E CHE GAS: ANCHE LA LIBIA CHIUDE I RUBINETTI ALL’ITALIA! – LE AUTORITÀ DI TRIPOLI STANNO PER TAGLIARE DEL 25% L’EXPORT DI GAS VERSO IL NOSTRO PAESE, PER PROVARE A COLMARE LE CARENZE DEL LORO FABBISOGNO INTERNO – IL PAESE AFRICANO È SCOSSO DA UN’ONDATA DI PROTESTE CONTRO I BLACKOUT E L’AUMENTO DEI PREZZI DI PETROLIO E PANE…
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The moment protestors in Tobruk city set fire to #Libya’s parliament headquarters. #HoR #????? #????
— Expats In Tripoli (@ExpatsTripoli) July 2, 2022
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La Libia taglia il gas all'Italia, Eni ad upday: "Prendiamo atto"
Francesco Petronella per https://news.upday.com/it/
Secondo indiscrezioni pubblicate sulla stampa libica, le autorità di Tripoli si apprestano a tagliare del 25% l'export di gas verso l'Italia. Eni, interpellata da upday, assicura che è in corso un costante monitoraggio dei flussi. L'obiettivo della mossa sarebbe quello di colmare le carenze nel fabbisogno interno libico. Lo scorso fine settimana, infatti, centinaia di persone sono scese in strada per protestare, anche contro i ricorrenti blackout in diverse zone del Paese.
La Libia è pronta a tagliare le forniture di gas all'Italia, proprio in un periodo in cui il governo di Roma sta compiendo enormi sforzi per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Secondo quanto riferisce il quotidiano Libya Herald - che cita fonti del governo di Tripoli - le autorità del Paese arabo sono pronte a ridurre del 25% le esportazioni di gas verso l'Italia tramite Eni.
L'Ente nazionale idrocarburi, interpellato da upday, non smentisce l'indiscrezione e fa sapere quanto segue: "Eni prende atto delle dichiarazioni del governo libico e monitora l'andamento dei flussi". Va precisato che, attualmente, l'Italia acquista dalla Libia quantità che si aggirano tra il 2 e il 4% del totale di gas importato dall'estero. Una percentuale che, in un periodo di riconfigurazione del mercato energetico, probabilmente può essere bilanciata da altre fonti. L'obiettivo del taglio alle esportazioni, ipotizzano sull'Herald, sarebbe quello di utilizzare le risorse per far fronte alle carenze interne e sedare il malcontento diffuso.
Crisi energetica e proteste in Libia
Una nuova ondata di proteste, infatti, ha preso il via in Libia il primo luglio scorso, in uno di quelli che nel mondo arabo vengono definiti “venerdì della rabbia”. Accade spesso, infatti, che dopo la preghiera islamica collettiva del venerdì, i cittadini si riuniscano per manifestare ed esprimere il loro dissenso.
Nella 'città-Stato' di Misurata, nella capitale Tripoli, in città dell’Est come Bengasi e persino a Sebha – nella regione meridionale del Fezzan – centinaia di persone sono scese in strada lo scorso fine settimana. Le proteste, in alcuni casi, sono sfociate in scontri ed episodi di razzia e saccheggio. L’esito più violento si è avuto a Tobruk, dove i dimostranti hanno dato fuoco alla sede della Camera dei rappresentanti.
Perché si manifesta
I motivi delle proteste sono molteplici e vanno dalla delusione per le mancate elezioni – che si sarebbero dovute celebrare a dicembre 2021 - alle cattive condizioni in cui versa l’economia. Basti pensare all'aumento dei prezzi di petrolio e pane legati alla crisi in Ucraina.
Le autorità libiche hanno registrato, nel giro di un anno, una perdita di oltre 3,5 miliardi di dollari a causa delle chiusure arbitrarie dei terminal petroliferi a seguito delle lotte di potere tra le varie fazioni libiche.
Paese al buio nella stagione più calda
Anche la gestione stessa del settore energetico è stata oggetto di divisioni politiche, che a partire da aprile hanno provocato un'ondata di chiusure forzate degli impianti petroliferi. In altri termini, quello dell’energia è stato probabilmente il comune denominatore delle proteste di piazza. Lo slogan “vogliamo che le luci funzionino” è non a caso uno dei più diffusi tra i manifestanti. Va considerato, inoltre, che in questo periodo le temperature in alcune zone del Paese superano i 40 gradi centigradi.
Le relazioni energetiche tra Italia e Libia
La Libia possiede 48 miliardi di barili di riserve accertate di greggio, le più grandi in tutta l'Africa. L’Italia importa ogni anno 8 miliardi di metri cubi di gas dal Paese arabo, nonché il 12% circa di tutto il suo fabbisogno di petrolio. L’Eni non ha mai abbandonato il Paese, neanche durante i turbolenti anni che hanno seguito la caduta del colonnello Muammar Gheddafi.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, il governo italiano ha lavorato alla diversificazione delle fonti energetiche per ridurre la nostra dipendenza dagli idrocarburi russi. Nonostante i contatti e le missioni internazionali di Draghi e Di Maio si siano concentrati su altri partner come Algeria, Angola e Congo, la Libia resta il perno centrale della nostra politica energetica. Alla luce di quanto sta accadendo nel Paese, possiamo ancora farvi affidamento?
Mercuri: "Imminente crollo nella produzione libica"
“La risposta più scontata è no: stando così le cose, al momento non possiamo contare sulla Libia”, spiega ad upday Michela Mercuri, esperta di geopolitica del Mediterraneo. “Mustafa Sanallah, il capo dell’autorità petrolifera libica, ha dichiarato lo stato di forza maggiore e quindi l’impossibilità di consegnare il greggio dai giacimenti di Ras Lanuf e Sidra, già bloccati. Arriveremo probabilmente a una Libia che produce 100mila barili al giorno al posto di 1 milione e 200mila di qualche mese fa”, argomenta la studiosa.
“Come Italia possiamo fare ben poco, a parte risvegliare l’Europa dal suo torpore sulla Libia e sviluppare un piano per ristabilire una situazione istituzionale di maggiore stabilita”, prosegue Mercuri. “In questo momento c’è un conflitto in corso tra i maggiori attori del panorama libico: da un lato il generale Khalifa Haftar e suo figlio Saddam, nell’Est del Paese, dall’altro il governo di Tripoli controllato da Abdulhamid Dabaiba, e infine il grande punto interrogativo rappresentato da Fathi Bashagha, nominato premier dal Parlamento di Tobruk ma che sta perdendo presa sul Paese”, spiega l’esperta.
Frammentazione politica e riflessi su gas e petrolio
Insomma, si tratta di una situazione fortemente frammentaria, con due governi e vari attori non istituzionali a contendersi fette di potere. Potere con cui, di volta in volta, viene influenzata la capacità di produrre energia. Lo fanno, ad esempio, le milizie, che commerciano petrolio sul mercato nero. “Se non si ripristina una stabilità politica, con una road map sul modello di quella di cui ha parlato anche Biden a Draghi, non si può sperare in una stabilità sul fronte energetico. Bisogna agire anche sul versante della sicurezza, per quello che riguarda le milizie”, aggiunge Mercuri.
“Se si ripristina una situazione stabile sul fronte politico e securitario, l’Italia può tornare a dialogare con le autorità libiche. Prima dell’ultima crisi politica, infatti, Sanallah ha concordato con l’ad di Eni, Claudio Descalzi, non solo che le esportazioni sarebbero rimaste stabili, ma anche la collaborazione in progetti per lo sviluppo di energie alternative come il solare”, conclude l’esperta.