ANCHE A NATALE I CINESI FANNO SENTIRE LA PRESENZA – 71 AEREI DA GUERRA HANNO SVOLTO “ESERCITAZIONI DI ATTACCO” VOLANDO INTORNO A TAIWAN: SI TRATTA DEL RECORD DI INCURSIONI IN UN SOLO GIORNO NELLO “SPAZIO DI DIFESA E IDENTIFICAZIONE AEREA DELL’ISOLA. SI TRATTA UFFICIALMENTE DI UNA “RISPOSTA ALL’AUMENTO DELLE PROVOCAZIONI DEGLI STATI UNITI E DI TAIWAN”. CIOÈ AL BILANCIO MILITARE USA CHE PREVEDE UNA SPESA DI 10 MILIARDI PER DIFENDERE TAIPEI…
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Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”
È stata una missione chiara e minacciosa quella affidata ai piloti cinesi che hanno volato intorno a Taiwan per ventiquattro ore a stormi, tra l'alba del 25 e quella del 26 dicembre: «Hanno svolto esercitazioni di attacco», dice Pechino. Si è trattato di un'azione massiccia, che ha impiegato 71 aerei da guerra, per la maggioranza caccia.
L'aeronautica cinese così ha battuto il suo record di incursioni in un solo giorno nello «spazio di difesa e identificazione aerea» taiwanese; 47 dei suoi velivoli hanno anche superato la cosiddetta «linea mediana», demarcazione informale nello Stretto di Taiwan, che per decenni ha tenuto a distanza di sicurezza le unità militari di Pechino e Taipei. Varcare la «median line» è considerata una provocazione inequivocabile, perché a quel punto i jet si trovano in rotta diretta verso Taiwan e solo un contrordine immediato li può fermare.
Ma secondo il colonnello Shi Yi, portavoce delle forze cinesi, «la manovra è stata una risposta ferma all'aumento di collusione e provocazioni di Stati Uniti e Taiwan».
Provocatorio, secondo Pechino, è il bilancio militare degli Stati Uniti appena firmato dal presidente Joe Biden: prevede una spesa di 10 miliardi di dollari in cinque anni per la difesa dell'isola democratica.
Lo scorso agosto Xi Jinping aveva ordinato dieci giorni di grandi manovre aeronavali, subito dopo la visita della speaker della Camera americana Nancy Pelosi a Taipei. Con quella scusa le forze cinesi avevano inscenato una prova generale di blocco intorno all'isola. Poi di nuovo stasi, segnata da uno stillicidio di voli di aerei cinesi in piccole formazioni e dalle previsioni allarmate di alti ufficiali del Pentagono convinti che Pechino possa sfruttare la crisi aperta dai russi in Ucraina, che sottrae grandi risorse militari agli americani, per tentare un'impresa contro la cosiddetta «provincia ribelle» già nei prossimi mesi.
A novembre Biden e Xi si sono finalmente incontrati nel primo faccia a faccia dal 2020. Prima del vertice la Casa Bianca aveva posto come obiettivo il chiarimento sulle «linee rosse» da non varcare, per cercare di stabilizzare i rapporti tempestosi tra le due superpotenze. Xi ha tracciato la sua «prima linea rossa»: Taiwan. I due presidenti si sono attestati sulla vecchia posizione dell'ambiguità strategica: la stampa di Pechino ha sottolineato che Biden «non sostiene l'indipendenza dell'isola», senza citare il suo impegno a proteggere militarmente Taipei in caso di attacco.
Il presidente americano è uscito dal colloquio convinto che «non ci sono segnali d'invasione imminente». Però, al di là di quello che Xi può aver detto (o non detto) a Biden, bisogna guardare alle mosse preparatorie del leader cinese. Non c'è solo l'esibizione di forza delle ultime ore con i 71 jet. Tra i 24 uomini del suo nuovo Politburo, Xi ne ha inserito 15 con esperienza diretta della questione taiwanese, o come militari o come gestori politici delle relazioni nello Stretto. Uno di loro, nominato anche vicepresidente della Commissione militare centrale è il generale He Weidong, comandante del Teatro di Operazioni Orientale che costituisce la prima linea di fronte a Taiwan. E proprio il generale He Weidong ad agosto aveva diretto le grandi manovre che hanno simulato il blocco aeronavale dell'isola.