ASSAD, T’HANNO RIMASTO SOLO! – I RIBELLI SIRIANI, CAPEGGIATI DA ABU MOHAMMAD AL-JOLANI, SONO ARRIVATI ALLA PERIFERIA DI DAMASCO E HANNO ABBATTUTO UNA STATUA DI HAFEZ AL-ASSAD, PADRE DEL DITTATORE BASHAR AL-ASSAD – DEI GRANDI ALLEATI DEL REGIME SIRIANO, RUSSIA, IRAN E LE MILIZIE IRACHENE, NEMMENO L’OMBRA: MOSCA È IMPEGNATA IN UCRAINA, I PASDARAN SONO PRONTI A INVIARE ARMI, DRONI E UOMINI MA GLI SPOSTAMENTI SONO RESI DIFFICILI DALL’INTERDIZIONE DI ISRAELE - L'IRAQ SI SFILA: PER BAGHDAD LA GUERRA È UN “AFFARE INTERNO SIRIANO” – È L’INIZIO DELLA FINE PER LA DINASTIA ASSAD? - VIDEO
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HISTORIC: Hafez al-Assad statue toppled in Jaramana, just kilometers from Damascus. pic.twitter.com/P1zqNsetDW
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1. MEDIA, I RIBELLI ARRIVATI ALLA PERIFERIA DI DAMASCO
(ANSA) - Insorti siriani sono alla periferia di Damasco: lo riferiscono fonti locali nella capitale citate dai media panarabi. Le fonti affermano che le forze anti-governative si trovano nei quartieri meridionali di Sahnaya e Daraya.
2. PRESIDENZA SIRIANA, 'ASSAD È A DAMASCO'
(ANSA-AFP) - Bashar al-Assad "sta proseguendo il suo lavoro e i suoi doveri nazionali e costituzionali dalla capitale". Lo ha comunicato la presidenza siriana, respingendo così "le voci e le false notizie secondo cui il presidente Bashar al-Assad avrebbe lasciato Damasco". Nelle ultime ore erano emerse notizie su una sua possibile fuga all'estero.
"Alcuni media stranieri stanno diffondendo voci e notizie false sul presidente Bashar Assad che avrebbe lasciato Damasco", si legge nel comunicato. "La presidenza della Repubblica araba siriana smentisce tutte queste voci. Sono solo tentativi di fuorviare e influenzare lo Stato e la società della Siria", si aggiunge, puntualizzando che le attività e le situazioni legate al presidente Assad sono diffuse dalle piattaforme della Presidenza e dei media nazionali siriani.
3. ABBATTUTA STATUA DEL PADRE DI ASSAD ALLA PERIFERIA DI DAMASCO
(ANSA-AFP) - I manifestanti ostili al regime siriano hanno rovesciato una statua di Hafez al-Assad, padre dell'attuale presidente Bashar al-Assad, nel sobborgo di Jaramana a Damasco, una zona a maggioranza drusa e cristiana. Un testimone ha descritto "decine di manifestanti nella piazza principale di Jaramana", che hanno fatto cadere la sua statua. Un altro testimone ha riferito di aver visto la distruzione della statua. Un episodio che si era registrato già ieri nella città di Hama. I video pubblicati su Internet e verificati dall'AFP mostrano giovani che rovesciano la statua e cantano slogan anti-Assad.
3. TRUMP, 'USA NON DOVREBBERO FARSI COINVOLGERE IN SIRIA'
(ANSA) - Gli Stati Uniti "non dovrebbero farsi coinvolgere" nella guerra in Siria. Lo ha detto il presidente eletto Donald Trump da Parigi, dove staserà parteciperà alla cerimonia di riapertura di Notre-Dame. "La Siria è un disastro, ma non è nostra amica, e gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra lotta. Lasciamo che la situazione si sviluppi. Non lasciamoci coinvolgere", ha aggiunto sul suo social Truth.
4. L’INVESTIMENTO FALLITO DI PUTIN LE RISTRETTEZZE DEGLI AYATOLLAH
Estratto dell’articolo di Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
La Siria si decompone in cantoni e il suo principale protettore, Vladimir Putin, va in Bielorussia per firmare un nuovo accordo. Una posizione di apparente distacco dalla crisi siriana rafforzata da indiscrezioni anonime di fonti russe affidate al sito Bloomberg: «Non possiamo fare di più fintanto che l’esercito di Assad abbandona le posizioni». Il messaggio, smentibile in qualsiasi istante, è chiaro. La Russia ha opzioni limitate se la situazione sul terreno continua a peggiorare, con ripiegamenti disordinati, località perdute quasi senza combattere.
[…] Si è speculato sulla mobilitazione di elementi della ex Wagner presenti in Africa ma anche in questo quadrante la coperta è corta.
Il punto, però, è che il Cremlino vede disfarsi l’investimento fatto nel Paese arabo, una missione che gli ha permesso di rilanciarsi alla grande in Medio Oriente. Tornando in forze, imponendo le proprie regole, aprendo numerose basi. Un sistema che ha funzionato anche se aveva il suo tallone d’Achille nell’inconsistenza del regime. […] Adesso c’è chi prevede minacce serie per le installazioni militari di Mosca mentre qualcuno arriva ad ipotizzare che venga sacrificato lo stesso Assad, con la sua partenza e un meccanismo di transizione.
