CELLA ITALIA – IL SOVRAFFOLLAMENTO DELLE CARCERI RENDE IMPOSSIBILE RISPETTARE MISURE MINIME DI SICUREZZA. EPPURE MOLTI, MOLTISSIMI DETENUTI SONO IN CARCERE PER PICCOLI REATI O ANCORA NON GIUDICATI: ABBIAMO IL DOPPIO DEI PUSHER IN CELLA RISPETTO ALLA GERMANIA (12760) E UN TERZO NON SONO MAI STATI CONDANNATI…
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MILANO, IL CARCERE DI SAN VITTORE DATO ALLE FIAMME DAI DETENUTI
FOGGIA, DETENUTI EVADONO DAL CARCERE
MODENA, RIVOLTA NEL CARCERE
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
È troppo parlare di «tortura» per i detenuti ammassati nelle galere strapiene in questi tempi di Covid-19? No, ha risposto ieri il Segretario generale del Consiglio d' Europa, Marija Pejcinovic Buric. Che presentando il nuovo Report 2019 sulla popolazione carceraria europea ha ripreso la «recente Dichiarazione dei principi emessa dal Comitato per la prevenzione della tortura».
Documento che, citando la chiusura dei penitenziari a ogni visita esterna, riconosceva giorni fa l'«imperativo di agire con fermezza» contro il virus, ma ricordava «la natura assoluta del divieto di tortura e trattamenti disumani». Un appello che, ripreso dalla Buric, è netto: «Le amministrazioni penitenziarie e tutte le autorità competenti dovrebbero sforzarsi di ricorrere ad alternative rispetto alla privazione della libertà, in particolare in situazioni di sovraffollamento e adottare tutte le misure possibili per proteggere sia la popolazione carceraria sia il personale carcerario». Parole inequivocabili.
Particolarmente dure per l' Italia, perché accompagnate appunto dal rapporto sulla situazione dei vari paesi. Quindici dei quali risultano avere più di 100 detenuti per 100 posti. E in quali «il sovraffollamento è stato particolarmente grave»? In Turchia (123), in Belgio (121) e in Italia (119). Contro una media continentale di 89,5 detenuti ogni 100 posti. Ma non basta: se l' età media dei carcerati è di trentacinque anni, da noi la popolazione reclusa è nettamente più matura: «Le amministrazioni carcerarie con il maggior numero di detenuti di età pari o superiore a 65 anni erano Turchia (3.521 detenuti), Regno Unito (Inghilterra e Galles, 2.995), Russia (2.895), Italia (2.247). Quarto posto.
Nessuno stupore. Ancora ieri mattina Luigi Ferrarella, che da giorni racconta sul Corriere le difficoltà dei nostri penitenziari, già condannati più volte dall' Europa, scriveva che dopo il decesso dell' anziano detenuto siciliano «la morte di un medico penitenziario del carcere Canton Mombello a Brescia, Salvatore Ingiulla, quarta vittima nelle carceri italiane dopo un collega e due agenti penitenziari, scala un altro gradino nell' emergenza Covid-19 (37 detenuti positivi come 158 agenti e 5 funzionari) innestatasi sul sovraffollamento».
Certo, le presenze sono state un po' sfoltite nell' ultimo mese, grazie al buon senso più che a regole farraginose, da 61.235 a 57.137 detenuti.
Per almeno un terzo mai condannati definitivamente quindi in attesa di giudizio.
Magari innocenti. I posti però restano 47.482. Quelli sono. E ha buone ragioni l' avvocato Salvatore Staiano, esperto di diritto penale e penitenziario, a sfogarsi con Laura Caroleo de Linkiesta.it sugli spazi impossibili: «Non si possono stabilire distanze di un metro in celle di tre metri per tre se al loro interno sono recluse quattro persone». Risultato?
Massima esposizione al rischio e «una assoluta destrutturazione psicologica: i detenuti si sentono abbandonati e vinti». Non diceva forse Cesare Beccaria che «le pene che oltrepassano la necessità di conservare il deposito della salute pubblica sono ingiuste di lor natura»?
La Cassa delle Ammende, un istituto del ministero della Giustizia che raccoglie i soldi delle varie sanzioni per destinarli a progetti come il «reinserimento socio-lavorativo delle persone in misura alternativa alla detenzione», cassa oggi guidata da Gherardo Colombo, ha appena deciso di spendere 5 milioni per «favorire l' accesso alle misure non detentive per coloro che pur avendone i requisiti giuridici non vi possono accedere per la mancanza di un domicilio idoneo». Per capirci: se contro la pandemia di coronavirus devi stare a casa, come dice la legge, come puoi essere scarcerato se una casa dove stare non ce l' hai?
Messo alle strette dall' affollamento carcerario, come ricordano i radicali Maurizio Turco e Irene Testa, anche «il Re Mohammed del Marocco ha accordato la grazia a 5.654 detenuti». E la Bbc anticipava domenica un piano di Boris Johnson, prima del suo ricovero in terapia intensiva, per il rilascio di circa 4.000 detenuti (nessuno in cella per crimini violenti) dai penitenziari dell' Inghilterra e del Galles. Mossa obbligata. Tanto più dopo la scoperta di ottantotto contagiati dal Covid-19 nelle prigioni del Regno Unito.
Sul tema, com' è noto, batte e ribatte da giorni Papa Francesco. L' altra mattina, nell' omelia a Santa Marta, ha insistito: «Vorrei che oggi pregassimo per il problema del sovraffollamento delle carceri. Dove c' è sovraffollamento, tanta gente lì, c' è il pericolo che questa pandemia finisca in una calamità grave. Preghiamo per i responsabili, coloro che devono prendere le decisioni, perché trovino la strada giusta e creativa per risolvere il problema». Dopo di che ha affidato ai messaggi dei detenuti del carcere di Padova le meditazioni per la via crucis di venerdì. Serviranno a sbloccare le cose?
Il report 2019 del Consiglio d' Europa sulle carceri continentali contiene però, oltre al tema scottante del sovraffollamento, altri dati che sarebbe un peccato ignorare. Su tutti la conferma di uno squilibrio tutto italiano, tra i detenuti per crimini che hanno a che fare con la droga e quelli finiti dentro per reati economici e finanziari.
Il più clamoroso è il confronto con la Germania: 6.551 spacciatori in cella nei penitenziari tedeschi, 12.760 in quelli italiani. Il doppio. Sul fronte opposto i «colletti bianchi» finiti in prigione nel paese di Angela Merkel sono 5.865 (poco meno dei pusher), quelli ospitati dai nostri istituti di pena 351. Diciassette volte di meno. Certo, non è una novità: il dossier «Space» curato a Strasburgo da Marcelo F. Aebi e Mélanie M. Tiago lo ripete anno dopo anno. Ma ogni anno ci strappa un sospiro: ancora?