C'ERA UNA VOLTA A… NEW YORK! - L'INCREDIBILE VITA DI IAN SCHRAGER, UNO DEI DUE FONDATORI DEL LEGGENDARIO STUDIO 54 INSIEME A STEVE RUBELL - I DUE GESTIRONO IL LOCALE ALL'APICE DELLA SUA POPOLARITÀ, DAL 1977 AL 1980, PRIMA DI ESSERE CONDANNATI A UN ANNO DI CARCERE PER EVASIONE FISCALE DOPO UNA RETATA DELLA POLIZIA - DOPO IL CARCERE SCHRAGER SI RINVENTÒ ALBERGATORE, CREANDO IL PRIMO BOUTIQUE HOTEL: "ALBERGHI E LOCALI NOTTURNI NON SONO POI TANTO DISSIMILI. ENTRAMBI…"
-Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni per “il Venerdì – la Repubblica”
Visionario e leggendario. Per Ian Schrager le iperboli non sono mai state risparmiate. E non potrebbe essere altrimenti visto che in 50 anni di carriera, l'imprenditore ha rivoluzionato l'arte dell'intrattenimento e dell'ospitalità. Quando lo raggiungiamo in videochiamata è nella sua New York, città a cui ha regalato notti memorabili con il nightclub Studio 54, la creazione più famosa.
A settantasei anni continua ad essere il profeta del trend in un settore, quello dell'hotellerie, in continua mutazione. È a lui che si deve l'affinamento della nozione di "boutique hotel", l'idea nata negli anni Ottanta di alberghi piccoli e dalla forte personalità, concettualmente opposti alle grandi catene. "Cool and stylish", figo e alla moda: le paroline magiche del Verbo di Schrager.
L'ultima avventura è il Public di Chrystie Street a sud est di Manhattan. «Ho sempre amato il Lower East Side, ha tanto potenziale. Ci sono persone che vivono lì da anni, non sarà mai completamente gentrificato. Non c'erano grandi alberghi, è stata una scelta insidiosa. Ho sempre pensato che se si costruisce qualcosa, la gente verrà».
E così è stato. Il Public è un hotel dal design ricercato, con due anime: di giorno spazio-lavoro, di sera tutta vita con bar e ristoranti. Il rooftop è elegantissimo, ma accessibile, a patto di pagare i cocktail qualche dollaro in più. Lo stesso vale per le camere (si parte dai 250 dollari a notte) perché, come recita lo slogan che ha scelto, il lusso è per tutti. «La nozione di lusso in guanti bianchi e bottoni d'oro oggi è irrilevante», ci spiega. «Si tratta di testa e cuore, non di portafogli. Dobbiamo trovare una nuova versione che non abbia nulla a che fare con la ricchezza».
PRENDERSI CURA
Dopo aver dettato il ritmo della notte newyorkese, per Schrager gli hotel sono stati «la progressione logica». Tra le fatiche recenti anche Edition, una partnership internazionale con Marriott che punta a hotel progettati per interpretare l'anima e la cultura delle città ospitanti. «Alberghi e locali notturni non sono poi tanto dissimili. Entrambi si prendono cura delle persone; negli hotel si dorme, nei locali non si dovrebbe, ma a volte si fa», scherza, ripensando alle tante albe spuntate su Studio 54. «L'unica cosa che distingue un club da un altro è la magia che sei in grado di creare. E questo è il mio approccio: anche se ho un letto da vendere, cerco la stessa esperienza emotiva».
PERFETTA ALCHIMIA
E di alchimie, Ian Schrager è maestro. Creò quella perfetta, dal nulla, tra aprile 1977 e febbraio 1980 al 254 di West 54th Street. L'intuizione fu di Schrager e di Steve Rubell, sbarbatelli di Brooklyn e amici dai tempi del college. I due osarono investire in un quartiere di Manhattan, Midtown, all'epoca falciato da tensioni sociali e razziali, criminalità, prostituzione.
Presero un vecchio studio televisivo e lo trasformarono in un locale ibrido, mai visto prima: Studio 54. Un allestimento spettacolare, con la drammaticità di un proscenio (le luci furono progettate da designer teatrali), il mistero di un club, l'energia di una discoteca. A cui si aggiungevano generose dosi di irriverenza, look scandalosi, sesso libero, fiumi di alcol e cocaina.
