BERGOGLIO, RIMANDATO A SETTEMBRE - L’ATTACCO DE “LINKIESTA” AL PAPA: LA CHIESA È LA GRANDE ASSENTE DI QUESTA EMERGENZA GLOBALE. COMPORTAMENTI IRRESPONSABILI E PROVVEDIMENTI DA ACQUASANTIERA. DONAZIONI RISICATE, PASSEGGIATE POCO EDUCATIVE E TUTTO LASCIATO ALLA CREATIVITÀ DEI SACERDOTI, AL VOLONTARIATO E AI MEDICI DELLE STRUTTURE GESTITE DALLE CONGREGAZIONI RELIGIOSE…
-Francesco Lepore per https://www.linkiesta.it/
A peste, fame et bello libera nos, Domine. (Dalla peste, dalla carestia e dalla guerra liberaci, Signore). La triplice petizione a Cristo, parte delle Litanie dei Santi, rievoca subito alla mente le pubbliche processioni in occasione di calamità o delle Rogazioni, che ancora in contesti rurali vengono spesso effettuate in un latino storpiato ma pur sempre affascinante.
E una sorta di processione per invocare la fine della pandemia del coronavirus (che nel santuario palermitano di Santa Rosalia è definito "la nuova peste" nelle invocazioni alla Santuzza) è quella in solitaria fatta da Papa Francesco, domenica pomeriggio, verso le chiese romane di Santa Maria Maggiore e San Marcello al Corso. Per venerarvi rispettivamente l’icona della Salus Populi Romani e il Crocifisso denominato “Miracoloso”, perché scampato all’incendio del 23 maggio 1519 e poi portato in processione dal 4 al 20 agosto 1522 durante la cosiddetta Grande Peste romana.
Un atteggiamento quello di Bergoglio in piena conformità con le misure progressivamente adottate dal Governo per contenere la diffusione del contagio. Ma anche espressione di una regolata devozione come avrebbe detto Muratori. Che, quando non è tale, è all’origine di comportamenti irresponsabili. Come quelli tenuti da componenti del Cammino neocatecumenale che hanno partecipato, dal 28 febbraio al 1° marzo, a una tre giorni di ritiro presso il Kristall Palace Hotel di Atena Lucana (Sa) e hanno attinto dal medesimo calice durante le Messe come previsto nel loro Statuto.
Uno dei partecipanti, un 76enne di Bellizzi, è risultato positivo al Covid-19 ed è deceduto il 10 marzo. Positivi anche uno dei tre sacerdoti e alcuni fedeli presenti. Al momento risultano essere 16 i casi accertati tra Atena e i viciniori comuni di Sala Consilina (dove si è tenuto un altro ritiro il 4 marzo), Caggiano e Polla, cui, sempre domenica, è stato imposto il divieto di entrata e uscita dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
Non c’è bisogno di scomodare le pagine manzoniane sulla maggiore diffusione della peste a Milano nel 1630 già all’indomani della processione con le reliquie di San Carlo ordinata da un pur recalcitrante e dubbioso cardinale Federico Borromeo. Né quelle dei memorialisti partenopei sul numero esponenziale di contagi e decessi a Napoli nel 1656 a seguito di continue processioni e celebrazioni.
L’invito di Francesco a lasciare aperte le chiese per la preghiera personale, restando però vietata – al momento fino al 3 aprile – la celebrazione di Messe con i fedeli nonché di matrimoni e funerali come disposto dalla Cei, risponde alla volontà di trovare un equilibro tra esigenze spirituali e tutela della salute pubblica. D’altra parte i sacerdoti italiani continuano ad assicurare l’assistenza sacramentale a persone malate e anziane come anche a benedire i feretri nei cimiteri. Troppi soprattutto nelle zone di Cremona, Brescia e Bergamo, diocesi, quest’ultima, che sta registrando il numero più alto di preti deceduti o in gravi condizioni di salute.
E poi le innumerevoli iniziative (da quelle in rete al suono serotino delle campane) che hanno spinto ieri il Papa all’Angelus a parlare con gratitudine della «creatività dei sacerdoti. Tante notizie mi arrivano dalla Lombardia su questa creatività, è vero, la Lombardia è stata molto colpita. Sacerdoti che pensano mille modi di essere vicino al popolo, perché il popolo non si senta abbandonato, sacerdoti con lo zelo apostolico che hanno capito bene che in tempi di pandemia non si deve fare il “don Abbondio”».
Atti che però sono guardati criticamente da esponenti del mondo laico e di parte del cattolicesimo riformista sì da essere liquidati come provvedimenti da acquasantiera. Ma anche dalle falangi tradizionaliste e anti bergogliane. Risale a lunedì la nota dell’ex nunzio apostolico Carlo Maria Viganò (quello del famigerato dossier), che, invitando a spalancare «le porte delle nostre chiese perché i fedeli vi possano entrare, pentirsi dei loro peccati, partecipare al Santo Sacrificio della Messa», ha attaccato Papa e Cei colpevoli, a suo dire, di consegnare «il gregge alla caligine di dense tenebre».
A riprova della «tragica sudditanza della Chiesa nei confronti di uno Stato che si adopera e si prodiga in tutti i modi per distruggere l’identità cristiana della nostra Italia, asservendola a un’agenda ideologica, immorale, nemica dell’uomo e della famiglia, mondialista, malthusiana, abortista, migrazionista, che vuole la distruzione della Chiesa, e non certo il bene del nostro Paese».
