Fabio Tonacci per “la Repubblica”
Il Mose è ostaggio di se stesso. Della «improduttiva pedanteria delle consuetudini e delle forme» che si chiama burocrazia, e che ne immobilizza le 78 paratoie, tuttora incapaci di proteggere Venezia. Da almeno due anni, infatti, i soggetti che hanno il compito di finirlo - il Consorzio Venezia Nuova da una parte, il Provveditorato per le opere pubbliche del Veneto dall' altra - si parlano con la lingua dei separati in casa: carte bollate, richiami «alla leale collaborazione», accuse reciproche e giornalieri scaricabarile.
È il paradosso dell' ultimo miglio del Mose, arrivato al 94 per cento della realizzazione: i soldi per terminare la parte impiantistica (che ne consentirebbe l' utilizzo d' urgenza) ci sono, ma non riescono a spenderli. E la spiegazione è contenuta in uno scambio riservato di mail che Repubblica ha visionato.
Dunque, con ordine. Il 27 marzo 2019 i due commissari del Consorzio inviano al ministro della Infrastrutture e al provveditore Roberto Linetti una lettera, nella quale, oltre a rimandare al 31 dicembre 2021 la consegna dell' opera, chiedono denaro per pagare fino ad allora dipendenti e tecnici. La risposta di Linetti arriva un mese e mezzo dopo, e, diciamo, non è delle più concilianti.
«La ora declamata impossibilità di rispettare i termini stabiliti è dovuta esclusivamente all' inerzia del concessionario (il Consorzio, ndr ). Appare molto grave la costante noncuranza degli obblighi che entrambi gli amministratori hanno assunto».
Non solo. Rispedisce al mittente anche la richiesta di sbloccare il finanziamento necessario. «Già lo scorso anno - scrive Linetti - questo Istituto ha rischiato di chiedere una disponibilità ben maggiore di quella effettivamente commisurata all' andamento dei lavori del Mose, con la conseguenza di perdere parte dei finanziamenti. A fronte di motivazione dichiarata dal Consorzio di provvedere nei primi mesi del 2019, a pagamenti per gli impianti ho trasferito svariati milioni: ebbene, ad oggi è pervenuto un solo Saldo avanzamento lavori pari al 10% dell' importo presunto, ancora una volta dimostrando scarsa attendibilità».
Una durezza che ha portato i due commissari Fiengo e Ossola a replicare, il 15 luglio, con l' allora ministro delle Infrastrutture Toninelli: «Constatiamo il perdurante e immotivato atteggiamento ostruzionistico, perseguito con rappresentazioni parziali e fuorvianti dello stato di fatto e di diritto». Il 7 ottobre il Consorzio rincara la dose con la ministra De Micheli.
L' oggetto della mail («Dovere di leale collaborazione per la realizzazione del Mose») da solo basta a far capire che aria tira a Venezia: «Così non riusciamo a dare continuità. Da gennaio a luglio su 18 nuovi lavori esaminati dal Cta (organo tecnico del Provveditorato) ne risultano approvati solo 4; e solo 2 varianti suppletive su 13 presentate; i tempi di erogazione delle somme, poi, non sono tempestivi».
Linetti, andato in pensione a settembre, spiega a Repubblica che la leale collaborazione non è mai venuta meno. «Ho anche autorizzato finanziamenti per opere doppie, cioè per aggiustare lavori fatti male, come per ripristinare la conca di navigazione (20 milioni) e le tubature di Malamocco danneggiate da una mareggiata nel 2015. Ma pagare con soldi pubblici la guardiania dei cantieri, come mi hanno chiesto, è troppo.
I due commissari potevano fare molto di più in questi mesi, la verità è che non è il loro mestiere». E adesso arriva il terzo: la prefettura di Roma ha infatti nominato l' avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata al posto di Luigi Magistro, dimessosi nel 2017.
Tre commissari del Consorzio, una supercommissaria (Elisabetta Spitz) e un nuovo provveditore dovrebbero bastare per coprire l' ultimo miglio del Mose. Si spera.