CRONACA VERA: UN PADRE SEPARATO CHIEDE IL DIRITTO DI VEDERE IL FIGLIO E L’OK DEL TRIBUNALE ARRIVA SOLO QUANDO È MAGGIORENNE – L’UOMO ORA CHIEDE AL GOVERNO UN MAXI RISARCIMENTO DA 1 MILIONE DI EURO, PERCHÉ SAREBBE TUTTA COLPA DI “UN VUOTO DECISIONALE” – IL LEGALE: “GLI È STATO PRECLUSO, FORSE PER SEMPRE, DI VIVERE CON IL PROPRIO FIGLIO”
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Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
Il punto chiave di questa odissea burocratica e giudiziaria sta in un aggettivo, quello che identifica il provvedimento: «Decreto definitivo». È quel definitivo che bisogna fissare, se si considera la domanda: un uomo che nel 2006, dopo la separazione dalla compagna, si rivolgeva al Tribunale per chiedere d' urgenza l' affidamento condiviso del figlio e una regolamentazione del proprio «diritto di visita» del bambino. Il piccolo, all' epoca, aveva 6 anni: ma la decisione del Tribunale per i minori (il «decreto definitivo») è arrivata solo nel 2017, quando il bambino era diventato ormai un ragazzo.
Ma non è tutto, perché a quel punto, col ricorso del padre in Corte d' appello, i tempi sono andati ancora oltre. E dunque la sentenza che avrebbe dovuto regolare il diritto di visita di un padre a un bambino di 6 anni è stata confermata quando il giovane, ormai maggiorenne, poteva decidere in autonomia della sua vita e dei suoi rapporti con i genitori.
È una vicenda della quale il Corriere non rivela altri dettagli per non rendere identificabili le persone coinvolte, ma che, con immediata evidenza, sollecita una domanda: come è stato possibile? Prima di provare a rispondere, bisogna dar conto dell' ultimo passaggio, che risale al 13 dicembre 2019. Porta infatti quella data la lettera con la quale il legale del padre, Gianpaolo Caponi, con il suo collega Francesco Langè, chiede al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia un maxi risarcimento.
Un milione di euro: perché «per colpa di un vuoto decisionale», si legge nella lettera, nel quale non sono state emesse «neppure in via temporanea ed urgente delle regole seppur minime che potessero assicurare una frequentazione periodica», all' uomo «è stato precluso, forse per sempre, il diritto di vivere con il proprio figlio».
«Siamo di fronte alla violazione di un diritto primario inviolabile, con un danno irreversibile e non quantificabile», riflette l' avvocato Caponi. La vicenda ha inizio nel 2006 e si genera all' interno di un rapporto di conflitto continuo e profondissimo tra madre e padre, da poco separati.
Solo nel 2008 i giudici (onorari) incaricano i servizi sociali di fare un' istruttoria, organizzare incontri padre/figlio «in modalità protetta» e valutare le personalità dei genitori.
L' esito di quel percorso è una relazione (depositata nel 2009) nella quale gli assistenti sociali spiegano «di non aver rilevato inadeguatezze genitoriali», anzi «evidenziano quanto i genitori siano importanti punti di riferimento per il minore, in grado di offrire allo stesso risorse differenti, ma comunque preziose». Anche il padre «appare affettuoso con il figlio, capace di condividere con lui momenti sereni e divertenti». Il vero problema resta la «conflittualità tra i genitori».
Un' altra relazione è datata 2010, ma non arriva ancora la decisione, e una pronuncia non si ottiene neppure nel 2012 e nel 2014, quando la causa viene trattenuta in decisione, ma poi rimessa sul ruolo, con le audizioni che riprendono nel 2016: fino a quella del 2017 in cui il ragazzo si rifiuta di andare in Tribunale. Il passare degli anni è stato scandito da lettere con richiesta di far vedere il bambino al padre, e nei primi periodi alcuni incontri si riuscivano comunque ad organizzare, anche al di fuori di quelli (della durata di un' ora) con gli assistenti sociali presenti. Padre e figlio riuscivano così a tenere un filo di contatto e una volta passarono anche qualche giorno di vacanza insieme, ma tutto questo è sempre avvenuto senza un quadro di regole definito dalla giustizia. Fino a che, come spiegato dal ragazzo in audizione nel 2014, «i rapporti si sono sempre più diradati, fino a interrompersi».
Col decreto del 2017 i giudici affidano il ragazzo (ormai 17enne) in via esclusiva alla madre, spiegando di fatto che è sempre stata una «brava madre», pur non essendo stata in grado di assicurare il diritto alla «bi-genitorialità».