VIAGGIO NELLA RIVOLUZIONE DELLA TECNO ITALIANA ANNI ’90 – DUE DOCUMENTARI, "RIVIERA CLUBBING" E "DISCO RUIN" RACCONTANO LA CULTURA DI UNA GENERAZIONE CHE RUPPE I LEGAMI MUSICALI CON IL PASSATO PER ESPLORARE NUOVI GENERI - LA DIFFUSIONE IN ITALIA SI DEVE ALLE "TRIBE" INGLESI, GRUPPI DI PERFORMER E DJ CHE SI TRASFERIRONO IN ITALIA PER FUGGIRE ALL'OSTRACISMO DELLE AUTORITÀ D’OLTREMANICA - MENTRE A NEW YORK LO STUDIO 54 CELEBRAVA IL DECENNIO DELLA DISCO, SULLA RIVIERA ROMAGNOLA CI SI SCATENAVA A RITMI DI HOUSE E TECHNO…
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Franco Giubilei per “la Stampa”
Trent' anni fa una generazione che aveva rotto i ponti musicali col passato si mise a ballare nelle fabbriche abbandonate dell'Inghilterra, ai ritmi ossessivo-ipnotici di derivati della house-music: trance, techno, jungle, in un variare di battiti al minuto che potevano, al parossismo della massima accelerazione immaginabile, diventare un muro di suono tale da stordire i ragazzi che si mettevano davanti agli amplificatori, a farsi investire dai watt.
Erano feste clandestine, pubblicizzate col passa-parola per sfuggire alla polizia, cui è dedicato il documentario inglese Free party: a folk history.
Anche in Italia si ricorda quella stagione, con due documentari, Riviera Clubbing - The movie, di Luca Santarelli, viaggio nel panorama dance a partire dalla Baia degli Angeli fino all' avvento della techno, e Disco Ruin, quarant' anni di club culture italiana, che sarà riproposto nei cinema. Per ricordare Claudio Coccoluto, principe italiano della console recentemente scomparso, la sera del 4 luglio l' Arena lido di Rimini ospiterà Tenera è la notte insieme alla proiezione di Disco Ruin. A differenza di quanto accaduto col rock, prog a parte, stavolta i selezionatori italiani seppero farsi largo sulla scena internazionale: Dj Ralf, Benny Benassi, lo stesso Coccoluto sono solo alcuni dei nostri dj che si fecero guru mondiali dei giradischi.
I documentari raccontano non tanto le feste nei capannoni, che pure non mancavano, ma piuttosto la cultura che aveva fatto invecchiare di colpo disco-music e dance Anni 80, sfogandosi nelle piste dei locali più sensibili a quanto si muoveva sotto il cielo dell' elettronica, oltre che nei centri sociali più attenti , come l' Isola del Cantiere e il Link a Bologna.
Interessante anche l' esperienza dei Sud Sound System, pugliesi, che in nome della stessa parola d' ordine che agitava i ragazzi inglesi, cioè la liberà di ballare in luoghi alternativi alle discoteche, animarono i primi rave nella loro terra portando l' impianto audio nei campi di tabacco o d' ulivo quando era solo il 1989 e il movimento era agli albori.
Pierfrancesco Pacoda, che ha dedicato al fenomeno i saggi Sulla rotta del rave e Riviera club culture, spiega come la diffusione in Italia si debba alle "tribe" inglesi, gruppi di performer e dj che davanti all' ostracismo delle autorità inglesi calarono in Italia: i Mutoid si stabilirono a Santarcangelo di Romagna, dove risiedono tuttora, gli Spiral tribe fecero un' incursione nella Sarajevo assediata con un grande rave party, prima di trasferirsi nel nostro Paese. «Qui da noi, prima ancora dei rave, va registrata la moda degli afterhour nei locali come Vae Victis e Diabolik - aggiunge Pacoda -, ma l' elettronica in realtà è approdata da noi grazie ai centri sociali».
Fra i locali che fecero la svolta c' è la Baia degli Angeli a Gabicce, un'ex palestra affacciata sul mare che dal 1975 si propose come un locale all' avanguardia dove, per la prima volta, le vere star erano i dj invece dei classici cantanti. E mentre a New York lo Studio 54 celebrava il decennio della disco, sulla Riviera romagnola si accendevano i riflettori su nuove mode e stili musicali.
Il Cocoricò, che ha festeggiato di recente trent' anni di vita, «si presentò per primo sulla scena techno italiana già nell' estate 1989», ricorda Davide Nicolò, fondatore e art director del "Cocco": «Fra l' 89 e il '92 andavo a Londra per rave party, che in Italia sono cominciati nel '94 - aggiunge Nicolò -, Noi al Cocoricò ci inventammo gli after-hour che si ispiravano proprio ai rave inglesi». Erano i tempi delle migrazioni del popolo della notte, quando le discoteche della Riviera si affollavano il venerdì e il sabato «per interminabili tempi supplementari fino al pomeriggio del giorno dopo», rovesciando poi sulle spiagge orde di ragazzi esausti che smaltivano stanchezza e sostanze sotto gli sguardi inquieti delle famigliole in vacanza.
«Sale, sale, e non fa male», scandivano in coro i ragazzi dalla pista alludendo all' ecstasy. La scena techno in questo senso aveva genitori illustri nei protagonisti degli Anni 60, da Woodstock ai concerti acidi dei Grateful Dead, quando il pubblico si strafaceva di marijuana e Lsd. Al netto di coloriture politiche presenti allora e assenti trent' anni più tardi, l' anima psichedelica era molto simile a quella della scena hippy, in uno spirito di pace universale favorito dall' effetto delle pastiglie.