manuel è il figlio di Servillo - Daytona, vecchio boss apparentemente in disarmo, ciavatte e occhi nel vuoto. Si mette nei guai e va da Mastandrea, addirittura cieco, anche lui in ciavatte. E lui, Pol Niuman, lo manda da Favino, Il Cammello, mutande e ciavatte, che è quello che sta messo peggio di tutti.

riprese del film adagio di stefano sollima

 

Si è fatto undici anni di carcere, ha perso un figlio in un colpo commissionato proprio da Daytona, e è tornato a morire a casa con un cancro terminale. Ma sappiamo da subito che si comporterà da padre come ha detto Pol Niuman. Non si sgarra. A sua volta anche il cattivo carabiniere di Adriano Giannini è un padre affettuoso per i suoi figli. Caldo, sudore, sporcizia di una Roma in fiamme invivibile e bellissima, capocciate, zaccagnate impreviste e morale facile da vecchia Roma (“Io sto nel mio mio, ma se mi pestate i piedi…”). Vediamo se i giurati capiranno tutto questo… Esce a Natale.

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