LA VENEZIA DEI GIUSTI - "DICIANNOVE" E’ UN’OPERAZIONE INTERESSANTE E CORAGGIOSA. E GIUSTAMENTE INGENUA - UNA PROVOCAZIONE MAI BANALE CHE PORTA IL 19ENNE LEONARDO, DA LONDRA, DOVE NON SMETTE MAI DI BERE, A SIENA, DOVE STUDIA LETTERATURA ALL’UNIVERSITÀ, PER ARRIVARE ALLA CONCLUSIONE DI NON CONSIDERARE PIÙ IL NOVECENTO. UNA NARRAZIONE CULTURALE DA NUOVA DESTRA, TRA UN CASTELLITTO JR E UN BUTTAFUOCO. UN FILM CHE NON ASSOMIGLIA PER SUA FORTUNA A NULLA, DOVE L'IDEA È UCCIDERE TUTTO PER LA RICERCA DI UN NUOVO LINGUAGGIO…

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Marco Giusti per Dagospia  

 

DICIANNOVE DI Giovanni Tortorici

“Da dove ti viene questo bisogno di morale?”, chiede il vecchio intellettuale, è Sergio Benvenuto, filosofo lacaniano e psicanalista, e siamo nella casa di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo a Torino, al diciannovenne, anzi all’ormai ventenne, palermitano, Leonardo, interpretato da Manfredi Marini. Già da dove gli viene questo bisogno di morale che lo fa paragonare, dal filosofo, ai ragazzi della sua età che diventano terroristi nell’Isis e che lo porterà poco dopo a inciampare per le strade di Torino proprio dove è vissuto Nietzche.

 

Da dove gli viene il desiderio di morire (un colpo in testa, un colpo in testa!). Insomma. Ha in sé una bella carica di provocazioni, anche politiche, questo “Diciannove”, appena passato a Orizzonti, opera prima del giovane nobile palermitano Giovanni Tortorici, prodotto da Luca Guadagnino, fotografato da Massimiliano Kuveiller, montato dal Marco Carta di “Challengers” e “Queer”, interpretato dall’inedito e bravissimo Manfredi Marini e da attori che non ci sembra di aver mai visto, Vittoria Planeta, Dana Giuliano, Zackary Delmas, Luca Lazzareschi.

RIPRESE DI DICIANNOVE DI Giovanni Tortorici

 

Una provocazione continua, seria, ma spesso anche ironica, mai banale, che porta il diciannovenne Leonardo, anima in pena a Londra, dove non smette di bere, e poi a Siena, dove si chiude rigidamente per studiare letteratura all’università, ascoltando solo Paisiello e Cimarosa, per arrivare alla conclusione di non considerare più il Novecento. Una narrazione culturale da nuova destra, si direbbe, pur se contraddetto dal dialogo finale col filosofo lacaniano, tra un Castellitto jr e un Buttafuoco.

 

"Ma li hai letti Vittorini e Fenoglio?", gli chiede il vecchio intellettuale. E Pasolini? "Non mi piace", risponde Leonardo. "Non scrive in buon italiano". Lo diceva anche Angelo Guglielmi. Ma partendo da un punto di vista diverso. Ma la storia si ripete. Si sa. Leonardo fa parte di una generazione, che nel film viene presentata addirittura come superata, già vecchia rispetto a quella dei quattordicenni (è un momento molto divertente), che si butta a capofitto nell’alcol, nelle droghe come nella barbosa letteratura dei Pietro Giordano e ascolta il trap come fosse qualcosa di un altro mondo (ottimi i momenti di Ghali e di Tedua).

 

RIPRESE DI DICIANNOVE DI Giovanni Tortorici

E non sa, come accadde già a Lou Castel ne “I pugni in tasca”, come fare esplodere in mille pezzi la famiglia. Cominciando dalla propria. La madre accudente, un padre che non si vede, una sorella più divertente. E far esplodere la scuola, il professore dantista barboso con assistente inutile. E i coetanei, visti come esseri inferiori. “Carlo Lolli si è fatto fare un pompino bendato da Stefania Passavia”. Eppure i momenti di commedia siciliana fanno parecchio ridere e illuminano un quadro che potrebbe sembrare di gioventù perversa e malata.

 

 Leonardo è pronto a vendersi solo per comprare edizioni rarissime del Tasso. Si rifugia in un passato al massimo ottocentesco perché non vuole avere nulla a che fare col Novecento. Cosa dà così fastidio del povero Novecento ai giovani ribelli nati dopo il 2000 da spingerli a volerlo cancellare? Chissà... Capisco la logica dei Sangiuliano e dei Buttafuoco. Ma i ragazzi? Forse solo il fatto che il Novecento rappresenta tutta la cultura e tutta la vita dei genitori, mostri orrendi che non hanno più nulla da offrire, a parte mandare regolarmente la paghetta ai figli.

 

RIPRESE DI DICIANNOVE DI Giovanni Tortorici

 E col Novecento via anche “Salò” di Pasolini, forse il film più importante di una generazione di genitori cresciuti col cinema e con la rilettura di Sade. “Diciannove” è un film che non assomiglia per sua fortuna a nulla, una sorta di neo-nouvelle vague palermitana dove l'idea è uccidere tutto, soprattutto il cinema, palla ricerca di un nuovo linguaggio navigando magari tra Nietzche e Sade, Dante e Cavalcanti.

 

E’ un’operazione interessante e coraggiosa. e giustamente ingenua. Anche se i palermitani che descrive, sono in fondo, un secolo dopo, ancora dei borghesi che vanno in continente alla Brancati, pronti a spaccare tutto, ma che sappiamo pronti a accettare tutto una volta superati i diciannove anni.