L'EUROPA DIMOSTRA CHE QUANDO VUOLE DARE RIFUGIO, LO SA FARE - LA MOBILITAZIONE IN TEMPI RECORD DELLA POLONIA CAPACI DI ACCOGLIERE OLTRE 2 MILIONI DI PROFUGHI DALL'UCRAINA IN SOLE 3 SETTIMANE - È SERVITA UNA MAXI OPERAZIONE ANTI-BUROCRAZIA E IL LAVORO INCESSANTE DI SINDACI, ASSOCIAZIONI UMANITARIE E VOLONTARI - MA PER MOLTI PROFUGHI LA POLONIA È SOLO UNO SCALO: "CI HANNO DETTO DI NON RIMANERE QUI PERCHE', PRIMA O POI, QUEL PAZZO ATTACCHERÀ ANCHE QUI"

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PROFUGHI UCRAINI IN POLONIA PROFUGHI UCRAINI IN POLONIA

Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”

 

Gliel'avessero detto un mese fa, loro stessi non ci avrebbero creduto. E invece oggi eccoli qui, i polacchi. Capaci di organizzarsi e accogliere in tre settimane due milioni di profughi ucraini, con Varsavia capofila che ne ha contati finora 445 mila, un improvviso 17% in più dei suoi abitanti abituali. Almeno 300 mila di loro, si stima, si fermeranno in città per un periodo indefinito e per tutti - più gli altri in arrivo - sono necessari i servizi essenziali: un alloggio, la possibilità di andare a scuola, di accedere al servizio sanitario nazionale, di muoversi con i trasporti pubblici...

 

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Questo vale per Varsavia come per Cracovia, per Lublino, per ód, per Breslavia... Senza precedenti Con una gigantesca operazione anti-burocrazia e il lavoro incessante di sindaci, associazioni umanitarie e volontari, il Paese finora ha retto un'ondata migratoria che non ha eguali in Europa. Per capirci: la decisione senza precedenti che prese nell'estate del 2015 la cancelliera tedesca Angela Merkel prevedeva di accogliere in Germania un milione e 200 mila richiedenti asilo in fuga dalla Siria.

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Qui non ci vorranno molti giorni per arrivare praticamente al doppio. «I nostri grazie per questo Paese non saranno mai abbastanza», dice Dasha Lapinskaya che assieme a sua madre Julia e al fratello Maxim arriva alla stazione Centrale di Varsavia da Odessa, dove ha lasciato il padre. «Sono sicura che la pensano come me anche loro», indica la lunghissima coda dalla quale è appena uscita. «Non dimenticheranno quest' accoglienza».

 

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Destinazione di Dasha e famiglia: Dusseldorf, dove c'è una sorella di Julia che li aspetta. «Va bene così», si intristisce lei, «ma ancora sono al viaggio di andata e già non vedo l'ora di tornare casa». L'arrivo in stazione La hall della stazione è affollata di gente dalle facce sfinite. Donne e bambini, soprattutto. Vengono da giorni e giorni di viaggio in autobus o in treni spesso costretti a soste lunghissime per evitare pericoli. Hanno impacchettato le loro vite nella prima borsa capitata a tiro e sono partiti per il confine.

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Molti sono arrivati ai varchi con un sacchetto di plastica fra le mani e un telefonino per chiamare mariti, fratelli, padri, figli rimasti a combattere. Una ragazza in fila davanti a un tavolino che offre biglietti e informazioni per chi vuole raggiungere la Spagna, ha appena sentito uno dei suoi amici che spara e cerca di rimanere vivo a Kiev. Che cosa le ha detto?, chiediamo. «Di non rimanere in Polonia perché non è sicura», risponde. «Prima o poi quel pazzo attaccherà anche qui».

 

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Il «pesel» ai rifugiati Ai bambini che giocano felici con un tizio vestito da Pluto e una ragazza nei panni di Minnie, la stazione deve sembrare un luna park. Ci sono i personaggi della Disney, giocattoli e dolcetti in regalo, montagne di vestiti e scarpe da scegliere, cioccolata e patatine fritte gratis. Una delle poche che sembra non divertirsi è la figlia di Veronika, donna di 34 anni che viene da Sumy ed è arrivata a Varsavia anche con sorella e nipote. «È tre giorni che non dormiamo», dice.

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E si raccomanda: «Niente cognome perché i miei colleghi non sanno che sono uscita dall'Ucraina. Sono in ferie». Non lo dice davanti alla figlia ma fa capire che la sta accompagnando e poi tornerà a casa. Anche lei ha viaggiato su una delle 300 corriere che fanno la spola fra le zone di confine e le stazioni. Veronika non si ferma in Polonia quindi non avrà il pesel, un codice che viene assegnato alla nascita a ogni polacco e che dà diritto ad accedere a vari servizi fra scuola e sanità.

 

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Un decreto ha stabilito di estendere il pesel ai rifugiati ucraini e in un giorno solo a Varsavia l'hanno avuto in 1.350. L'inserimento in classe La scuola per i profughi è il problema più grande. Nella capitale sono già inseriti 8.600 bambini. Ma non parlare il polacco è un ostacolo grave e vari sindaci hanno proposto al ministero dell'Istruzione le «classi zero» di accoglienza: un anno di formazione prima dell'inserimento vero e proprio nel sistema didattico nazionale.

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«Nessuno sa dire oggi quanto tempo questa gente rimarrà fuori dall'Ucraina», va al dunque la portavoce del sindaco di Varsavia, Monika Beuth-Lutyk. Quindi «dobbiamo prepararci ad aiutarli a lungo termine».

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