È innegabile che così posta la questione sembra essere tutta interna alla Chiesa. Senza dimenticare che gli accennati interventi e disposizioni di Vaticano e Cei risultano essere comunque un po’ tardivi rispetto a quella che si profilava da tempo come emergenza nazionale e mondiale. E in ritardo, o almeno tale, appare l’azione concreta di Oltretevere e dell’episcopato italiano sul fronte assistenziale. Si è dovuto aspettare il 12 marzo (sei giorni fa) per sapere che Francesco aveva inviato centomila euro alla Caritas nazionale. Annuncio che l’indomani ha spinto la Cei a destinare 10 milioni di euro alle 220 Caritas diocesane e mezzo milione alla Fondazione Banco Alimentare onlus.
Il primo stanziamento finalizzato ad aiutare sui singoli territori famiglie già in situazioni di disagio: dall’acquisto di generi di prima necessità alla realizzazione di attività di ascolto destinate ad anziani soli e persone fragili fino al mantenimento dei servizi minimi per le persone in situazione di povertà estrema come il servizio da asporto dalle mense (che per ovvi motivi restano chiuse) o dormitori protetti. Il secondo finalizzato a dare ossigeno alle attività dei 21 banchi in tutta Italia a sostegno della 7.500 strutture caritative accreditate che sostengono circa un milione e mezzo di persone.
C’è da dire che il volontariato cattolico, connesso non solo a tali macrostrutture, si è dato da fare sin dalla prima ora soprattutto nel Nord Italia. E poi c’è l’aspetto non irrilevante di quanto si sta operando in ospedali e case di cure, gestiti soprattutto da congregazioni religiose maschili e femminili, sui quali ha cercato di fare chiarezza a Linkiesta il sacerdote camilliano Virginio Bebber, presidente dell’Associazione religiosa degli istituti socio-sanitari (Aris). Organismo, questo, costituito da 257 strutture sanitarie e socio-sanitarie non solo cattoliche ma anche di altre confessioni cristiane o religioni.
«Le cose sono andate per gradi – spiega padre Bebber –. I nostri ospedali, che sono strutture non profit ma inserite a pieno titolo nel servizio sanitario pubblico e che sono 12 nelle zone del Nord Italia particolarmente colpite, sono entrati subito nell’ottica della prevenzione e del contrasto al Covid-19. Poi ci sono altre realtà quali le case di cura, che si sono immediatamente attivate. A tal riguardo vorrei ricordare la Poliambulanza di Brescia, che aumenta ulteriormente la disponibilità dei posti letto per pazienti Covid-19 o con sintomatologia sospetta. Io stesso sono in prima linea a Cremona nella nostra Casa di cura San Camillo».
Il camilliano ricorda poi che «non appena il Governo ha chiesto aiuto e disponibilità, il 60% dei nostri medici si sono messi a disposizione in tutta Italia. Soprattutto in Lombardia, dove abbiamo 15.000 tra operatori sanitari e medici, nelle nostre cliniche sono rimasti solo quelli necessari a garantire il servizio di guardia. Ma gli altri si sono messi a disposizione partecipando ai turni nelle varie strutture ospedaliere statali. Nel frattempo si stanno attrezzando le nostre case di cura soprattutto a Roma, dove il picco dovrebbe registrarsi dalla settimana prossima in poi, con posti di ventilazione assistita. Bisogna poi ricordare l’impegno dell’Ospedale Israelitico, aderente all’Aris, che si è messo subito a disposizione dello Spallanzani, creando un polo esclusivamente d’infettivologia e mettendo così l’intera struttura a servizio dell’Istituto nazionale per le malattie infettive. Voglio infine ricordare che la somma destinata dalla Cei viene ripartita a favore delle Caritas – e non delle nostre strutture, come da alcuni si dice – per sovvenire alle necessità di senza tetto e indigenti. Opera che è svolta encomiabilmente anche da altre realtà come, ad esempio, la Sant’Egidio».
Intanto, anche a seguito delle richieste della Protezione civile, le diocesi iniziano a mettere disposizione le proprie strutture per ospitare persone o gruppi familiari che non possono vivere la quarantena nella propria casa. È quanto fatto, ad esempio, ieri da quella di Rimini in eventuale riferimento alla Casa di accoglienza di Montefiore Conca. Ed è quanto si appresta a fare l’arcidiocesi di Bologna come comunicato dal card. Matteo Zuppi al nostro giornale.
C’è poi chi come don Fabrizio Fiorentino, il sacerdote palermitano dell’Addaura da sempre impegnato per la tutela delle minoranze, si pone un interrogativo: «Abbiamo la possibilità di tornare all’essenziale: chiediamoci, dopo settimane di isolamento, che cosa mi manca di più? Scopriremo quanto tempo trascorrevamo inutilmente invece di impiegarlo per la crescita personale, per l’arricchimento interiore, culturale e spirituale. Intanto il pianeta ringrazia: le polveri sottili abbattute, lo spreco alimentare più che dimezzato, l’inquinamento acustico scomparso. Spero davvero che non torneremo come prima del Covid-19, perché un invisibile virus ci ha ricordato di essere più umani, più lenti, più solidali, più disponibili». Staremo a vedere.