CHE BELLA GENTE FREQUENTAVA LA PRINCIPESSA DIANA – ORA CHE È ESPLOSO IL BUBBONE DELLE MOLESTIE SESSUALI DI MOHAMED AL FAYED, EMERGE UN ALTRO DATO AGGHIACCIANTE - HENRY PORTER, ALL’EPOCA DIRETTORE DI “VANITY FAIR”, SAPEVA CHE GLI UFFICI DI HARRODS ERANO PIENI ZEPPI DI TELECAMERE E MICROSPIE E VOLEVA AVVERTIRE LA PRINCIPESSA: “TEMEVO CHE AL FAYED AVREBBE USATO IMMAGINI PRIVATE CONTRO DI LEI. SO CHE DIANA VENNE ALLERTATA DIVERSE VOLTE MA NON SONO SICURO CHE VOLESSE SENTIRE LA VERITÀ”. ANCHE A BUCKINGHAM PALACE CONOSCEVANO L'ANDAZZO MA HANNO PREFERITO TACERE…
Estratto dell'articolo di Paola Di Carolis per www.corriere.it/sette
L’estate in cui la principessa Diana si recò a Saint Tropez con i figli William e Harry e successivamente a Parigi con Dodi, Mohamed Al Fayed era impegnato su altri fronti. I suoi legali stavano preparando una causa contro Vanity Fair. La rivista aveva rivelato ‘’il razzismo, la discriminazione e gli abusi sessuali’’ del proprietario dei grandi magazzini di Harrods. Il materiale utilizzato per l’articolo non era che la punta dell’iceberg e il caso non arrivò mai in tribunale. Nell’agosto del 1997 Dodi e Diana morirono insieme a Parigi e la causa venne accantonata. Il comportamento del ricchissimo imprenditore egiziano era, comunque, già noto, non solo da Harrods ma anche a Buckingham Palace. […]
Come Al Fayed – morto il 30 agosto del 2023 all’età di 94 anni – sia riuscito ad evitare che le molestie e gli stupri cui sottopose le sue dipendenti non venissero propriamente alla luce e rimanessero per tre decadi una verità nascosta è la dimostrazione del suo potere e del clima di paura e terrore che coltivava attorno a sé.
Un documentario della Bbc andato in onda il 19 settembre – Al Fayed: predatore ad Harrods – ha portato la vicenda all’attenzione di un pubblico internazionale ed evidenziato le dimensioni del problema. Le vittime interpellate per il programma erano 20: negli ultimi giorni si sono fatte avanti 150 donne.
Il gruppo Justice for Harrods Survivors, Giustizia per le superstiti di Harrods, sta preparando un procedimento legale contro i lussuosi magazzini di Knightsbridge, nel 2010 acquistati dalla famiglia reale del Qatar. «Non è possibile, secondo noi, che l’organizzazione non sapesse del comportamento di quest’uomo», ha sottolineato l’avvocato Dean Armstrong. «Ogni impresa ha il dovere di salvaguardare i propri dipendenti».
[…] Le vittime erano giovani (Ellie ed Alice erano poco più che bambine, avevano rispettivamente 15 e 16 anni). Avevano scarsa esperienza professionale e di vita, pochi soldi in tasca e nella maggior parte dei casi erano prive di famiglie unite alle spalle.
Erano ‘’belle, bionde, snelle’’ e credevano che Harrods rappresentasse un trampolino di lancio verso una carriera nella moda, nell’imprenditoria o nel cinema. Ognuna di loro era scelta personalmente da Al Fayed e collocata nel suo ufficio.
Dopo aver cominciato a lavorare, venivano spesso invitate a recarsi da un’equipe di medici chiaramente al servizio di Al Fayed. […] verifiche ginecologiche e sanguigne. I risultati venivano spediti ad Al Fayed prima ancora che alle dirette interessate
[…]
Inizialmente Al Fayed si mostrava amico e disponibile. […] A Cheska, che sognava di fare l’attrice, fece leggere un copione del figlio Dodi, chiedendole a quale parte sarebbe stata interessata. A Rachel promise un futuro nella moda. Le molestie cominciavano lentamente. Un bacio sulla guancia in cambio di una gentilezza, un abbraccio, una mano sul ginocchio. A chi lavorava tardi la sera, Al Fayed offriva una camera in uno dei suoi appartamenti a Park Lane, in pieno centro. C’erano inviti nella sua casa di campagna, dove l’imprenditore abitava con la moglie e i figli, e viaggi all’estero […] Dietro porte che solo Al Fayed, e non le vittime, poteva chiudere a chiave, gli abusi. I palpeggiamenti, e in alcuni casi – cinque – lo stupro.
[…] «Mi buttò sul letto immobilizzandomi, ero terrorizzata», ha raccontato Rachel. «Ricordo benissimo la sensazione del suo corpo sul mio. Poi con la mente vai altrove, non vuoi ricordare. Dai la colpa a te stessa, ti senti umiliata, diminuita». Chi non si prestava, veniva minacciato: «Sappiamo dove abiti», oppure «a Londra non lavorerai mai più, non ti assumerà nessuno». «C’erano telecamere segrete e microfoni ovunque», ricorda Tamara. «Tra di noi non parlavamo perché avevamo paura di essere scoperte. Guardavamo con il cuore pesante la giovane di turno che entrava nel suo ufficio».