ZELENSKY & AMADEUS: LA COPPIA STONATA DI SANREMO – ROMAGNOLI: “NON È QUASI IMMAGINABILE ZELENSKY AL FESTIVAL. E QUANDO AVRÀ CHIUSO IL COLLEGAMENTO, CHE ACCADRÀ? PARTIRÀ UN BELL'APPLAUSO? UNA STANDING OVATION CON I DIRIGENTI APICALI IN PIEDI NELLE PRIME FILE, MA QUELLI FILO-SALVINIANI UN PO' INGOBBITI PER NON FARSI INQUADRARE? POI, PERÒ, FATE CANTARE A GIANNI MORANDI UNA DELLE SUE CANZONI CONTRO LA GUERRA”
-Estratto dell’articolo di Gabriele Romagnoli per “la Stampa”
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Ma se dico che eviterei Zelensky a Sanremo allora sto con Di Battista e, dietro il paravento delle sue battute, perfino con Salvini? L'ortodossia è un malanno. Induce a chiedersi cosa pensano altri prima di chiederlo a sé stessi. A considerare un peccato o un errore essere in disaccordo con il leader del partito per cui si è votato, lo scrittore preferito, il datore di lavoro.
Una tantum chiunque può sbagliare e, analogamente, chiunque altro avere ragione. Il secondo dubbio è: ma allora vuol dire che sto con Putin? E' ormai divenuta una clausola di garanzia affermare: «In questa storia c'è un aggressore e un aggredito e non ci si può mettere dalla parte dell'aggressore». Ripeterla è come riaffermare ogni mattina che la terra è rotonda e gira intorno al sole, ma per quanto assurdo possa sembrare c'è ancora qualcuno da convincere. Quindi: Zelensky è l'aggredito. Ma non è anche altre cose. Non è, non più, Davide contro Golia. Non è Mandela. Non ha o non propone un piano b al di fuori dell'esito del conflitto.
La domanda allora diventa: noi pensiamo che abbia ragione o siamo suoi alleati?
Esiste una differenza non sottile tra le due cose. Da un certo punto in avanti le ipocrisie del linguaggio non evitano le conseguenze nella realtà.
Amadeus non è l'ambasciatore che consegna la dichiarazione di guerra a Lavrov, ma intervistare Lavrov su una rete privata era più discutibile, eppure più innocuo. Assad, un pigro sterminatore del proprio e altrui popolo, per lo meno fu inserito in una cornice giornalistica.
Il festival e il suo contesto televisivo sono sempre stati ecumenici, fino alla noia. Un po' come i concorsi delle miss che alla domanda: «Qual è il tuo sogno più grande?». Rispondevano: «La pace nel mondo». E noi che cosa vogliamo: la cessazione delle ostilità o un'umiliante sconfitta per il despota di Mosca, a cui ne succeda magari uno peggiore?
Nei talk show le teorie pacifiste e chi le sostiene vengono spazzati via con arroganza da ospiti convertiti al risiko. Non è quasi immaginabile Zelensky al festival. E quando avrà chiuso il collegamento, che accadrà? Partirà un bell'applauso? Una standing ovation con i dirigenti apicali in piedi nelle prime file, ma quelli filo-salviniani un po' ingobbiti per non farsi inquadrare? Poi, però, fate cantare a Gianni Morandi una delle sue canzoni contro la guerra. Ci sono anche figli dell'Arbat, ragazzi come siamo stati noi, che amavano le Pussy Riot, ma sono finiti a fare la guerra nel Donbass e a casa non torneranno più.