CORONA, PRO O CONTRO? - LE DUE TESI DE "IL GIORNALE" - "OGNI VOLTA CHE C'E' DI MEZZO CORONA CI RICORDIAMO CHE IN ITALIA C’È UNA GIUSTIZIA. NESSUNO E' MAI STATO TANTO PRONTAMENTE AMMANETTATO E CONDOTTO AL GABBIO COME LUI" – "E' UNO CHE SPUTA IN FACCIA ALL'AUTORITÀ CHE SI AFFANNA A DARGLI CHANCE, RECITANDO IL PATETICO RUOLO DEL DURO E RIBELLE, ALLONTANANDOSI DAL DOMICILIO, MINACCIANDO SUI SOCIAL FINO A SFIDARE I GIUDICI"… VIDEO
-LO SHOW DI FABRIZIO CORONA ALLA NOTIZIA DEL RITORNO IN CARCERE
1 - IL SUO È L'UNICO CASO DOVE LA GIUSTIZIA FUNZIONA (PER FINTA)
Valeria Braghieri per “il Giornale”
Ogni volta che c' è di mezzo Fabrizio Corona ci ricordiamo e constatiamo, che in Italia c' è una giustizia, ci sono tribunali, avvocati, giudici, una cancelleria e che, sorprendentemente, tutto funziona. Nessuno è mai stato tanto prontamente ammanettato e condotto al gabbio quanto l' ex agente di fotografi che oggi non sapremmo in quale categoria professionale (e anche un po' umana) ascrivere. La vita di Fabrizio si è trasformata ormai in un evidente, continuo, scomposto grido d' aiuto. Lui non lo sa, ma è così.
Mai visto qualcuno «suicidarsi» socialmente con la sua frequenza e la sua ostinazione: e non adesso, che si taglia i polsi e si cosparge la faccia di sangue come una languida diva d' altri tempi in versione splatter. Non adesso, in questa versione truculenta e antiestetica (al contrario, Corona ha quasi un' ossessione per il lato estetico della vita, in ogni suo aspetto): sono ormai anni che si rovina con irrefrenabile fantasia. Si fa prendere a botte dalla vita, mette il culo davanti ai calci, vanifica tregue e aiuti. Infrange la legge, sfascia la famiglia, pianta le donne, distrugge le automobili, imbottisce i soffitti di soldi non dichiarati al fisco, si autoproclama agente delle ragazze abusate alle «feste» di Alberto Genovese...
Mai visto qualcuno scalpitare tanto davanti alla prospettiva di una vita «normale». Mai visto qualcuno scoraggiare via via e poi portare allo sfinimento i suoi già scarsi sostenitori, accelerare vedendo davanti il muro. Eppure... Eppure c' è sempre qualcosa che ci lascia perplessi nel vedere tanta caparbia solerzia nell' applicare la legge su Fabrizio Corona. E c' è sempre qualcosa che ci lascia perplessi nel vedere che «quell' altro lui» (che c' è), non riesce mai a farcela. Come se fosse anche un po' colpa nostra, e non solo sua. Come se quel continuo sorvegliare e punire, fosse l' ultima delle soluzioni adatta a quell' inconsapevole, disperato nemico di se stesso.
Che ha scambiato il mondo per l' oratorio in cui faceva il bullo e tirava pallonate alle vetrate. C' è una parte di Fabrizio che è rimasta da qualche parte: impigliata, bloccata, maltrattata. La vetrata oggi è la sua fedina penale, i compagni sbeffeggiati sono diventati accusatori, ex mogli, figli già affaticati da tutto quello che hanno visto, la punizione del parroco oggi è la galera. Lui compie 47 anni il 29 marzo e non riesce a mettersi a posto. A trovare un posto e una tregua, da se stesso prima che da tutto il resto. Ma la giustizia italiana ha intanto trovato posto in lui: Corona è il posto in cui la giustizia del nostro Paese resiste.
2 - LA PIETÀ È STATA TRADITA NON GLI PUÒ GARANTIRE L'IMPUNITÀ PERENNE
Marco Zucchetti per “il Giornale”
Premesso che Fabrizio Corona di per sé non è null' altro che il protagonista di un romanzetto kitsch autoprodotto che unisce cinepanettone, pulp di bassa lega e poliziottesco, la sua vicenda appassiona perché è diventata simbolo sociale e perfino morale. Giudiziariamente, la trama si riassume così: un gentiluomo colpevole di estorsione finisce poi per collezionare reati e ulteriori condanne per 13 anni e fischia, tra denaro falso, fughe, minacce, false fatturazioni, frode fiscale, bancarotta, corruzione... Manca l' abigeato, per ora.
Sconta un po' di galera, poi - per curare dipendenza dalla coca e disturbi psichiatrici e «reinserirsi» nella società - gli vengono accordati periodi di pena alternativa. In comunità, in clinica, ai domiciliari. Tante possibilità di redenzione e un guinzaglio (troppo) lungo, che a tanti altri detenuti è mai stato accordato. La contropartita è fatta di regole e divieti, ma Corona decide puntualmente di sputare in faccia all' autorità e alla giustizia che si affanna a dargli chance.
Ignora ogni limitazione, sentendosi al di sopra della legge, continuando a recitare il suo patetico (e patologico) ruolo da duro e ribelle, istigato a suon di cachet da chi lo sfrutta mediaticamente e fomenta il suo cupio dissolvi. Si allontana dal domicilio, minaccia sui social, organizza feste, va ospite in tv. Se ne approfitta. E chi lo sorveglia glielo lascia fare, lo lascia autodistruggersi.
Il dubbio è semplice: può la legge, uguale per tutti, chiudere sempre gli occhi perché «poverino sta male»? È sufficiente che Corona non abbia «mai fatto del male» (anche se le vittime dei ricatti e delle minacce non la pensano così) per consentirgli l' impunità perenne? Davvero si può ancora parlare di «accanimento giudiziario» dopo tutte le aperture di credito gettate al vento?
Forse la risposta la danno silenziosamente quelli che lo hanno difeso, mostrandogli la pietà che si deve a ogni uomo che sbaglia e cade. In molti hanno visto in lui una vittima di se stesso da salvare, a cui garantire una riabilitazione. Oggi, i suoi difensori sono sempre meno, perché quella pietà umana (lo sa bene don Mazzi, definito «buffone e nullità» dopo averlo salvato) è stata tradita e dalla pietà si è passati alla pena.
La pena che si prova nel vederlo blaterare dopo aver finto un suicidio da avanspettacolo, mentre insulta il mondo. E la pena che ora è inevitabile fargli scontare, in carcere o in clinica, poco importa. Lo si deve ai cittadini che rispettano le regole e a quei detenuti che ce la mettono tutta per rigare dritto.