L'ITALIA HA ABBANDONATO I GIOVANI - NEGLI ULTIMI 10 ANNI QUASI MEZZO MILIONE DI UNDER-40 HANNO LASCIATO L’ITALIA PER LAVORARE O STUDIARE - IL MINISTRO DELL'ECONOMIA DANIELE FRANCO: “I GIOVANI EMIGRANO PERCHÉ NON LI VALORIZZIAMO, NON RIUSCIAMO A USARE PIENAMENTE I LORO TALENTI” – IN ITALIA UN GIOVANE SU DUE NELLA FASCIA TRA I 25 E I 29 ANNI È SENZA OCCUPAZIONE, IL DATO PIÙ ALTO IN EUROPA - DIMINUISCONO I LAUREATI E AUMENTANO GLI ABBANDONI SCOLASTICI...
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N. Car. - L. Mon per "la Stampa"
Annichiliti dai lunghi mesi di didattica a distanza, quelli che studiano. Vittime della crisi economica innescata dal Covid, quelli che lavorano. La pandemia non li ha colpiti nella salute, visto che la pericolosità del virus si riduce proporzionalmente all'età, ma di certo ha peggiorato le condizioni di vita dei giovani italiani.
Parliamo dei ragazzi e delle ragazze tra i 18 e i 35 anni, che nel nostro Paese sono poco più di 11 milioni. Quelli a cui bisogna chiedere «di impegnarsi, di non tirarsi indietro, di accettare il rischio, di mettersi in gioco», ha detto non più tardi di tre giorni fa il presidente Sergio Mattarella. Quelli che sempre più spesso, invece, se ne vanno all'estero.
«Nel 2019 sono 70 mila i giovani con meno di 40 anni che hanno lasciato il Paese. Negli ultimi dieci anni quasi mezzo milione di ragazze e ragazzi se n'è andato», ha ricordato il ministro dell'Economia, Daniele Franco, alla cerimonia di inaugurazione della nuova sede dell'Accademia della Guardia di Finanza a Bergamo.
«I giovani emigrano perché cresciamo poco - ha aggiunto - e questo succede anche perché non li valorizziamo, non riusciamo a usare pienamente le loro energie, i loro talenti. Tutto ciò si accentua nelle regioni meridionali». I numeri sono impietosi e tornano d'attualità proprio adesso, alla vigilia del varo della legge di bilancio e della riforma delle pensioni. «Da un quarto di secolo l'Italia cresce poco - ha sottolineato Franco -. Dal 2000 il Pil italiano è rimasto stagnante. Un giovane su due nella fascia tra i 25 e i 29 anni è senza occupazione, il dato più alto in Europa».
Cambiare passo rispetto a questa tendenza, osserva il ministro, è «il vero nodo della politica del nostro Paese. L'elemento nuovo è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, una leva importante per uscire da una situazione di stallo». Con i fondi europei si deve invertire il trend a partire dall'istruzione, in cui «l'Italia mostra risultati inadeguati per quantità e qualità».
Siamo un Paese in cui diminuiscono i laureati e aumentano gli abbandoni scolastici, il tasso di occupazione giovanile è sempre in calo e si infoltiscono, invece, le schiere dei cosiddetti Neet, quelli che non studiano e non lavorano. C'è un dato che li riassume tutti ed è contenuto nell'ultimo rapporto del Censis: la metà dei giovani italiani (il 50,3%) vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai loro genitori alla stessa età. Una generazione tradita.
Per la quale il timore di ritrovarsi, tra 40 o 50 anni, con una pensione sotto il livello della decenza viene dopo la preoccupazione per un presente carico di incertezze.
FRA GLI ULTIMI NELL'UE PER NUMERO DI LAUREE DUE MILIONI NON STUDIANO E NON LAVORANO
Tutto parte, inevitabilmente, dall'istruzione. E non parte bene, se è vero, come certificato dall'ultimo rapporto Invalsi, che quasi la metà degli studenti delle nostre scuole superiori, in particolare al Sud, non raggiunge la soglia minima di competenze in italiano e matematica. E che, secondo l'ultimo rapporto dell'Istat, sono sempre di più quelli che chiudono i libri prima del tempo: nel 2020 l'abbandono del percorso tra i 18 e i 24 anni ha riguardato il 13,1% degli studenti, per un totale di circa 543 mila persone, a fronte di una media europea del 9,9%.
Non stupisce, quindi, che solo il 27,8% dei ragazzi tra i 30 e i 34 anni siano laureati, contro il 40% della media dell'Unione europea: per capirci, peggio di noi c'è solo la Romania. Mentre siamo al primo posto per numero di giovani Neet (Not in Employment, Education or Training), quelli nel segmento tra i 15 e 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo, ma nemmeno lavorano: sono quasi uno su quattro.
Nel 2020 ne sono stati contati 2 milioni e 100mila, su un dato complessivo di poco meno di 10 milioni in tutta l'Ue. Del resto, il tasso di occupazione dei laureati, per quanto più basso della media degli altri Paesi europei, è ben superiore a quello dei diplomati. Ma con un divario ancora significativo tra uomini e donne: trova lavoro il 75,9% delle laureate a fronte dell'83,4% dei colleghi maschi.
