BIG LUCIANO FOREVER - ASSEGNATA UNA STELLA A LUCIANO PAVAROTTI SULLA WALK OF FAME DI HOLLYWOOD - A DUE PASSI DAL DOLBY THEATER LA FIGLIA CRISTINA HA PARTECIPATO COMMOSSA ALLE CERIMONIA, “E’ UN BEL RICONOSCIMENTO, POPOLARE MA ANCHE PRESTIGIOSO” - MATTIOLI: “PAVAROTTI È FORSE L'ULTIMO GRANDE CANTANTE PER CUI IL MELODRAMMA NON ERA UN'OPERAZIONE CULTURALE O UNA MUSICA, MA ‘LA’ MUSICA. PER QUESTO GLI ANDAVA DEDICATA UNA STELLA. GLIEL'HANNO COMUNQUE DATA, E NE SIAMO FIERI PER LUI E PER NOI, CHE LE RAGIONI DELLA SUA GRANDEZZA LE CONOSCIAMO. QUELLE VERE, PERÒ...."
-1 - A PAVAROTTI LA STELLA SULLA WALK OF FAME
Matteo Ghidoni per “il Giornale”
«È un bel riconoscimento, popolare ma anche prestigioso, un riconoscimento adatto a lui». Cristina Pavarotti, seconda figlia di Big Luciano, commenta così la stella che è stata assegnata all'immortale tenore suo padre, sulla Walk of Fame di Hollywood, l'iconica strada californiana su cui sono ricordati i migliori artisti di sempre.
Ad accogliere il prestigioso riconoscimento postumo conferito dalla Camera di commercio di Hollywood c'erano lei e la figlia Caterina, l'unica nipote che Luciano Pavarotti ha conosciuto prima di mancare, nel 2007.
«Grazie a tutti voi che siete qui presenti oggi ha detto Cristina Pavarotti, commossa nel vedere il nome del padre inciso per sempre all'altezza del civico 7065 di Hollywood Boulevard, a due passi dal Dolby Theater, il teatro che ospita la notte degli Oscar - Se penso a mio padre, al valore e alla quantità delle cose realizzate, alle strade che ha aperto e alle tante emozioni date e ricevute, provo ancora oggi un senso di vertigine».
La stella invece è arrivata quindici anni dopo sua morte, a 71 anni.
Nessuna polemica però, anzi: «In questo caso è stata una cosa molto spontanea, ormai fuori dagli interessi delle major e delle etichette. Infatti mi sono sentita di collaborare proprio per questo, perché si è trattato di un gesto sincero di affetto per mio papà».
Cristina accanto alla stella ricorda i trionfi del padre: «Una delle ultime immagini che ho di mio padre è di lui prima di un recital, in camerino circondato da pastiglie per la gola e una distesa di umidificatori, completamente afono.
Lo vedo fare no con la testa al direttore del teatro che voleva annunciare la sua indisposizione. Perché, come gli avevo già sentito dire, si canta o non si canta, e non ci sono scuse. Cantò poi come un funambolo sul filo, meravigliosamente».
Ad accompagnare la Pavarotti durante la cerimonia c'era James Conlon, direttore musicale dell'Opera di Los Angeles, che negli anni ha avuto un lungo rapporto di collaborazione professionale e amicizia con l'artista modenese, che in carriera ha venduto oltre cento milioni di copie. «Questa stella riconosce i meriti di Luciano Pavarotti, non solo uno dei più grandi cantanti della sua epoca, se non dell'intero '900, ma uno dei maggiori personaggi pubblici della storia recente».
2 - UN PREMIO AL VALORE HOLLYOODIANO LA RAGIONE SBAGLIATA DI UNA SCELTA GIUSTA
Alberto Mattioli per “La Stampa”
Bene, bene, bene: così da ieri Luciano Pavarotti è sul marcia piede più famoso del mondo, fra le stelle della Walk of Fame che non sono poi milioni di milioni ma per l'esattezza, con la sua, 2.730. Fra loro, quindici italiani. E qui, primo dato interessante: quelli legati al mondo dell'opera lirica sono sette: oltre a Big Luciano, Arturo Toscanini, Errico Caruso, Beniamino Gigli, Renata Tebaldi, Ezio Pinza, Licia Albanese e, volendolo considerare un tenore, Andrea Bocelli.
Otto su quindici, più della metà: segno che nel mondo il nostro Paese è ancora sinonimo di melodramma, equazione del resto pacifica ovunque tranne che in Italia. Secondo aspetto da sottolineare: la scelta degli stellati.
Tebaldi e Albanese ebbero delle lunghissime carriere americane, Toscanini dei meriti anche extramusicali, come simbolo dell'antifascismo. Pinza era un basso, voce che di solito non eccita l'entusiasmo delle masse: ma è lì non tanto per le sue 879 recite in 22 stagioni di fila al Met, fra cui un leggendario Don Giovanni con Bruno Walter, quanto perché nel 1949 passò a Broadway e l'anno seguente vinse un Tony Award per la sua interpretazione nel musical South Pacific.
Restano i tre tenori. E qui la scelta hollywoodiana è molto coerente. Fra Caruso, Gigli e Pavarotti c'è una filiazione diretta: non tecnica, perché erano tre cantanti diversissimi benché tutti con le corde vocali baciate da Dio ma, diciamo così, sociologica.
Caruso fu la prima star del disco, l'uomo che portò il canto lirico in quella che Adorno chiamò l'epoca della riproducibilità tecnica. Gigli proseguì su questa strada nazionalpop, con i film e le canzoni, da Mamma in giù (dentro un'ideologia tutta Dio, Patria, Famiglia e Duce, ma incidendo però anche un capolavoro surreale e forse satirico come Papaveri e papere).
Quanto a Pavarotti, lo sanno tutti: nella seconda parte della carriera si reinventò come cantante semipop, un frullato di Vincerò!, canzoni napoletane (un napoletano molto emiliano) e duetti con star di cui ignorava l'esistenza fino a dieci minuti prima di cantarci, che lo trasformò nell'icona di sé stesso, l'uomo grasso dalla voce grossa e dal sorriso contagioso.
Qui nasce probabilmente la stella, la ragione sbagliata di una scelta giusta. Già lo si era visto con il biopic di Ron Howard, dove sembrava che Pavarotti fosse Pavarotti perché cantava con Elton John o le Spice Girls, invece che con Kleiber e Karajan. A Hollywood non leggono Gramsci e non sanno quindi che popolare, in Italia, l'opera lo è stata ben prima del pop, anzi una delle grandezze della nostra civiltà è stata quella di aver fatto di un'arte così intellettualistica e raffinata una passione di tutti e per tutti.
Da quel mondo ancora piccolo e antico che non conosceva la Walk of Fame, ma molto bene Verdi e Puccini, uscì Pavarotti, forse l'ultimo grande cantante per cui il melodramma non era un'operazione culturale o una musica, ma «la» musica. Per questo gli andava dedicata una stella. Ma gliel'hanno comunque data, e ne siamo fieri per lui e per noi, che le ragioni della sua grandezza le conosciamo. Quelle vere, però.