DICE CHE ERA UN BELLOMO - LA CASSAZIONE RANDELLA L’EX CONSIGLIERE DI STATO, FRANCESCO BELLOMO, PER IL “DRESS CODE” IMPOSTO ALLE SUE STUDENTESSE: “LESIVO DELLA DIGNITÀ UMANA” - PER LA SUPREMA CORTE, CHE PARLA DI UN “QUADRO INDIZIARIO DI SICURA GRAVITÀ”, “EMERGE CON EVIDENZA” IL CONDIZIONAMENTO DEI RAPPORTI “PER EFFETTO DELL'ASCENDENTE CHE ESERCITAVA SULLE GIOVANI FREQUENTANTI LA SCUOLA"...
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'Dress code' con tacchi a spillo e minigonne e regole sui fidanzati, modelli di comportamento imposti alle sue studentesse: per la Cassazione, la condotta dell'ex consigliere di Stato Francesco Bellomo – indagato per violenza privata nei confronti di alcune allieve dei suoi corsi di preparazione all'ingresso in magistratura – è da giudicarsi “lesiva della dignità umana”. Inoltre, la "risoluta convinzione" di Bellomo "della liceità delle condotte e della loro giustificazione scientifica", assieme alla "prevedibile prosecuzione delle attività di insegnamento, oltre che con ulteriori frequentazioni necessariamente collegate all'ambito didattico", rendono "concreto e attuale il pericolo di reiterazione".
Lo scrive la seconda sezione penale della Cassazione, nelle motivazioni, depositate oggi, della sentenza con cui, lo scorso gennaio, ha annullato con rinvio l'ordinanza del Riesame di Bari che aveva sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari per Bellomo con il divieto, per un anno, di esercitare "attività imprenditoriali e professionali di direzione scientifica e docenza". Bellomo, dopo lo scandalo, è stato destituito da Palazzo Spada. Ed ora il tribunale del Riesame dovrà rivalutare "la scelta adeguata della misura da applicare".
"La prestazione promessa – si legge nelle motivazioni - era condizionata all'assunzione di obblighi incidenti sulla sfera delle relazioni personali, dettando modelli di azione e limiti alle frequentazioni sociali, imponendo codici comportamentali, oltre che divieti in grado di limitare la libertà di autodeterminazione, sino a compromettere potenzialmente la dignità umana". Non solo. La Cassazione parla di un "quadro indiziario dotato di sicura gravità": dagli atti di indagine, "emerge con evidenza" il "condizionamento di quei rapporti per effetto dell'ascendente che esercitava Bellomo sulle giovani frequentanti la scuola".
Secondo la Cassazione, è emerso dalle indagini - come rilevato dal pm di Bari - che i corsi di Bellomo "avevano dato l'avvio a relazioni personali, in realtà sganciate dal contesto accademico". In proposito, i supremi giudici osservano che "già per una delle ragazze era avvenuto che l'inizio della collaborazione scientifica e subito dopo della relazione affettiva con l'indagato, erano sorti dopo aver superato le prove scritte del concorso in magistratura, e per le altre ragazze parte lesa i comportamenti contestati a Bonomo" avevano travalicato e trasceso la sede 'naturale' dei corsi di insegnamento per riverberarsi e proseguire al di fuori e al di là di quel contesto". In sostanza, "l'impostazione dei rapporti personali e affettivi che il Bellomo sollecitava e imponeva sono proseguiti in talune vicende anche aldilà dei corsi".
Nella sentenza si sottolinea poi che "non può essere deliberatamente trascurato l'ambito in cui sono sorti quei rapporti, caratterizzato da una condizione psicologica di subalternità derivante dalla prospettiva della partecipazione ad un concorso pubblico di notorio impegno intellettuale e psicologico, oltre che di particolare difficoltà, le cui sorti potevano essere sensibilmente influenzate dalla proficua partecipazione ai corsi diretti dall'indagato e dalle indicazioni che venivano fornite dallo stesso Bellomo".
Infine, ugualmente "significativa" nella ricostruzione delle vicenda, è, secondo i giudici del 'Palazzaccio', la "progressiva alterazione della gestione del rapporto personale, sbilanciato dall'imposizione ingiustificata e pretestuosa di abitudini, atteggiamenti e condotte incidenti sulla libertà di autodeterminazione delle vittime".