LA DECRESCITA INFELICE DI MILANO - DOPO ANNI DI RECORD, LA METROPOLI SI SPOPOLA – SALA: “CREDO CHE DOVREMO FRONTEGGIARE UN PAIO DI ANNI DI DIFFICOLTÀ" - PER STEFANO BOERI, INVECE, SI PROFILA UN ALTRO PERICOLO: “IL CENTRO DI MILANO SENZA TURISTI E UFFICI RISCHIA DI DIVENTARE UN DESERTO” - IERI A MILANO È STATO IL PRIMO GIORNO IN CUI POTER GIRARE A VOLTO SCOPERTO: L'ULTIMA ORDINANZA DEL PIRELLONE CONSENTE DI NON INDOSSARLA ALL'APERTO...
-Estratto dell’articolo di Alessia Gallione per “la Repubblica”
È una Milano un po' più piccola e preoccupata, quella che si è risvegliata dal letargo imposto dal Covid. Una città che, proprio in questi giorni, sta vivendo la sua prima Settimana digitale della moda senza il tutto esaurito negli alberghi e il traffico impazzito.
Una città svuotata, con i grattacieli degli uffici che stanno ancora vivendo di smart working e i turisti che rischiano di crollare dagli oltre 10 milioni dell' ultima stagione d' oro a quattro. Una città che finora era abituata a macinare record, scalare classifiche, ma che, adesso, è tornata a scendere sotto la quota simbolo del milione e 400 mila residenti appena raggiunto. La prima frenata dopo anni.
(…) il sindaco Beppe Sala legge il numero dei residenti: «Milano pagherà un prezzo a questa pandemia. Credo che dovremo fronteggiare un paio di anni di difficoltà che si diffonderanno su tutte le variabili. Ad esempio: quanto saremo attrattivi per gli studenti? Torneremo come prima se riusciremo a fare le politiche giuste. Ma io ci conto, perché se non ci riuscirà Milano non ci riuscirà nessuno in Italia».
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Per l' architetto Stefano Boeri, invece, si profila soprattutto un altro pericolo: «Il vero grande tema di Milano, oggi, non sono più le sue periferie, che sono vive, ma il suo centro, che senza turisti e uffici rischia di diventare un deserto». Ecco la proposta: «Una grande campagna per riportare, con accordi con le grosse proprietà ed affitti calmierati, le residenze anche universitarie nelle aree più centrali».
2 - VIA L'OBBLIGO, MA TANTE MASCHERINE
Stefano Landi per il “Corriere della Sera”
Ci sono infiniti modi di riprendersi la propria normalità. Una dose importante è fare colazione al bar sfogliando i giornali. Un grande classico all'italiana. Otto e trenta del mattino, la «città da bere» si ritrova davanti a lunghissime tazze nei bar per cominciare la giornata. Fino a ieri il giornale te lo dovevi portare da casa. Rieccolo il quotidiano sul bancone, basta un'occhiata, un titolo, che diventa spunto per eterne discussioni per il resto della giornata. Ci sono direttori di giornali che sostengono che un buon modo di fare un giornale sia mimetizzarsi al bar la mattina a sentire come la gente commenta le notizie del giorno.
Quotidiano al bar ma anche rivista per la sciura dal parrucchiere: non si è mai smesso di fare gossip sotto il casco, ma da ieri si torna a farlo sfogliando i patinati più chiacchieroni. Eppure ieri in tanti non si sono fatti trovare pronti al loro rito preferito. Navigli, prima mattina. C'è un barbiere che nel quartiere è un'istituzione perché da 40 anni alza la stessa cler . «Non sapevo che da oggi si potesse: è una grande notizia. Non potevo più vedere i miei clienti con la testa dentro il telefonino». Qualche centinaio di metri oltre, c'è uno di quei ristoranti dove sui tavoli non mancano mai i giornali macchiati di sugo alla pagina dello sport. Ieri, mancava la tradizionale «mazzetta»: «Con il lockdown avevamo sospeso il servizio che ce lo distribuiva, recupereremo presto, praticamente fa parte del menu». Tempi tecnici.
Ma anche un sostanziale ritardo nel riadattarsi alle proprie tradizioni più radicate. È come se i lunghi giorni in quarantena avessero talmente rallentato la gente che ora diventa una rincorsa complicatissima stare dietro al vortice di ordinanze che ogni 15 giorni aggiornano diritti e doveri del prudente cittadino. «Ormai ci vorrebbe un software che ci aggiorni di cosa si può o non può fare», scherza ma non troppo un signore di mezza età reduce da discussione al limite della lite sul fatto che non fosse più obbligatorio mettersi la mascherina per girare con il cane sul marciapiede.
Ieri a Milano è stato il primo giorno in cui poter girare a volto scoperto: l'ultima ordinanza del Pirellone consente di non indossarla all'aperto. Ma ieri la stragrande maggioranza dei milanesi faticava a togliersi quel tatuaggio salvavita dal volto. Il fatto poi di doverla comunque mettere negli spazi chiusi costringe tutti a girare con la mascherina nel taschino. Qualcosa di ormai necessario come gli occhiali per un miope. Perché è vero che c'è il popolo della movida o altri squadroni di giovani che il concetto l'hanno aggirato senza porsi il dubbio, ma il grosso di questa società congelata nelle sue abitudini fa fatica a ripartire.
Del resto, il mondo è bello perché resta vario. Bar in pieno Quadrilatero della moda, dove in questi giorni le sfilate hanno traslocato in Rete. Al bancone c'è un signore che senza fretta si è sfogliato il suo quotidiano senza fare mistero che leggerlo al bar è un bel risparmio per le sue finanze disastrate.
Entra un ragazzo in giacca e cravatta slacciata. Da vero milanese imbruttito ordina un caffè senza manco levarsi il casco. Guarda il compagno di bancone con ammirazione: «I giornali si consumano a colazione, poi diventano vecchi». Certo ognuno ha i suoi tempi, ma è nel ritrovare queste differenze che quella nuova normalità assume un aspetto molto più umano.