LA CHIUSURA DI "BUZZFEED NEWS" E LA BANCAROTTA DEL GRUPPO EDITORIALE "VICE MEDIA" SEGNALANO LA FINE DELL'ERA DEL GIORNALISMO SOCIAL - I DUE GRUPPI ERANO CONVINTI DI POTER SUPERARE I MEDIA "MAINSTREAM" APPOGGIANDOSI AI SOCIAL NETWORK, MA NON HANNO FATTO I CONTI CON LE MODIFICHE DEGLI ALGORITMI PER PRIVILEGIARE LA VISIONE DI CONTENUTI PERSONALI - E SULL'EDITORIA ALEGGIA LO SPETTRO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE...

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Estratto dell'articolo di Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera – L’Economia”

 

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Solo cinque anni fa BuzzFeed, […] e Vice […] sembravano il futuro dell’industria editoriale.  Vice veniva valutata dagli investitori 5,7 miliardi di dollari, quasi il triplo del New York Times, mentre Ben Smith, acclamato direttore di BuzzFeed News, liquidava il più celebre quotidiano del mondo come un dinosauro in via d’estinzione, al pari del resto della sua specie. Oggi il Times ha quasi dieci milioni di abbonati, vale oltre sei miliardi di dollari e gode di buona salute, mentre Vice ha appena dichiarato bancarotta e BuzzFeed ha addirittura rinunciato a produrre informazione.  

 

buzzfeed news

Quanto a Ben Smith, nel suo dolente Traffic, il libro che ha appena pubblicato in America nel quale ricostruisce illusioni e delusioni dell’editoria digitale, ammette il suo errore di valutazione: non si aspettava che i dinosauri avrebbero imparato ad aprire i cancelli dei loro recinti (come in Jurassic Park).

 

[…] I gruppi dell’editoria digitale, convinti di poter soppiantare agevolmente i mainstream media, giornali e tv, incapaci di adattarsi al nuovo mondo delle reti sociali, devono ammettere di essere stati vittima di un miraggio. […] Quello che vediamo oggi è il risultato della rivoluzione delle reti sociali: un’era nella quale il giornalismo non solo ha dovuto imparare a usare tecnologie radicalmente diverse ma ha dovuto fronteggiate lo tsunami delle grandi reti sociali, da Facebook a Google-YouTube, che hanno conquistato il grosso del mercato pubblicitario, lasciando all’editoria solo le briciole.

 

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[…] L’editoria digitale prima ha fatto investimenti troppo vasti, sostenuti dalla liquidità offerta da un venture capital alla ricerca di nuovi sbocchi per i suoi investimenti tecnologici. Ma quando, nel 2022, tutti, compresi i giganti Facebook o Google, sono arrivati a perdere metà del loro valore, anche i finanziatori hanno tirato il freno.

 

Questi editori digitali pagano soprattutto l’illusione di poter arrivare, con fusioni ed economie di scala, a competere coi giganti di internet per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria: non sono riusciti a scalfire la leadership di Facebook e Google-YouTube e sono stati indeboliti, anche finanziariamente, da un inutile gigantismo.

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A questa patologia generale se ne sono, poi, accompagnate altre specifiche dei vari gruppi: Vice, assediata da investitori decisi a finanziarla con centinaia di milioni di dollari per partecipare alla nuova cuccagna dell’informazione digitale, ha sperperato risorse creando strutture elefantiache, mandando troupe negli angoli più remoti del mondo e ha perso credibilità davanti a un pubblico che nell’era digitale tende a diventare community quando è esploso lo scandalo degli abusi sessuali in redazione.

 

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BuzzFeed ha commesso un errore diverso […] Mentre le grandi testate giornalistiche tradizionali cercavano di ribellarsi alla prepotenza delle reti sociali […] Buzzfeed ha fatto altro: si è illusa di poter raccogliere abbastanza briciole cadute dalla tavola di Facebook e Google non moltiplicando i siti, ma cercando di usare una crescente presenza sulle piattaforme di queste stesse reti sociali, usate come volano per far crescere il traffico e, quindi, le entrate pubblicitarie.

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Consegnare il proprio futuro a giganti con interessi diversi si è rivelato un errore: sono bastate piccole modifiche degli algoritmi di Facebook e delle altre reti decisi per privilegiare la visione di contenuti personali, familiari, i rapporti di ogni utente con amici e colleghi di lavoro, riducendo l’attenzione per l’informazione e i fatti del mondo per far crollare i fatturato di siti d’informazione che a volte hanno visto il loro traffico dimezzato nel tempo di un click.

 

Oggi, comunque, tutti — siti digitali e mainstream media — devono affrontare una nuova rivoluzione: quella dell’intelligenza artificiale con strumenti come ChatGPT che, evolvendo, promettono di automatizzare il lavoro di molti giornalisti e sono particolarmente vulnerabili alla produzione di disinformazione e teorie cospirative e alla loro diffusione capillare attraverso bot mascherati da utenti in carne ed ossa.

 

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Ora OpenAI ha addestrato ChatGPT mettendoci dentro tutto ciò che circola in rete, compresa l’informazione giornalistica. Barry Diller, miliardario del digitale col gruppo IAC sostiene che, lasciando l’AI libera di accedere ai contenuti giornalistici sulla base del principio del fair use (una diffusione polverizzata in rete, senza sfruttamento commerciale), gli editori commetterebbero un altro errore catastrofico: l’intelligenza artificiale, dice, è in grado di sfruttare tutto «trasformandosi in una unfair machine senza confini». E propone, insieme a NewsCorp di Murdoch e ai tedeschi di Axel Springer, una crociata per veder riconosciuto il valore economico del giornalismo usato dall’AI.

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