BENVENUTI AL SUD (WORKING) - PANDEMIA E LOCKDOWN HANNO SPINTO GLI "ESULI" MERIDIONALI A TORNARE NEL MEZZOGIORNO E LAVORARE LÌ DA REMOTO: PER MOLTI SONO MIGLIORATI QUALITÀ DELLA VITA, POTERE DI ACQUISTO, SAUTE E TEMPO LIBERO - ANCHE DOPO IL COVID LA PROSPETTIVA PUÒ CAMBIARE PER SEMPRE? SI VA VERSO UNA SOLUZIONE IBRIDA: CHI VORRÀ RESTARE A DISTANZA DOVRÀ PROGRAMMARE VIAGGI PERIODICI VERSO LA SEDE AZIENDALE, ALMENO UNA VOLTA AL MESE E...
-Daniela Uva per “il Giornale”
L'Italia è il Paese del north working. Con migliaia di professionisti, quasi sempre di alto livello, costretti ogni anno ad abbandonare i propri luoghi di origine perché il lavoro qualificato è concentrato soprattutto al Centro-Nord.
È un fenomeno antico, un modo di vivere diventato ormai ordinaria amministrazione. Una sorta di destino segnato per chi ambisca a una carriera soddisfacente, sia sotto il profilo professionale sia dal punto di vista economico. In questo paradigma cristallizzato si è inserita la pandemia.
Lockdown prima e zone rosse o arancioni poi hanno costretto molte aziende a spingere il lavoro da remoto che, per tanti di quegli «esuli» meridionali, si è tradotto in south working.
Ovvero lo smart working dal Mezzogiorno. L'Italia, da sempre fanalino di coda nello sviluppo di soluzioni agili, si è ritrovata in un meccanismo nuovo nel quale parte della forza lavoro è libera di operare da qualunque luogo desideri. E oggi si interroga sul futuro, perché in un mondo libero dal Covid la prospettiva dei dipendenti meridionali potrebbe cambiare.
Oggi sono circa 60 mila gli italiani in south working, mentre sono sette milioni quelli che potrebbero gestire la propria attività a distanza. Lo dimostra l'unico rapporto focalizzato su questo tema, redatto dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) nel 2020.
Chi ha deciso di lasciare le aree metropolitane del Centro-Nord per trasferirsi in luoghi considerati più ameni è convinto dei benefici: migliore qualità della vita e dei rapporti (75,7%), maggiore equilibrio tempo libero-lavoro (72,65%), maggiore potere di acquisto (72,4%), miglioramento dello stato di salute (66,8%).
Sono per lo più professionisti di alto livello, giovani, laureati e di origini meridionali. «Persone e imprese sembrano avere reciproca soddisfazione da questo fenomeno - conferma il direttore della Svimez, Luca Bianchi -. Le prime sono felici di ridurre il costo della vita e di avvicinarsi ai propri affetti, le seconde hanno capito che la qualità della vita dei propri dipendenti si traduce in un aumento della produttività».
Il Covid sta contribuendo insomma a introdurre un nuovo modello di crescita, non più fondato necessariamente sui grandi agglomerati urbani del Centro-Nord, ma su una distribuzione più equa della forza lavoro sul territorio.
«Questo può portare alla rinascita di borghi destinati allo spopolamento - prosegue Bianchi -. Perché chi li sceglie per lavorare a distanza li vive nel tempo libero, rivitalizzandone economia e società».
Ma perché questo meccanismo funzioni davvero occorre un impegno concreto. Sia da parte dello Stato sia da parte delle amministrazioni locali.
Occorrono trasporti efficienti, servizi all'altezza, connessioni veloci, spazi nei quali i professionisti agili possano lavorare insieme. «Le aziende chiedono sgravi fiscali e facilitazioni sui costi per far rientrare periodicamente i lavoratori - dice Bianchi -. I dipendenti cercano invece asili nido, tempo pieno a scuola, offerte educative di buon livello, ospedali affidabili, banda larga e spazi per lavorare. Per questo abbiamo chiesto agli enti locali di investire sul co-working.
Ci stanno lavorando bene il Comune di Bari, quello di Brindisi e quello di Palermo. Non a caso Puglia e Sicilia sono le Regioni del Sud più gettonate». South working non può voler dire, però, isolamento completo. Nel post Covid a vincere saranno le soluzioni ibride, quelle che consentiranno più libertà ai dipendenti senza però pregiudicare completamente la vita di ufficio.
«Chi vorrà lavorare a distanza dovrà programmare viaggi periodici verso la sede aziendale, almeno una volta al mese - conferma Emilio Reyneri, docente di Sociologia dei processi economici all'Università Milano-Bicocca -. Ecco perché occorre sviluppare alta velocità e collegamenti aerei». Diversamente potrebbe essere pregiudicata la circolazione delle idee.
«Se si riuscisse a realizzare queste riforme sarebbe possibile assumere cervelli del Sud senza costringerli a emigrare, valorizzando al massimo i talenti - prosegue l'esperto -. Inoltre il meridione diventerebbe la base di start up specializzate nei servizi alle imprese: trattamento dei dati, creazione di pacchetti informatici, pubblicità, comunicazione. Attivando così processi di sviluppo virtuosi».
Sui quali Paesi come Spagna, Portogallo e Stati Uniti hanno puntato da tempo. Non tutti però sono convinti di questi benefici. C'è chi, al contrario, ritiene che la vita di impresa esista solo in presenza.
«Le aziende moderne creano valore quando affrontano problemi complessi. Il lavoro a distanza vanifica questo meccanismo». Non ha dubbi Rossella Cappetta, docente di Management e Tecnologia all'Università Bocconi.
«Le imprese non sono solo luoghi di lavoro, sono comunità educative e sociali - spiega -, ma per essere efficienti devono essere frequentate almeno tre giorni alla settimana. In un mix ideale fra lavoro agile e in presenza che non è compatibile con il south working».
Ma c'è di più: secondo l'esperta questo fenomeno nel lungo periodo potrebbe tradursi in un boomerang, a scapito del Sud. «Le Regioni meridionali si trasformerebbero in un dormitorio nel Nord, dimostrando che sui propri territori non è possibile fare impresa».