pierluigi battista mio padre era fascista
Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago, sono purtroppo più vecchio di oltre dieci anni di Pigi Battista. E dunque la storia straziante che lui racconta in questo suo ultimo libro (“Mio padre era fascista”, Mondadori), la storia del rapporto lungamente conflittuale tra un figlio zeppo dei “sinistrismi” degli anni Settanta (Pigi è nato nel 1955) e un padre (nato nel 1922) che era andato volontario nella Rsi e che fascista era rimasto per tutti gli anni del secondo dopoguerra sino alla sua morte, quella storia l’avevo vissuta a modo mio una decina d’anni prima.
Anche mio padre (nato nel 1899, toscano), era stato un fascista della prima ora. Nella Catania dove lui aveva conosciuto mia madre e dove io sono nato, nelle gerarchie fasciste papà era secondo solo al podestà. Quando a Firenze – dove ci eravamo trasferiti – arrivarono gli Alleati e i partigiani, mio padre rimase a lungo nascosto. Tornati a Catania, per tutta la vita lui tenne dietro il suo tavolo di lavoro una foto di Benito Mussolini.
Quando all’alba dei Sessanta mi inzuppai a mia volta di “sinistrismi” più o meno squinternati, lui mai mi rivolse una parola di critica o di sconcerto. Quando la rivista alla quale ho dedicato dieci anni della mia giovinezza, “Giovane critica”, non aveva di che pagare la tipografia, lui ne prese l’amministrazione e ne firmò i miei pagamenti. Ci misi meno tempo di quanto abbia fatto Pigi a considerare papà “mio padre” e basta, senza più altri aggettivi e connotazioni.
Che lui non avesse tre narici (da come l’antifascismo di maniera descriveva i fascisti) e che il suo stile di vita quotidiana fosse ai miei occhi quanto di più elegante, ci misi niente ad accorgermene. E del resto di tempo io e lui non ne avevamo molto a disposizione: è morto i primi giorni di febbraio del 1973. Quegli ultimi anni li ho passati ad adorarlo, adorarlo punto e basta. Che avesse indossato “la camicia nera”, me ne strafottevo. O meglio era tutt’altro discorso.
Giacalone Cisnetto Battista Mughini e Rizzo
Nei secondi anni Settanta ho conosciuto il poco più che ventenne (e precocissimo) Pigi. Sapevo di quel suo padre un tantino ingombrante. E vedevo che tra figlio (di sinistra) e padre (almirantiano al cento cento) non erano tutte rose e fiori. (Nel suo libro Pigi lo racconta in dettaglio, i litigi e le tensioni sull’uno o sull’altro libro, sull’uno o sull’altro personaggio, sull’uno o sull’altro “valore”, su tutto insomma).
Ben presto ho avvistato e poi conosciuto l’avvocato Vittorio Battista, ai miei occhi un borghese compiuto e delizioso. Sapevo che era stato l’avvocato a protezione della famiglia Mattei, la famiglia missina aggredita dalle fiamme accese da alcuni militanti (delinquenti) di “Potere operaio”, e ne morirono bruciati vivi due dei loro figli.
GIAMPIERO MUGHINI CON IL SUO CANE BIBI
Mai un attimo ho dubitato che l’attentato fosse opera dell’estrema sinistra e se qualcuno mi si fosse presentato a farmi firmare quel grottesco appello a difesa dell’innocenza degli imputati di cui parla Pigi, lo avrei preso a calci in culo.
Quando poi seppi che l’avvocato Battista era stato scelto come avvocato d’ufficio dell’ex brigatista rosso Valerio Morucci (che non conoscevo e che in seguito sarebbe divenuto mio amico) mi precipitai dal mio direttore all’ “Europeo”, Claudio Rinaldi, a chiedergli di poterlo intervistare. Mi piaceva moltissimo l’idea di uno che difende in punta di diritto ora la famiglia Mattei ora un terrorista “rosso”. In punta di diritto e di verità.
Andai dall’avvocato Battista, di cui mi piaceva anche il modo in cui respirava. Gli chiesi se quando incontrò per la prima volta – in cella – Morucci gli avesse stretto la mano. “Ci ho pensato un attimo primo di farlo. Poi sì, gliel’ho stretta” mi rispose. E in quella risposta c’era tutto intero l’avvocato Battista, c’era tutto intero tuo padre, Pigi. Tuo padre, non “tuo padre fascista”.
Dopo il 25 aprile 1945 non ci sono più fascisti e antifascisti, ci sono persone, ognuna con una sua storia, con un suo dolore, con una sua memoria, con un suo onore, con una sua lealtà, con una sua capacità piccola o grande di misurarsi con il diverso e con “l’altro”. Questa è la vita, questa deve essere la nostra vita. Delle etichette ideologiche, Pigi, mi ci pulisco le scarpe. Come del resto oggi fai anche tu. Grazie della dedica che hai messo nella copia che mi hai inviato.
Giampiero Mughini