CHE ROTTURA DI PELLET! - LA CRISI DEL GAS PREOCCUPA GLI ITALIANI E I COMBUSTIBILI DI ORIGINE VEGETALE STANNO DIVENTANDO QUASI INTROVABILI - TRA CHI FA SCORTE PER L'INVERNO E LA MANCANZA DI FORNITURA DI LEGNA E PELLET DAI PAESI DELL'EST, I PREZZI SONO SCHIZZATI ALLE STELLE - LA MANCANZA DI LEGNA "ITALIANA" METTE A NUDO LA DEBOLEZZA DELLE POLITICHE ITALIANE SULL'UTILIZZO DEL PATRIMONIO FORESTALE - "PER COMODITÀ E CONVENIENZA, ABBIAMO CONSEGNATO L'85% DEL NOSTRO MERCATO AI PAESI DELL'EST…"

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Gianfranco Piccoli per “la Repubblica”

 

Carissima e quasi introvabile. Da elemento buono per serate romantiche davanti al caminetto - ma in realtà ancora diffusissima come fonte primaria di riscaldamento nelle regioni alpine e appenniniche - la legna da ardere è diventata l'oggetto del desiderio (insoddisfatto) di molti italiani, terrorizzati dall'idea di rimanere senza gas. È uno degli effetti collaterali della crisi energetica scatenata dal conflitto in Ucraina.

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«Ogni giorno dalle 10 alle 15 persone entrano nel mio negozio chiedendomi legna da ardere che io ho esaurito ormai da un mese. Mai visto una cosa del genere: è un prodotto quasi introvabile», afferma Alberto Defant, commerciante di legname di Terlago, paese della Valle dei Laghi che confina con Trento. Scene come questa sono diventate la normalità: difficile se non impossibile trovare legna nei canali di approvvigionamento tradizionali. E il costo è al limite del proibitivo.

 

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I primi segnali si erano avuti già la scorsa primavera, ma in estate - periodo tradizionale in cui gli affezionati della stufa fanno scorte - il prezzo è schizzato: un bancale di faggio (parliamo di circa 7 quintali) è arrivato anche a 300 euro, mentre nel 2021 in Trentino lo si poteva trovare tra i 150 e i 170. Stessa sorte è toccata al pellet: il prezzo è quasi triplicato, passando da circa 5 agli attuali 13-14 euro per un sacco da 15 chilogrammi. La maggior parte degli acquirenti paga e tace, perché seppure cari legna e pellet non possono essere chiusi come un rubinetto del gas. Quelli dell'"ultimo momento" sono però destinati a rimanere a bocca asciutta.

 

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Annalisa Paniz, direttrice generale dell'Aiel, Associazione italiana energie agroforestali, conferma ciò che i consumatori toccano con mano: «I prezzi rispetto al 2021 sono aumentati dal 30 al 50% alla tonnellata (ci sono differenze fra territori), siamo intorno ai 170-180 euro». L'aumento, spiega, è però determinato da più fattori. Dal boom della domanda, certo, ma anche dal contemporaneo stop dai Paesi dell'Est (Bosnia, Croazia e Slovenia) che tradizionalmente esportano in Italia: «A parte la Bosnia, che ha bloccato per legge l'export fino al 30 settembre, gli altri Paesi hanno avuto politiche protezionistiche: chi ha legna, prima vuole soddisfare il fabbisogno interno. Non dimentichiamo poi l'incidenza dei costi energetici nella filiera del legno».

 

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 La verità - sostiene - è che la crisi del gas ha messo in luce tutta la debolezza delle politiche italiane in materia di utilizzo del patrimonio forestale: «Ora serve una programmazione diversa». Concetto ripreso in modo ancora più deciso da Imerio Pellizzari, imprenditore trentino del legname e membro del cda di Aiel come rappresentante delle imprese boschive: «Per comodità e convenienza, abbiamo consegnato l''85% del nostro mercato ai paesi dell'Est, dove praticano prezzi incomprensibili ». Sottinteso: dal punto di vista del costo della manodopera.

 

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Incredibile? Mica tanto. Qualche anno fa a Campitello, in val di Fassa, terra non certo avara di alberi, esplose una polemica feroce perché il Comune decise di regalare agli anziani del paese la legna da ardere. Che però arrivava dalla Croazia: «Costa meno che acquistare quella locale», fu la giustificazione imbarazzata. «La gestione delle biomasse per la combustione ha bisogno di programmazione - continua Pellizzari - e temo che anche questa volta l'Italia non sia in grado di farla. È già da 3-4 anni che ci sono i segnali della crisi esplosa nel 2022».

 

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La ricerca di alternative al gas ha però avuto anche un'altra conseguenza: l'assalto a stufe a legna e pellet. L'Aiel già nel primo semestre del 2022 aveva registrato un incremento dell'8% delle vendite, che andrà corretto al rialzo nel secondo semestre. «Per le consegne ormai andiamo al 2023 - spiega Carlo Rover, titolare dell'omonima azienda produttrice di stufe ad olle ad Arco, in Trentino - ma lo stesso vale per marchi come Nordica e Rizzolli, che commercializziamo in negozio. Non ci sono più pezzi per realizzare le stufe e le fabbriche faticano a tenere il passo degli ordini, anche per mancanza di personale».

 

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 E il prossimo anno? «La legna appena tagliata, quella che troveremo in commercio nel 2023, ci costa ora 20 euro al quintale...", spiega Defant. Premessa tutt' altro che rassicurante per gli inverni che arriveranno.

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