LA VENEZIA DEI GIUSTI - TUTTO BENE DAL LIDO. MALGRADO UNA PARTENZA NON PROPRIO PERFETTA CON “COMANDANTE”, LE POLEMICHE INUTILI DI FAVINO E IL PROBLEMINO NON INDIFFERENTE DELLO SCIOPERO DEGLI ATTORI AMERICANI, LE SALE SONO PIENE. E I FILM STANNO PIACENDO MOLTISSIMO SOPRATTUTTO AI CRITICI INTERNAZIONALI - DI FRONTE ALLA COMPLESSITÀ DI COSTRUIRE UN FESTIVAL OGGI, FA UN PO’ RIDERE LA VOLONTÀ DEL NUOVO POTERUCCIO CULTURALE DELLA DESTRA, CIOÈ SANGIULIANO-BUTTAFUOCO E CHI PER LORO, DI CAMBIARE RADICALMENTE LE COSE...
-Marco Giusti per Dagospia
Tutto bene da Venezia. Malgrado una partenza non proprio perfetta con “Comandante” di Edoardo De Angelis, le polemiche inutili di Favino (se Adam Driver non può fare Ferrari tu non puoi fare il veneto) e il problemino non indifferente dello sciopero degli attori americani che ha sguarnito di star americane quasi totalmente il tappeto rosso facendone una sorta di succursale de “Il grande fratello”. Aridatace Zendaya. Ma le sale sono piene. Anche più dell’anno scorso. E i film, in generale, stanno piacendo moltissimo soprattutto ai sofisticati critici internazionali.
E’ piaciuto il complesso e quasi muto “Evil Does Not Exist” del premio Oscar giapponese Ryusuke Hamaguchi, musicato magistralmente da Eiko Ishibashi, che viene definito come “definitivo revenge movie” o “rural drama” dove è l’equilibrio tra la natura e l’uomo a vendicarsi. Sono piaciuti il biopic al femminile “Maestro” di Bradley Cooper e il Frankesntein femminista “Poor Things” di Yorgos Lanthimos, che rilanciano le stelle di Carey Mulligan e Emma Stone. Leggo che anche “Priscilla” di Sofia Coppola è molto piaciuto a tutti i giornalisti inglesi e americani che hanno ricoperto di lodi il film, la regista e perfino i protagonisti.
“Il suo film migliore dai tempi di Lost in Translation”, “Nel suo modo freddo e analitico, Coppola ruota attorno ai punti di svolta che vedono quanto Priscilla sia controllata dagli uomini della sua vita”. “Una unione impeccabile tra regista e soggetto”, “Elordi cattura il magnetismo e l’occasionale mostruosità della superstar senza farne la caricatura”. Credo che non sarà affatto facile per i tre presidenti di giuria, per una volta giovani, tutti trentenni, il Damien Chazelle di “La La Land”, i serissimi e impegnatissimi Alice Diop e Jonas Carpignano decidere quali film far vincere.
E ci attendiamo da loro, se non una vera e propria rivoluzione, di certo una qualche originalità nelle scelte che dovrebbero premiare i film più coraggiosi e innovativi. Al punto che un film italiano che ha lasciato perplessi i critici italiani, ma che è piaciuto molto a quelli inglesi e a gran parte di quelli americani, come “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo, potrebbe aspirare a qualche premio. E aspettiamo di capire se possa convincere i giovani giurati il viaggio della speranza dei protagonisti senegalesi del nuovo film di Matteo Garrone, “Io, capitano”.
Di fronte alla complessità di costruire un festival oggi, un festival come quello di Venezia o di Cannes, grande macchina di affari e di progetti che deve far convivere realtà, gusti, culture del tutto diverse, e un festival che ha dei riscontri internazionali clamorosi, fa un po’ ridere la volontà del nuovo poteruccio culturale della destra di governo, cioè Sangiuliano-Buttafuoco e chi per loro, di cambiare radicalmente le cose.
Non so chi abbiano in testa, ma è evidente che non si costruisce dal nulla un festival di questo tipo e anche a personalità come Marco Muller e Alberto Barbera, attuale direttore, ci sono voluti anni per costruire una squadra e un meccanismo funzionanti. Non vai a toccare senza far inutile casino un meccanismo così complesso che ha portato successi internazionali e muove un mondo così vasto.