LA VERSIONE DI MUGHINI – "MERLO E’ SICILIANO COME ME E SA CHE I PARTICOLARI CONTANO. ALTRO CHE SE È UN DETTAGLIO IL LEGGERE CHE SONO STATO “RADIATO” DALL’ALBO, COME HA PURTROPPO USATO LUI NEL SUO PEZZO. IL VERBO ‘RADIARE’ SOTTINTENDE UNA QUALCHE SOZZURA MORALE. E’ UNA COSA CHE MI BRUCIA, CHE MI OFFENDE. COSÌ COME MI OFFESE ALL’EPOCA IL SILENZIO DELLA GRANDISSIMA PARTE DEI MIEI COLLEGHI…"
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Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, Francesco Merlo ci tiene a precisare che una cosa sono le minacce di morte di cui è oggetto il suo amico Carlo Verdelli e una cosa ben diversa (nel senso di inferiore) è l’espulsione da un Ordine professionale come è stato il caso mio alcuni anni fa. Forse sì, o forse no o forse non completamente.
Il mondo dei social in cui sono espresse e reiterate le ignobili minacce a Verdelli è un mondo a sé, largamente irreale, una fogna a cielo aperto dove tutto è lecito, anzi più ignobile è e meglio è, e dove qualsiasi delinquente la fa franca. Puoi dire e fare quello che vuoi nel mondo dei tweet e dei post. Per fortuna è tutta roba che rimane lì, nel fango della fogna. Ogni tanto mi riferiscono del mare di ingiurie di cui sono bersaglio per avere espresso quella o quell’altra opinione. Non mi viene neppure minimamente la curiosità di andare a vedere di che si tratta. Lo sterco in cui ti imbatti quando vai per strada lo raschi via con un semplice movimento della suola delle scarpe. Lo sterco dei social.
Cosa diversa, umanamente e moralmente - te lo assicuro Francesco, per averlo provato sulla mia pelle - è l’entrare in una cameretta dov’è riunito il gran consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti, un’istituzione di cui ovviamente mi ero larghissimamente strafottuto per tutto il tempo del mio lavoro nei giornali, il vedere come mi guardavano quel gruppo di “colleghi”, gli occhi rosi dalla rivalità e dall’invidia, perché di questo e soltanto di questo si trattava. Non uno di loro aprì bocca, me lo sarei mangiato vivo.
Solo il loro capo mi chiese se mi avessero pagato per quello spot pubblicitario dove col sorriso sulla bocca dicevo bene di un telefonino, io che nella mia vita non ho mai scritto di telefonini e soprattutto non ho mai scritto una riga di cui non fossi orgoglioso, e io risposi “ci mancherebbe altro”, esattamente come quando ti ho detto della mia solidarietà a Verdelli. Ci mancherebbe altro che non mi avessero pagato, per uno spot in cui non era in questione un ette della mia quarantennale autonomia professionale da tutto e da tutti. Da tutto e da tutti. Un’autonomia pagata con non ricordo più quante dimissioni da vari giornali e con la più perfetta “non carriera” professionale.
Non mi dissero altro. Mi arrivò più tardi la comunicazione che ero “sospeso” dall’attività giornalistica. Quale attività giornalistica? A quel tempo, io me ne stavo a casa a scrivere articoli, un diritto che riposa nelle pagine della nostra Costituzione. Naturalmente continuai a farlo. Mi scrissero che non dovevo. Risposi che ero un “autore di qualità” e che non volevo avere niente a che fare con delle nullità come loro. Ci si misero in due a mandarmi la lettera in cui venivo “cancellato” dall’albo dei giornalisti. Su Wikipedia c’è scritto che io sono stato “radiato”, un verbo che sottintende una qualche sozzura morale. Una mia amica una volta me lo chiese, “Perché sei stato radiato?”, e aveva l’aria di pensare che qualcosa di losco lo avevo fatto.
Sei siciliano come me caro Francesco, e lo sai che i particolari contano, che i dettagli non si dimenticano. Altro che se è un dettaglio il leggere che sei stato “radiato”, e del resto anche tu hai purtroppo usato il termine “radiato” nel tuo pezzo. E’ una cosa che mi brucia, che mi offende. Che qualcuno da due soldi ti dicesse che non eri degno di stare nell’albo di coloro che scrivono sui giornali eccome se bruciava, se era offensivo. Non è una monnezza che sta sui social, è qualcosa che punga la tua pelle, forse la tua anima. Così come mi offese il silenzio della grandissima parte dei miei colleghi, e per quanto l’unico sentimento che io provi per la buona parte dei miei colleghi sia il disprezzo intellettuale.
Ps. Merlo scrive che sono arrivato “due minuti prima” di tutti gli altri nell’additare gli errori e gli orrori della mia generazione e che in quei due minuti me ne hanno fatti di tutti i colori. In realtà ci sono arrivato dieci o vent’anni prima e in dieci o vent’anni ne succedono di cotte e di crude. E poi c’è che non te lo perdonano di avere capito le cose vent’anni prima di loro.
GIAMPIERO MUGHINI