COME NACQUE IL TERMINE "TANGENTOPOLI"? LO SPIEGA PIERO COLAPRICO CHE LO CONIO': "LA PAROLA NASCE PRIMA DELLO SCANDALO. MENTRE FINIVA IL 1991, VIENE ARRESTATO A MILANO UN DIPENDENTE DELL'ASSESSORATO COMUNALE ALL'URBANISTICA. AVEVA INVENTATO UN METODO EFFICACE PER ARROTONDARE LO STIPENDIO…COMINCIAI A SCRIVERE IN VARI ARTICOLI QUESTE "CRONACHE DI TANGENTOPOLI". NON SE NE ACCORSE NESSUNO. SI RIPETEVA IL MEDESIMO SCHEMA: VENIVA SCOPERTO UN CORROTTO, SI INDAGAVA SU POLITICI, AMMINISTRATORI E FUNZIONARI, E QUALCUNO DI LORO ENTRAVA IN CARCERE. NESSUNO O QUASI ACCETTAVA DI…"
-MAZZETTE VERE E PERSONAGGI DA FUMETTO COSÌ NACQUE IL NOME TANGENTOPOLI
Piero Colaprico per “la Repubblica”
La parola Tangentopoli nasce prima di Tangentopoli. La storia è questa. Mentre finiva il 1991, viene arrestato dalla procura di Milano un dipendente dell'assessorato comunale all'Urbanistica. Aveva inventato un metodo efficace per arrotondare lo stipendio. Al mattino si comportava da funzionario integerrimo, che nel palazzone di vetro e cemento affacciato sul traffico delirante di via Melchiorre Gioia, vietava ad amministratori, proprietari terrieri e architetti di ampliare verande e realizzare piccole e grandi costruzioni. Ma al pomeriggio apriva una sua agenzia, a circa 400 passi di distanza.
E là, non più mezzemaniche, bensì consulente in giacca di cammello, studiava le stesse pratiche che poi, come funzionario, sarebbe riuscito a far approvare. Si pagava ancora in lire: bastava un milione, vale a dire 500 euro attuali, per sentirsi dire sì quando si erano incassati una serie di no. Insomma, un'idea criminale, con una dinamica involontariamente umoristica.
Il funzionario-consulente era andato avanti un bel po' di tempo a inglobare piccole e grandi somme quotidiane, finché la sua epopea era finita all'improvviso. E si era ritrovato a San Vittore. Mi era sembrata una vicenda meno brutale di altre simili, con una dinamica degna delle ideone sballate di un eroe dei fumetti: Paperino. E così, Paperino-Paperopoli. E Tangenti-Tangentopoli. Milano, "la città della tangenti": sarebbe meglio dire "la città delle tangenti che venivano scoperte".
Non è che in altre città non ci fosse la stessa, se non una più grave corruzione. In ogni caso, Milano non era esente dal tema, che Repubblica seguiva con grande attenzione, anche per decisione del direttore Eugenio Scalfari. Cominciai a scrivere in vari articoli queste "cronache di Tangentopoli". Non se ne accorse nessuno. Fra Milano e l'Italia intera si ripeteva infatti il medesimo schema giudiziario: veniva scoperto un corrotto, si indagava su politici, amministratori e funzionari, e qualcuno di loro entrava in carcere. Nessuno o quasi accettava però di rispondere agli interrogatori dei magistrati.
Quel sistema, che verrà definito dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro «dazione ambientale», non veniva intaccato. Mai. Ma l'Italia è anche il Paese dei "Finché". Uno crede sempre di avere successo, potere e potersela cavare, finché: finché, in un pomeriggio buio e freddo, il 17 febbraio 1992, viene arrestato nel suo ufficio il socialista Mario Chiesa. Era sfottuto come il "Kennedy di Quarto Oggiaro", dal nome di un quartiere di periferia, aveva non nascoste ambizioni da sindaco e millantava una forte amicizia con i Craxi. Era il presidente del Pio Albergo Trivulzio. La "Baggina", casa di riposo amata dai milanesi, un'istituzione dotata di un grande patrimonio immobiliare.
Chiesa aveva intascato le banconote di una tangente senza poter immaginare di essere caduto in trappola. Accanto alla filigrana delle 50mila ci sono le firme di un capitano dei carabinieri, Roberto Zuliani, e di Pietro. Il caso viene seguito dai cronisti giudiziari. Sono un inviato speciale da oltre due anni, nei primi giorni non me ne occupo, finché - c'è sempre il finché - vengo convocato dall'allora capo redattore Guido Vergani, che chiude la porta e dice: «Piero, non puoi dire di no. Devi darci una mano, a Scalfari non piace come stiamo lavorando, ci ha chiesto di dare il massimo in questo servizio. Tanto, quanto durerà? Un paio di mesi al massimo, poi torni a girare».
Non avrei detto "no" comunque. Quando con il collega del Giorno Paolo Colonnello, restando cinque ore davanti a San Vittore, scopriamo che Mario Chiesa sta parlando, quel termine mi rispunta. E lo riutilizzo nelle settimane successive. Cronache di Tangentopoli. Nessuno se lo fila. Sarà infatti un ignoto titolista delle cronache nazionali di Repubblica a "spararlo" in grossi caratteri. Ed è così che entra nell'immaginario.
Le televisioni lo riprendono subito, mentre i giornali, specie i diretti concorrenti, ci mettono un po' di più. Poi cedono. Com' è noto, l'inchiesta non durò "due mesi", ma anni, e il termine ha purtroppo figliato i vari Calciopoli, Concorsopoli e Vallettopoli, come se "poli", invece di "città", significasse "scandalo", ma in qualche modo è rimasto nel tempo.
Viceversa, la storia dell'inchiesta subisce continue riletture, aggiustamenti, ritocchi. Anche se la sostanza vera non cambia: c'era un fortissimo e ramificato sistema di corruzioni negli appalti, nelle assunzioni, negli incarichi, in grado di uccidere ogni merito, pesare sui bilanci pubblici, sostenere le casse dei partiti, e anche di non pochi singoli personaggi. Tangentopoli, per l'appunto. L'edificio simbolo Il palazzo di giustizia di Milano.