AL BECCIU NON C’È MAI FINE – IL TRIBUNALE VATICANO PUBBLICA LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA CONDANNATO IL CARDINALE PER PECULATO: “L’USO ILLECITO DEI FONDI DELLA SANTA SEDE C’È STATO ANCHE SE NON C’ERA FINALITÀ DI LUCRO” – “I RAPPORTI TRA BECCIU E CECILIA MAROGNA ERANO DEL TUTTO AMICHEVOLI, SE NON DI VERA E PROPRIA FAMILIARITÀ, ANCHE DOPO CHE EGLI HA SAPUTO CHE AVEVA SPESO I SOLDI DELLA SEGRETERIA DI STATO PER SCOPI VOLUTTUARI…”
-TRIBUNALE S.SEDE, DA BECCIU USO ILLECITO ANCHE SENZA LUCRO
(ANSA) - L'uso illecito di fondi della Santa Sede da parte del cardinale Angelo Becciu c'è stato anche se non c'era "finalità di lucro". E' quanto si legge nelle motivazioni della sentenza (819 depositate dal Tribunale vaticano).
"La responsabilità di quest'ultimo non può essere messa in discussione neppure in ragione di un ulteriore argomento che egli ha invece inteso valorizzare in più circostanze: la rivendicata assenza di utilità in capo a Becciu.
L'argomento può forse avere una sua rilevanza in una dimensione metaprocessuale (tanto da aver trovato risalto anche sul piano mediatico), ma sotto il profilo squisitamente giuridico (che è l'unico scrutinabile in questa sede) perde del tutto significato" perché "la finalità di lucro è del tutto estranea alla fattispecie di peculato prevista dall'ordinamento vaticano".
CASO BECCIU: MOTIVAZIONI SENTENZA, CON MAROGNA RAPPORTI DEL TUTTO AMICHEVOLI
(LaPresse) - I rapporti tra il cardinale Becciu e Cecilia Marogna "erano del tutto amichevoli, se non di vera e propria familiarità, con la Marogna anche dopo che egli ha saputo che aveva speso i soldi della Segreteria di Stato per scopi personali e voluttuari e perfino dopo che, con la citazione a giudizio (1 ° luglio 2021) ed il conseguente deposito degli atti, egli aveva avuto la prova documentale di quelle spese".
Lo si legge nelle motivazioni della sentenza relativa al 'palazzo di Londra' depositate in Vaticano. Quello che rileva in questa sede è evidentemente il fatto che essi dimostrano che il Cardinale ha continuato ad avere rapporti del tutto amichevoli Anzi, i rapporti sono continuati inalterati anche dopo che la Marogna, nell'intervista televisiva a Report, aveva affermato che il Cardinale le chiedeva di fare "dossieraggio sulla vita di alti prelati". Di fronte ad una accusa di tale gravità, l'imputato si preoccupa solo di avvisare la Marogna che 'mi spiace ma sono costretto a smentirti pubblicamente'", si legge ancora nella sentenza.
CASO BECCIU: MOTIVAZIONI, LUI PROPOSE L'OPERAZIONE ANGOLA
(AGI) - Nel corso del processo per il caso della compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra il cardinal Angelo Becciu ha riconosciuto "di essere stato lui a proporre all'Ufficio l'Operazione Angola in base alla sua pregressa conoscenza ed amicizia con l'imprenditore Mosquito", l'operazione cioe' che ha dato il via alla vicenda.
Lo si legge nelle motivazioni della sentenza che ha chiuso il processo contro il porporato ed una serie di altre persone, fisiche e giuridiche. Lo stesso cardinale ha riconosciuto che "non c'era mai stato prima l'affidamento di una somma cosi' ingente ad un solo soggetto".
Nella sentenza si osserva anche che non "poteva certo sfuggire ad una persona dall'esperienza e delle capacita' riconosciute all'allora Sostituto Becciu" chi fosse Raffaele Mincione, una delle figure principali della faccenda, sia per informazioni di stampa, sia per le notizie raccolte dalla Gendarmeria vaticana che aveva sconsigliato di mettersi in affari con lui.
"Resta poi inspiegabile il fatto che nessuno dei pubblici ufficiali coinvolti in questa grave vicenda abbia almeno tentato, una volta chiusa definitivamente l'operazione Falcon Oil, di chiudere il rapporto con Mincione 'uscendo' dal Fondo GOF". Sempre per quanto riguarda Becciu, "a nulla rileva che egli non abbia inteso agire con finalita' di lucro, ne' che non abbia conseguito alcun vantaggio".
Le normative vigenti richiedono infatti una amministrazione "prudente, volta innanzitutto alla conservazione del patrimonio, anche quando cerca di accrescerlo, valutando le occasioni di guadagno pur se parametrate ad una eventuale e comunque contenuta possibilita' di perdita.
"Alla stregua di questi parametri", si legge ancora nelle motivazioni, l'investimento nel fondo gestito da Raffaele Mincione "costituisce certamente un 'uso illecito' di quei beni pubblici ecclesiastici di cui l'allora Sostituto Becciu aveva la disponibilita' in ragione del suo ufficio e dei quali ben conosceva la natura e, conseguentemente, i correlati limiti legali di impiego".
La sentenza emanata nel dicembre 2023, al termine di 86 udienze di dibattimento, ha condannato quasi tutti gli imputati per alcuni reati assolvendoli per altri: il cardinale Giovanni Angelo Becciu e Raffaele Mincione erano stati riconosciuti colpevoli di peculato; Enrico Crasso per il reato di autoriciclaggio; Gianluigi Torzi e Nicola Squillace per truffa aggravata e Torzi anche per estorsione in concorso con Fabrizio Tirabassi, lo stesso Tirabassi per autoriciclaggio.
Becciu e Cecilia Marogna erano stati ritenuti colpevoli di truffa aggravata. Le motivazioni rispondono anche alle accuse, mosse piu' volte nel corso del dibattimento, secondo le quali le modalita' di svolgimento del processo non rispondevano a criteri di equita'. "Nella convinzione che il contraddittorio tra le parti e' il metodo migliore per raggiungere la verita' processuale ed anche, per quanto possibile, per cercare di avvicinarsi alla verita' senza aggettivi, ha sempre cercato, sfruttando al massimo gli spazi lasciati all'interprete dal quadro normativo vigente, di adottare interpretazioni e prassi operative che garantissero l'effettivita' del contraddittorio, assicurando il piu' ampio spazio alle parti, e in specie alle Difese", si sottolinea.
Viene inoltre ribadita la legittimita' della decisione del Promotore di Giustizia di non depositare tutti i messaggi whatsapp a sua disposizione in quanto connessi ad altre ipotesi di reato e ad altri filoni di indagine. Precisazione anche sulla natura del reato di peculato. La stessa Corte di Cassazione italiana, si ribadisce, lo individua nel caso in cui il pubblico amministratore "invece di investire per le finalita' cui erano destinate le risorse finanziarie di cui ha la disponibilita', le impiega per acquistare, in violazione di norme di legge e di statuto, quote di fondi speculativi".
Dunque il fatto che vi non vi sia stato un interesse personale e diretto da parte di chi ha autorizzato l'azzardo di investire una somma enorme in un fondo altamente speculativo, il reato permane. Il Tribunale inoltre ritiene di fatto poco attendibile monsignor Alberto Perlasca, indicato talvolta come un testimone chiave, definendo le sue dichiarazioni "prive di autonoma rilevanza probatoria ai fini del presente giudizio", e ha fondato la propria decisione "solo ed esclusivamente su quei fatti che hanno raggiunto dignita' di prova".