Diverso l’atteggiamento del secondo sponsor del raìs, l’Iran. Almeno sul piano formale afferma che fornirà l’assistenza necessaria. I pasdaran sono pronti a inviare armi, droni e altri consiglieri con alcuni team già arrivati, forse dal Libano o dall’Iraq, anche se gli spostamenti sono resi difficili dall’interdizione condotta da un lato da Israele, con un nuovo strike su un deposito di armi chimiche, e a Nord Est dall’azione dei curdi SDF, che hanno ora in mano lo snodo di Albukamal, punto di passaggio alla frontiera irachena usato dalle milizie sciite per far affluire materiale.
[…] La posta è alta per gli ayatollah che hanno usato la Siria come perno per l’Asse della Resistenza e del cosiddetto cerchio di fuoco attorno a Israele. I margini di manovra restano comunque angusti. Alcune milizie irachene si sono offerte di andare in soccorso ma altre hanno frenato mentre il governo di Baghdad ha sottolineato che la guerra è un affare interno siriano. È calato il supporto dell’Hezbollah decimato dagli attacchi israeliani. […]
Per gli israeliani i guai del trio Russia-Iran-Siria sono un punto a favore perché destabilizzano l’arco nemico, ma non vogliono neppure vedere il trionfo dei ribelli. Avvertenza: le posizioni in questa crisi cambiano rapidamente.
5. LA SIRIA RISCHIA DI SPACCARSI SOTTO IL CROLLO IMPROVVISO DELLA DINASTIA DEI DITTATORI
https://www.repubblica.it/esteri/2024/12/07/news/siria_scenario_guerra_ucraina_russia-423833773/
Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per “la Repubblica”
Il vuoto di potere che si sta aprendo a Damasco rischia di spalancare un baratro che potrebbe inghiottire la Siria e destabilizzare l’intera regione, dal Mediterraneo all’Iran. Nessuno aveva previsto che la dittatura del clan Assad si sgretolasse in una settimana e adesso nessuno sa come gestire la situazione. […]
La sorprendente offensiva della coalizione sunnita forgiata dall’ex capo qaedista Abu Mohammad al-Jolani ha messo a nudo la fragilità di un regime che da anni aveva affidato la sua difesa ai miliziani di Hezbollah, ai gruppi sciiti filo-iraniani e all’armata russa. I bombardamenti israeliani e il conflitto ucraino hanno lasciato tutto in mano un esercito governativo inetto e demotivato, comandato da boiardi abili nelle trame di palazzo e nei traffici ma incapaci di qualsiasi iniziativa militare.
Lo specchio del declino della dinastia Assad, fondata dal padre Hafez […] Bashar, specialista di oftalmologia con studi a Londra, lo aveva sostituito nel 2000 senza avere mai mostrato doti di leader: il successore designato era il fratello maggiore, morto in un incidente, e lui si è circondato di una corte di affaristi corrotti senza cogliere il cambiamento dei tempi. La primavera araba lo ha spiazzato e quando è mutata in jihad con la comparsa dell’Isis è sembrato a un passo dal perdere tutto.
Russi e iraniani lo hanno salvato. Adesso Mosca ha scagliato senza sosta i suoi aerei contro i ribelli ma il contingente rimasto in Siria è troppo piccolo per essere determinante. Teheran ha cercato invano di mobilitare le milizie sciite irachene, trovando le strade sbarrate dai curdi sostenuti dai caccia americani, e anche le pressioni per trascinare Bagdad nel calderone siriano sono state respinte.
Ora Homs è praticamente circondata dalle forze sunnite, che hanno aggirato gli ultimi capisaldi della dittatura per lanciare colonne di camionette in direzione della capitale. Questa mossa ha tagliato fuori Damasco dalla regione costiera di Latakia, cuore della minoranza alawita da cui provengono la famiglia Assad e i quadri del regime.
È la premessa a quella che potrebbe rapidamente diventare una cantonizzazione della Siria, spaccata in feudi tribali e confessionali senza confini definiti ma con tanto odio accumulato in tredici anni di lotte feroci.
Lo si vede anche da ciò che sta accadendo a sud, a ridosso del confine giordano e a poca distanza da quello israeliano. La cittadina di Daraa è insorta ed è stata occupata da bande locali di drusi e di veterani jihadisti sunniti. Anche i curdi delle Syrian Democratic Forces stanno correndo a rimpiazzare i soldati in fuga nell’area di Raqqa e in quella strategica di Deir ez-Zor, che domina l’arteria principale verso l’Iraq: possono contare sull’appoggio dell’aviazione americana per tenere a distanza le schiere sciite.
Allo stesso tempo i battaglioni del Syrian National Army fedeli ad Ankara attaccano i curdi nella fascia sul confine e li spingono verso sud: non è escluso che pure i tank turchi possano intervenire. Decine di migliaia di curdi stanno scappando nel timore di una nuova pulizia etnica, l’ennesima in una terra martoriata dove ci sono stati già mezzo milioni di morti e quasi dieci milioni di profughi.
La Turchia può apparire come il grande vincitore della partita, perché è stata lo sponsor della coalizione formata da tredici fazioni sunnite, arroccate a Idlib dopo essere state battute dal regime e fino al 2019 impegnate a sparare l’una contro l’altra. Si sono trasformate in una forza combattente di 60 mila uomini disciplinata e innovativa, che usa i droni come gli ucraini e le autobombe come l’Isis. […]
La loro carica trionfale verso Damasco inevitabilmente rilancia tra tutti gli estremisti sunniti del Medio Oriente il richiamo alla guerra santa spento nel 2018 con la dissoluzione dello Stato Islamico: uno spettro che spaventa i Paesi vicini assai più di Bashar al Assad, perché ha già dimostrato di non conoscere frontiere.