CASE DI (ETERNO) RIPOSO – LE FAMIGLIE DI MOLTI ANZIANI DENUNCIANO DI NON ESSERE STATI AVVERTITI IN TEMPO DELL’ESPLOSIONE DEL CORONAVIRUS NELLE STRUTTURE E DI ESSERE ANDATI A TROVARE I LORO CARI QUANDO GIÀ SI ERANO REGISTRATI I PRIMI MORTI – IL RISULTATO? NON AVENDO PRESO ALCUNA PRECAUZIONE, I PARENTI HANNO PORTATO IL VIRUS IN GIRO

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Matteo Pucciarelli e Zita Dazzi per “la Repubblica”

 

coronavirus anziani

«Mia nonna Palmira avrebbe compiuto 89 anni fra pochi giorni, non abbiamo potuto starle accanto mentre ci lasciava. Ci hanno chiamato solo dopo che era morta, il 16 marzo, alle 21.30. Ma quando ancora ci facevano entrare in casa di riposo, non ci hanno nemmeno avvertiti che c' erano stati dei casi di coronavirus. Quindi noi siamo tornati in famiglia e ci siamo probabilmente contagiati tutti, compresa mia mamma che è cardiopatica. Anche se ad oggi nessuno ci ha fatto un tampone», racconta Claudia Bianchi, 47 anni.

 

coronavirus case di riposo

Sua nonna era ospite della residenza di Mediglia, hinterland milanese. «Una volta che il virus entra nelle case di riposo, gli anziani muoiono come mosche», dice senza girarci troppo intorno Luca Degani, presidente dell' associazione Uneba, che rappresenta il 60 per cento delle case di riposo della Lombardia.

 

donna anziana in casa di riposo

I numeri sono impressionanti e parlano da sé: a Mediglia in pochi giorni se ne sono andati 56 ospiti e altri 100 sono ammalati, alla Santa Chiara di Lodi ne sono morti 43, a Gandino (Bergamo) 24, a Quinzano d' Oglio (Brescia) 20 e l' elenco potrebbe continuare. Anche fuori dalla Lombardia sta accadendo lo stesso: in Trentino 13 morti in un giorno nelle rsa, a Cossato (Biella) sei deceduti in quattro giorni, e poi centinaia di infettati in tutta Italia, dalla Liguria alla Sicilia, dalle Marche alla Puglia.

 

Non solo gli anziani però, perché si stanno ammalando decine di operatori sanitari e di assistenza delle strutture, che per settimane hanno lavorato senza alcun dispositivo di protezione individuale. Entrando ed uscendo dal luogo di lavoro, ogni giorno.

coronavirus case di riposo

 

Dietro alla freddezza dei numeri, alla distanza che separa chi sta dentro questi ospizi e chi continua la sua vita fuori, ci sono però ragioni e sentimenti fortissimi spezzati senza neanche capire bene cosa stesse accadendo. Luoghi dove gli anziani non autosufficienti - insieme ai bambini le persone più fragili della nostra società - vanno via uno dietro l' altro e il personale scappa, perché intuisce che dentro a quei reparti l' unico destino che unisce tutti è quello del contagio.

 

casa di riposo lager 4

«I nostri vecchi non ce li ridarà più nessuno, ma ci stiamo organizzando in un comitato e abbiamo dato incarico a un legale di presentare una denuncia contro ignoti», spiega Leonardo La Rocca, dipendente pubblico lombardo, 43 anni, che dentro alla Borromea sempre di Mediglia ha la nonna di sua moglie, 90 anni, che lotta fra la vita e la morte; in più però ha visto infettarsi anche i suoceri settantenni, entrati nella struttura fino al 22 marzo, dopo che c' erano stati i primi morti.

 

coronavirus case di riposo

«Nessuno li aveva avvertiti, li hanno fatti entrare con la mascherina, ma la nonna non l' aveva, come non l' aveva il personale sanitario - aggiunge La Rocca - Quindi sono rientrati a casa e hanno infettato mezzo condominio, prima di stare male e di fare il tampone che li ha certificati anche loro come positivi».

 

Aggiunge Laura Olivi, sindacalista della Fp Cisl lombarda, che «all' inizio dell' emergenza in molte case di riposo venne addirittura chiesto agli assistenti di non mettere le mascherine perché avrebbero spaventato gli anziani ». Non sempre poi i morti di queste strutture rientrano nel computo finale delle vittime dei coronavirus, perché non si fa neanche in tempo a fargli un tampone.

 

casa di riposo lager 6

Ora che il problema nelle residenze è conclamato un po' in tutto il Paese, ospiti e parenti sono terrorizzati e il registro è simile ovunque: vietate le visite, voci di nuovi ammalati che si rincorrono, direzioni delle strutture bombardate di chiamate e richieste di chiarimento, lavoratori in malattia e mancanza di ricambio in corsia.

 

La coppia di anziani coniugi separata dal coronavirus

Vincenzo ha la zia di 74 anni ricoverata alla Gerosa Brichetto di Milano e si domanda semplicemente se la donna sta avendo le dovute cure a attenzioni, in mezzo a questo caos: «Come faccio a saperlo, se non posso più vederla?». È una richiesta banale, eppure ciò che prima era ovvio oggi non lo è più.

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