Chiara Oltolini per "www.glamour.it"
In Giappone la sua imitazione di Beyoncé è più famosa della stessa Queen Bey. E i suoi occhi sorridenti da manga sono ovunque. Letteralmente. Sono sui cartelloni pubblicitari di mezza nazione, sui pacchetti di gomme da masticare allineati alle casse dei supermercati, sulle cover dei magazine che tappezzano le edicole, sulle fiancate dei treni (e ce n’è uno che si chiama come lei). Naomi Watanabe.
Trentuno anni, 9 milioni di follower su Instagram – @watanabenaomi703 è il profilo più seguito nel Sol Levante – e 400 persone che ogni giorno le scrivono su Direct, appartiene alla sparuta categoria delle giovani leggende viventi.
A turno attrice comica, personaggio televisivo, doppiatrice, designer del suo brand e web star, da sempre regina del body positive thinking, si lascia intervistare via Skype mentre si trova a New York. Nonostante stia prendendo lezioni d’inglese e ci tiene a precisarlo, preferisce affidarsi alla sua lingua.
Si fa attendere 45 minuti, perché non è truccata a dovere. Alla fine, la videochiamata diventa una chiamata e basta. Chiacchierare con lei è un’esperienza quasi surreale: alterna la pacatezza di un santone che si risveglia da una lunga meditazione all’esuberanza di una performer che passa con disinvoltura da un personaggio all’altro del suo repertorio. Racconta che proprio ora sta preparando l’imitazione di Billie Eilish, la rocker dark in vetta alle classifiche di tutto il mondo.
VOCAZIONE COMICA La prima imitazione in assoluto di cui Naomi ha memoria è Crayon Shin-chan, un bambino combina guai protagonista di un anime giapponese a sua volta ispirato a un manga degli anni Novanta. «Considerati fortunata», mi dice dopo averla replicata per me, «nessuno ha mai assistito a questo mio numero.
Ho sempre voluto far ridere gli altri, fin da piccola. Anche se, a essere sincera, mi piaceva l’idea di diventare assistente di volo». Madre taiwanese e padre giapponese, Naomi è originaria di Nuova Taipei e poi cresciuta a Ibaraki, due ore d’auto a nord-est di Tokyo. «Ho avuto un’infanzia “viziata”: figlia unica, il cibo migliore, ogni desiderio realizzato».
Come a dire che non c’è bisogno di nascere arrabbiati e ribelli per accendere la miccia della rivoluzione più avanti, durante l’adolescenza. In un Paese dove il 22 per cento della popolazione è sottopeso e soltanto il tre per cento obeso (contro il 70 negli Stati Uniti. Fonte Organizzazione Mondiale della Sanità), Naomi Watanabe, teenager rotonda lontana dagli standard beauty locali, deve comprare i vestiti nei negozi maschili, evitare la maggior parte degli store dove i campionari non vanno oltre la M, usare gli abiti neri al posto delle T-shirt, coprirsi per evitare che le coetanee le chiedano: “Che cosa ti sei messa addosso?”.
Ferite emotive che non vanno via facilmente: «Ma io m’impegno a non concentrarmi su quelle». È l’arte della leggerezza. E la forza di chi trova il proprio ruolo nel mondo: contribuire a rompere gli stereotipi radicati nella società giapponese. Per esempio: l’obbligo da parte delle donne di aderire a certi canoni di bellezza o la loro preclusione da alcuni ambiti professionali, come appunto la scena comica.
QUANDO C’È L’X FACTOR A 18 anni, Naomi Watanabe si iscrive a una scuola che le insegna a far ridere. A 21, il suo debutto in tv nel leggendario varietà Waratte iitomo! dove brilla con le imitazioni, in particolare quella di Beyoncé.
Balla da Dio e canta in playback Crazy in love: il pubblico va in visibilio e YouTube, agli albori, macina visualizzazioni mai viste prime. La ragazza, più leggiadra perché più a suo agio nel corpo morbido, prende il volo. Picchia duro sul suo chiodo fisso: il “remake in chiave ironica” delle star della musica (a proposito, googlatela in versione Lady Gaga e Rihanna: è semplicemente pazzesca, esilarante).
Finisce al Saturday Night Live giapponese e sul banco dei giudici dell’edizione locale di X Factor quando ancora in Italia c’erano Simona Ventura, Morgan, Elio de Le Storie Tese e Arisa. L’inarrestabile Naomi accumula ospitate anche in radio. Intanto rinnova il “parco paure” («Ero terrorizzata dai fantasmi, ma crescendo mi sono resa conto che sono certi esseri umani a spaventarmi di più»); mette tranquilla la mamma, che per la sua unica figlia avrebbe voluto una carriera più tradizionale; ha la conferma di essere diversa dagli altri («Ciò che è anticonvenzionale per me è normale per chi mi sta attorno, e viceversa.
La cosa più strana che mi diverte fare? Quando sono da sola in ascensore, improvviso facce buffe davanti alle porte chiuse e, nel momento in cui si aprono, torno serissima in un battibaleno»).
ALLA CONQUISTA DELL’AMERICA Con un’energia nuova, ammassa progetti e ambizioni, schizza bozzetti, immagina il suo brand. Nel 2014 lancia Punyus (in giapponese, “paffuto”), il suo marchio di abbigliamento per le donne di tutte le taglie, perché non vuole discriminare nessuno.
«Quando creo, parto da un’esigenza: che il capo sia facilmente indossabile. Prendiamo i jeans skinny, difficili per la maggior parte delle persone: magari la gamba è confortevole, però il girovita non funziona. Ecco, devo sempre assicurarmi di sviluppare un prodotto che sia comodo per chiunque e allora prediligo l’elastico in vita.
Per quanto riguarda la grafica: lavoro con degli illustratori, ci lasciamo ispirare dai cibi che amo e dalle parole che mi rappresentano». Tra le fan di Punyus anche Lena Dunham, che fa il tifo per veder realizzato uno dei sogni di Naomi, ovvero la conquista del mercato americano con l’apertura di uno store.
Al secondo posto della wishlist di questa forza della natura, la partecipazione alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici 2020 nella sua Tokyo. Al terzo – domanda indelicata – forse dimagrire? «In una scala da uno a 10, sai quanto mi piaccio? Undici».
INFLUENCER? NO, DAI! Che Naomi si piaccia per davvero si capisce dai selfie che posta. Ma guai a darle dell’influencer: nonostante Time l’abbia inserita nella classifica 2018 delle persone più potenti di Internet, non le garba essere ricordata solo e soltanto per la sua attività social.
C’è un’altra definizione che le sta stretta: “ragazza marshmallow”, con la quale il magazine per le curvy La Farfa chiama le sue modelle, compresa Naomi Watanabe diventata abituale cover girl. Piuttosto, che le si dia della “grassa” senza troppi giri di parole.
Lei procede dritta per la sua strada, fatta di front row alle sfilate di tutte le capitali fashion insieme a Eva Chen e Chiara Ferragni, di post da 600mila like, di campagne pubblicitarie giuste, di donne che la fermano in strada e la ringraziano per aver contribuito a cambiare la percezione degli stereotipi femminili. Dove sarà Naomi Watanabe fra una ventina d’anni? «Ad aiutare gli altri a trovare il loro destino, a coltivare la loro carriera. Non vedo l’ora».