CONSOLATEVI, SIETE IMPERFETTI MA POTETE DIVENTARE DEI GENI COME LORO - EINSTEIN ERA INSOFFERENTE ALLA DISCIPLINA E INIZIÒ A SCRIVERE TARDISSIMO, MESSI A 11 ANNI NON ARRIVAVA A 130 CENTIMETRI PER UNA CARENZA DELL'ORMONE DELLA CRESCITA, GRAMSCI ERA SFOTTUTO PER UNA DEFORMANTE TUBERCOLOSI OSSEA: UN LIBRO HA RACCOLTO LE STORIE DI CHI SI È RISCATTATO NONOSTANTE VARIE SFIGHE - LA DISLESSIA FACEVA SENTIRE INADEGUATI MIKA, AGATHA CHRISTIE E JENNIFER ANISTON...
-Federico Taddia per “La Stampa”
«Dove c'è perfezione, non c'è storia» scriveva nei suoi taccuini Charles Darwin, per esplicitare quanto l'evoluzione si nutrisse delle differenze, delle divergenze, delle sfumature spesso ritenute inutili.
E allora perché non andare a cercare storie di imperfezioni, o meglio, di «non perfetti» che hanno fatto la storia? La rivincita dei diversi: ecco la molla che ha fatto scattare l'intuizione al giornalista e scrittore Vladimiro Polchi, autore di Nessuno è imperfetto, una efficace e coinvolgente raccolta di 30 profili di personaggi famosi, da Agatha Christie a Emiliano Zapata, che delle proprie debolezze hanno fatto un punto di forza.
Albert Einstein? E' insofferente alla disciplina, comincia a parlare tardi, inizia a scrivere che ha già 9 anni. Insomma, è lento.
E proprio questo, come lui spiega, probabilmente è all'origine della sua capacità di interpretare la fisica dell'universo: «Quando mi domando come mai sia stato proprio io a elaborare la teoria della relatività, la risposta sembra essere legata a questa particolare circostanza: un normale adulto non si preoccupa dei problemi dello spazio-tempo, tutte le considerazioni possibili in merito a questa questione sono già state fatte nella prima infanzia. Io, al contrario, mi sono sviluppato così lentamente che ho cominciato a interrogarmi sullo spazio e sul tempo solo dopo essere cresciuto e di conseguenza ho studiato il problema più a fondo di quanto un normale bambino avrebbe fatto». Semplice, no?
E che dire allora di Antonio Gramsci, affetto da una deformante tubercolosi ossea fin da piccolo, tanto che i compagni di classe lo schernivano con il soprannome di «Gobeddu», il gobbetto? Studio metodico, arguzia e testardaggine diventarono però ben presto le sue difese vitali.
Lo strano catalogo di imperfetti conosciuti continua con Lionel Messi, la pulce: piedi meravigliosi in un corpo che a 11 anni ancora non superava i 130 cm. Gli fu diagnostica una carenza dell'ormone della crescita: una sentenza feroce, ma non abbastanza da impedirgli di diventare uno dei calciatori più famosi del pianeta.
E ancora: gli attacchi di panico di Emma Stone, le sofferenze di Frida Khalo inflitte dalla poliomielite prima e da un grave incidente poi, le lesioni al lato sinistro del volto causate dai medici durante il parto a Sylvester Stallone, oltre al rachitismo e alle balbuzie.
La vera perfezione non esiste, ed è una cosa che andrebbe detta, spiegata, testimoniata: è il cuore del messaggio di Polchi, il punto in cui più insiste nel disegnare questo suo antidoto alla fragilità, alla timidezza, al timore di non essere all’altezza.
I personaggi narrati è come se fossero degli Avangers al contrario, supereroi con quotidiane insicurezze al posto dei superpoteri, che con le loro biografie dispensano pillole curative, capaci di immunizzare da prese in giro, offese e senso di inferiorità.
«A sette anni ho pensato di essere stupido: ma non ero stupido, ero come un pesce su un albero» - confessa per esempio Mika, popstar internazionale di origine libanese, riferendosi di quella stessa dislessia non riconosciuta o scoperta in tarda età, che aveva fatto sentire inadeguate, poco intelligenti e fuori posto sui banchi di scuola una sgrammaticata Agatha Christie e una impacciata star del cinema come Jennifer Aniston.
«Sono tutt'ora dislessico» - continua Mika -. «Non riesco neppure a leggere l'ora sull'orologio e per scrivere uso la tastiera del computer, con la penna per me è impossibile. Quando un compagno di scuola tentò di fare il bullo, gli sventolai sotto il naso il test e gli dissi che ero stupido legalmente, mentre lui non aveva scuse per la sua stupidità. Con la forza della musica, sono riuscito a sviluppare una versione diversa dell'intelligenza: l'idea della normalità è un'illusione totale, la normalità non esiste».
«Essere normali è noioso: preferisco essere speciale», fa da eco la nazionale di pallavolo Paola Egonu nel ricordare, dall'alto del suo metro e 89, come non si sia mai fatta schiacciare dagli insulti ricevuti per il colore della sua pelle.
Così come il registra Steven Spielberg, nel ripensare alla propria carriera, va con la memoria a quando aveva timore di andare a scuola, anche a causa dell'intolleranza e le discriminazioni subite per essere figlio di genitori ebrei. E aver trovato sollievo e protezione nel suo nascondiglio preferito: dietro a una telecamera.
Attivare altre competenze, vedere le cose in maniera inusuale, sviluppare sensibilità laterali, trasformare in risorse le proprie atipicità: con consapevolezza e imparando a farsi rimbalzare i pregiudizi altri. Ecco il riscatto degli imperfetti, in un mondo dove i perfetti - in fondo - piacciono solo a loro stessi.