IN NERO, PRECARI, VESSATI E PAGATI POCO IL MONDO DELLE AZIENDE UMILIA I RAGAZZI
Uno su due, nella fascia tra i 25 e i 29 anni, è disoccupato. È il dato più alto a livello europeo. Molti il lavoro nemmeno lo cercano, altri magari ce l'hanno, ma in nero. La crisi legata alla pandemia ha penalizzato soprattutto loro: ad esempio, dei 246 mila posti di lavoro bruciati nel settore alberghiero e della ristorazione, più della metà erano under 35, la maggior parte donne.
Nonostante nel 2021 si stia registrando una lenta ripresa dell'occupazione, a settembre, nella fascia 25-34 anni, l'Istat riferisce che rispetto a un anno fa gli occupati sono il 5,2% in meno e i disoccupati il 10,2% in più, mentre gli inattivi crescono del 2,6%. Il tasso di disoccupazione giovanile è stabilmente sopra il 30%.
Secondo un'indagine di pochi mesi fa, realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani con il supporto di Eures, nel curriculum di oltre la metà dei nostri under 35 ci sono esperienze di lavoro nero, contratti precari, ma anche vessazioni e molestie sul lavoro (denunciate da un giovane su 7).
Con stipendi mediamente bassi, in prevalenza sotto i 10 mila euro all'anno, più della metà deve rinunciare all'autonomia, abitando ancora con i propri genitori. La cosa peggiore è pensare di non riuscire a essere autonomi nemmeno da vecchi: quasi tre quarti degli intervistati sono convinti che l'importo del proprio assegno pensionistico non consentirà loro di vivere in modo dignitoso.
UNA PERDITA CONTINUA DI CAPITALE UMANO IL 6 PER CENTO CERCA FORTUNA FUORI DALL'ITALIA
Poi ci sono quelli che salutano e vanno all'estero a cercare maggior fortuna. Nel periodo dal 2008 al 2020, sempre fonte Istat, sono ufficialmente espatriati dall'Italia 355 mila giovani tra i 25 e i 34 anni (il 6% della popolazione di questa fascia d'età). Negli stessi anni hanno fatto il percorso inverso, rientrando nel nostro Paese, 96 mila ragazzi e ragazze.
Rapido calcolo: ne abbiamo persi 259 mila. Quasi un terzo dei partenti è laureato, gli altri hanno diploma superiore o licenza media. Allargando la platea fino ai 40 anni, arriviamo a quasi mezzo milione di giovani italiani che ha scelto di costruire altrove la propria vita. Portandosi via un po' della nostra ricchezza. Un'analisi basata sui dati Ocse relativi alla spesa pubblica, infatti, ha stimato che in Italia si investano 320 mila euro nei primi 25 anni di vita di un giovane, per la sua crescita e formazione.
In sostanza, in 12 anni abbiamo perso 83 miliardi di "investimenti", fornendo forza lavoro, spesso molto qualificata, ad altri Paesi, in particolare Gran Bretagna e Germania. Un «capitale umano» che non sappiamo sviluppare, per usare le parole di ieri del ministro dell'Economia, Daniele Franco, convinto che «avremo successo se sapremo creare prospettive di vita e di lavoro migliori per i nostri giovani». Per ora non sta succedendo.
SENZA SOLDI È DIFFICILE DIVENTARE ADULTI CI SI SPOSA POCO E I FIGLI SI FANNO A 32 ANNI
«La difficoltà maggiore oggi per un giovane è diventare un adulto», dice a La Stampa il professor Carlo Buzzi, sociologo dell'università di Trento e studioso del mondo giovanile. Sembra banale, ma è un passaggio decisivo, «perché è legato alla possibilità di essere autonomo, di avere un lavoro stabile per sopravvivere, altrimenti risulta più conveniente restare nella famiglia di origine».
Anche perché non si ritiene possibile costruirne una propria. Sotto i 35 anni ci si sposa meno e si fanno pochi figli, o comunque si fanno tardi. Nel 2020 il numero medio di figli per donna è stato 1,24, il livello più basso dal 2003, rispetto a una media europea dell'1,5. L'età media della mamma, alla nascita del primo figlio, è salita a quasi 32 anni: siamo al punto che la fecondità delle donne tra i 35 e i 39 anni è superiore a quella delle 25-29 enni.
Ormai si diventa genitori quando si sta abbandonando la categoria dei "giovani". La maggior parte degli under 35 che lascia la famiglia di origine va a vivere in affitto, «mentre lo Stato continua a prevedere varie forme di sostegno per l'acquisto di una casa - spiega Buzzi - bisogna incentivare e agevolare gli affitti, perché tanto i giovani si spostano, si trasferiscono per lavoro e di quello hanno bisogno».
Eppure la casa di proprietà resta un obiettivo concreto, visto che a settembre i mutui concessi agli under 36, complice la garanzia statale all'80%, sono stati il 43% del totale.