Schrager e Rubell ricodificarono la nightlife newyorkese. «Nella vita non ci sono molti posti in cui si può essere davvero chi si vuole. Questo senso di libertà assoluta fu il successo di Studio 54» riflette. «In sala avresti visto un giovane, gay, in jeans, senza maglietta, con baffi e cappello, ballare con una donna elegante in abito da gala e tiara. Completamente diversi, ma fantastici insieme».
A spintonarsi all'ingresso, in centinaia. Le star avevano uno speciale passe-partout per statuto, ma non bastava essere ricchi, potenti o famosi. La selezione, rigidissima, premiava originalità, creatività. Tutti avrebbero fatto carte false per una serata al night.
Anche solo per dare una sbirciatina e vedere magari Liza Minnelli cantare sul palco, Tennessee Williams al bancone del bar con Truman Capote; Andy Warhol chiacchierare con Bianca e Mick Jagger; e poi Elizabeth Taylor con Michael Jackson, Madonna, Cher, gli stilisti Halston e Calvin Klein, Elton John, Jacqueline Kennedy Onassis, Freddie Mercury. La serie A del tempo era tutta lì.
CROCE E DELIZIA
Gli stessi Rubell e Schrager diventarono vere rockstar. «Molti vogliono sapere cosa succedeva a Studio 54, io non lo racconterò mai» risponde ridendo. «La prima serata fu indimenticabile. Capimmo di aver creato qualcosa di nuovo, diverso da tutto». Le sontuose feste fecero storia. «La mia preferita era Halloween, l'unico momento dell'anno in cui chiunque poteva entrare, purché avesse un bel costume». La verità è che ogni sera era unica.
Ma lo sfavillio durò poco, le luci si spensero dopo meno di tre anni, con una retata della polizia di New York. Schrager e Rubell furono condannati a un anno di carcere per evasione fiscale. Il club passò nelle mani di Mark Fleischman (morto lo scorso luglio per eutanasia a 82 anni) e tirò poi fino al 1986. Dopo il rilascio, i due tornarono in pista. Aprirono il Palladium, nightclub d'avanguardia focalizzato sull'arte; sperimentarono l'hotellerie con il Morgans, prima, e poi con Royalton e Paramount, entrambi in collaborazione con l'archistar Philippe Starck. E poi il Delano a Miami e il Mondrian a West Hollywood.
Rubell morì per complicazioni legate all'Aids nel 1989, a 45 anni. Schrager, invece, continuò a fare i conti con l'onta della prigione, lavata solo nel 2017, grazie al "perdono" del presidente Barack Obama. «Studio 54 è stato anche una maledizione. Ero giovane, avevo 29 anni. Sono sempre stato un perfezionista implacabile, alla ricerca dello stesso livello di successo. Ogni particolare per me è questione di vita o di morte, non sai mai quello che farà la differenza».
Per lui è natuale fiutare prima di chiunque altro cosa sognerà la gente. «È fondamentale seguire i giovani. Quando vanno in un posto, la maggior parte delle volte è perché è economico, ma c'è sotto anche l'inizio dell'evoluzione». E questo rimane vero anche per New York, nonostante il caro vita ormai «tenda ad escludere i giovani. Ciò ha privato la città della diversità che è sempre stata il punto di partenza per la sua scintilla. C'è troppa ricchezza, troppi uomini degli hedge fund che dominano la scena».
Ma New York non è morta, «sta solo dormendo. Bisogna riconoscere poi che ci sono tante capitali mondiali che stanno giustamente prendendosi la scena. Tutto si evolve».
RICORDATEMI COME UN PICASSO
Ian Schrager ci racconta di vivere in questo periodo un momento di grande serenità, alle soglie degli ottant' anni. È in splendida forma, sempre sorridente durante l'ora di conversazione via Zoom. Nonostante successo e ricchezza, in ogni battuta dimostra di non aver perso il contatto con la base, con la gente a cui in fondo deve tutto. È la sua passione continuare a osservarla. «Mi interessa molto il modo in cui si sta restringendo la distinzione tra lavoro, svago e riposo. È sempre meno netta. Questi aspetti si fonderanno e gli hotel cambieranno per rispondere alle nuove esigenze».
Tanti imprenditori stanno investendo in nuove iniziative, ma lui non ha ancora delfini. «C'è sempre bisogno di un giovane con un'idea, che non ne imiti altre». Ci sono due tipi di influenze, ci dice, «i Matisse e i Picasso. Matisse ha ispirato molte generazioni, ha avuto un effetto profondo sulle future generazioni di artisti. Poi c'è Picasso, l'unico che ha potuto fare quello che ha fatto. Beh, io preferirei essere Picasso».