IL DENARO DELL'OBOLO DI SAN PIETRO PER IL PETROLIO? ERA FINITO SUBITO NEL FONDO DI MINCIONE - ECCO LA LETTERA DEL CONSULENTE CREDIT SUISSE, ENRICO CRASSO, A MONSIGNOR BECCIU IN CUI SI FA RIFERIMENTO AD “ATHENA CAPITAL”, FONDAMENTALE NELL'ACQUISTO DELLA QUOTE DELLA “FALCON OIL” NEL BLOCCO PETROLIFERO OFFSHORE IN ANGOLA - IL FONDO DI MINCIONE ERA DA SUBITO COINVOLTO NELL'INVESTIMENTO AFRICANO E NON È SUBENTRATO DOPO PER L' ACQUISTO DELL'IMMOBILE A LONDRA…
-Claudio Antonelli e Alessandro Da Rold per “la Verità”
«Sono orgoglioso di aver salvato 147 milioni di euro del Vaticano che loro erano pronti a bruciare in Angola, altro che finanziere oscuro!». Bisogna riprendere le parole che Raffaele Mincione ha consegnato al Corriere la scorsa settimana, per capire che l'inchiesta della magistratura vaticana sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato ha ancora molto da raccontare.
Perché in un documento visionato dalla Verità - datato 28 gennaio 2013 e inviato dal consulente targato Credit suisse, Enrico Crasso, a monsignor Angelo Becciu (all' epoca sostituto per gli affari generali della Segretaria) - compare il fondo Athena capital fund, che sarebbe stato fondamentale nell' acquisto della quote della Falcon oil nel blocco petrolifero offshore in Angola.
In sostanza, il fondo di Mincione era da subito coinvolto nell' investimento africano, pari a 250 milioni di dollari e non è subentrato dopo per l' acquisto dell' immobile a Londra, valutato invece 200 milioni di euro, provenienti dall' Obolo di San Pietro. Nella missiva riservata, infatti, Crasso è molto chiaro con Becciu. Oltre a ricordare la lettera del 7 gennaio 2013, «con la quale Ella comunica l' intenzione di codesta Segreteria di Stato a partecipare all' operazione proposta dalla società Falcon oil, [] per portare a regime produttivo un blocco petrolifero offshore in Angola denominato 15/06. Tale impegno è stimato complessivamente in 250 milioni di dollari», il consulente di Credit suisse spiega i passaggi dell' affare, dalla costituzione del fondo comune di 500.000 dollari per la due diligence alla definizione di una struttura di finanziamento per ricevere congrua remunerazione del capitale investito».
Ma è a pagina 2 che Crasso - memore di quando l'operazione fu presentata in Vaticano il 22 novembre precedente dalla Capital investments company - ricorda di come siano state promosse varie azioni volte all'esecuzione del deal. Al primo punto «c'è la creazione di un fondo ad hoc di diritto lussemburghese, denominato Athena capital commodities fund, specifico comparto della Sicav di diritto lussemburghese Athena capital fund».
Si tratta del fondo di Mincione, che molto probabilmente era a conoscenza dell'investimento petrolifero del Vaticano. Del resto l'affare con l'Angola era ghiotto. Si tratta di un giacimento su cui lavora da qualche anno l'Eni. Il nostro colosso petrolifero è operatore con una quota del 35%, mentre Sonangol Ep è la concessionaria del blocco. Gli altri partner della joint venture erano Sonangol pesquisa e producao, Ssi Fifteen limited e Falcon oil Tenere Angola Sa (con il 5%).
Il Vaticano si sarebbe inserito in quest' ultima quota, in un giacimento che si prevede che quest' anno arrivi alla produzione di 170.000 barili al giorno. Crasso, che in quegli anni ha lavorato con un altro manager Credit suisse, A. N. , aveva individuato lo studio legale londinese che avrebbe seguito l' operazione angolana, ovvero SjBerwin. Non solo. Era stato anche individuato uno studio legale a Luanda, Fbl advogados e era già stato conferito mandato alla società Nardello & co, specializzata in indagini per evitare qualsiasi rischio reputazionale. In sostanza era tutto pronto, tanto che alla fine Crasso chiedeva a Becciu di versare i 500.000 euro con solerzia.
La risposta del monsignore arriva a stretto giro di posta. Si mettono a disposizione i soldi richiesti. Qualcosa però va storto al di là dell' intervento di monsignor Alberto Perlasca.
Alla fine si decide di virare sull' investimento londinese. Ora sarà il tribunale del Vaticano, con i promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, a dipanare questa matassa dove si ipotizzano, secondo L' Espresso, «gravi indizi di peculato, truffa, abuso d' ufficio e autoriciclaggio» ma anche «appropriazione indebita e favoreggiamento» secondo la relazione del revisore Alessandro Cassinis. La Verità per capire come sia nata la scelta del palazzo di Sloan Square ieri ha contattato anche l' ex consulente Credit suisse, A.N.. Per motivi di riservatezza ha rinviato.