ECCO PERCHE’ E’ STATO UCCISO DIABOLIK – LA SFIDA MORTALE AI BOSS DELLA CAMORRA. UN FIUME DI COCA DIRETTA A ROMA E A NAPOLI - PER GLI INQUIRENTI LA ROTTA DI STUPEFACENTI DALLA CAPITALE ALLA CITTÀ CAMPANA PUÒ AVER ROTTO GLI EQUILIBRI CRIMINALI E PORTATO ALL'OMICIDIO
-Michela Allegri per il Messaggero
«Una società del crimine», organizzata nei dettagli, con una struttura precisa e due boss del narcotraffico ai vertici: Fabrizio Fabietti e il socio Fabrizio Piscitelli. Così il Tribunale del Riesame ha definito la holding della droga che importava quintali di hashish e cocaina al Sud America, bocciando le richieste di 7 dei 51 indagati in carcere dallo scorso novembre che chiedevano l'annullamento dell'ordinanza cautelare.
Un'organizzazione capillare, con una «capacità operativa» che non viene scalfita nemmeno dalle indagini e con un giro di affari da 120 milioni di euro. E, soprattutto, con crediti per 50 milioni, riscossi con metodi violenti da una batteria di picchiatori «spregiudicati», che incontrano Fabietti a casa sua - quartier generale della banda - mentre lui è ai domiciliari, dimostrando «spregio verso la legge e l'autorità».
Fabietti, Diabolik e i loro soci, si legge nelle motivazioni del Riesame, erano «impermeabili ai moniti della legge», per loro «le norme sono da considerare al pari di orpelli inutili e fastidiosi».
I MESSAGGI CRIPTATI
Le forniture dovevano essere pagate, perché la squadra della morte assoldata dall'organizzazione era pronta a intervenire chi non saldasse i debiti. Ed è seguendo quei conti sospesi che gli inquirenti potrebbero presto arrivare ai mandanti dell'omicidio di Piscitelli, più noto come Diabolik, capo ultrà della Lazio freddato lo scorso agosto al parco degli Acquedotti con un colpo di pistola alla testa.
Dagli atti depositati dalla pm Nadia Plastina, emergono altri dettagli sugli affari dell'organizzazione, che riforniva tutti i quartieri, da Roma Nord a Ostia. Centrale il ruolo di Alessandro Telich, genio informatico che gestiva la comunicazione del gruppo e che era riuscito a rendere impossibili le intercettazioni, grazie a un'app criptata che consentiva di cancellare tutti i messaggi da remoto in caso di arrivo della polizia. Le parole del Riesame sono pesanti: ha agito con «spregiudicatezza e professionalità», anche quando, nel 2013, ha aiutato Diabolik nel suo periodo di latitanza.
Cinquanta milioni, appunto. A tanto, secondo alcuni affiliati dell'organizzazione, ammontavano i crediti da riscuotere. Partite di droga consegnate e non pagate. Soldi che dovevano essere recuperati a tutti i costi e con ogni strumento. Per questo era stata incaricata una squadra del terrore, che si presentava da chi non avesse saldato nei tempi previsti. Quella dei soldi è la pista che gli inquirenti seguono per identificare i mandanti dell'omicidio. Mentre dei killer è già stato individuato il profilo.
Ad aprile 2018 Fabietti e Piscitelli parlano della squadra di picchiatori, composta da Andrea Ben Maatoug e Kevin Di Napoli, dei crediti da recuperare, con «scosse elettriche» e botte. È quello che i giudici del Riesame definiscono «un manifesto programmatico delle intenzioni violente dell'organizzazione, da utilizzare nella generalità dei casi per la riscossione».
Le intercettazioni forniscono i dettagli: «Oh - dice Fabietti - gli ho preparato una macchina, li massacriamo tutti. Sono quattro persone che vanno in giro da tutti». E ancora: «So' 37, questi mo li sterminano tutti, con la scossa elettrica sdraiano la gente». Ad aprile della squadra di picchiatori faceva parte anche Leandro Bennato, gambizzato a Boccea lo scorso novembre. Un delitto che, secondo chi indaga, è collegato all'omicidio del Diablo.
LE APP
È il 23 maggio 2018, quando una microspia nell'appartamento di Fabietti, all'epoca ai domiciliari, capta Piscitelli, Telich e un altro soggetto mentre organizzano uno scambio di droga. Piscitelli chiede a Telich come gestire le comunicazioni e come garantire il contatto costante con alcuni corrieri nel corso di un viaggio in mare: «Allora che facciamo con questi telefoni? Mi deve partire la gente, io non posso rischiare così. Fabio deve partire, se poi mi si stacca, dove vado a sbattere la testa? Se vanno in Marocco, se vanno in Francia, se vanno a coso, giustamente io per primo voglio essere sicuro di non perderli».
E Telich: «Quello che ti va per mare, fallo stare con me un'ora e intanto gli spiego come funziona tutto quanto e gli faccio fare un'ora di applicazione»
DIABOLIK, QUINTALI DI COCA A NAPOLI "SFIDA MORTALE AI BOSS DELLA CAMORRA"
Francesco Salvatore per Repubblica - Roma
Un fiume di cocaina diretta a Roma. Ma non solo, anche a Napoli.
Una città che di certo nel traffico degli stupefacenti non è da meno della capitale, e che ha i suoi boss a gestirlo. In una intercettazione inserita nelle motivazioni del tribunale del Riesame, che ha confermato il carcere per sei trafficanti sodali di Diabolik, si fa riferimento alla città campana: «500 chili al mese a Roma? Fai che 100 li porti a Napoli » .
Un azzardo che potrebbe aver mosso degli equilibri e condotto all' esecuzione di Fabrizio Piscitelli, ucciso lo scorso agosto con un colpo di pistola alla nuca. Proprio su tale ipotesi, infatti, sta lavorando la procura: gli inquirenti hanno le idee chiare sugli esecutori ma sono intenzionati anche a scoprire il contesto dietro all' omicidio, ovvero chi ha dato il beneplacito a compiere un' operazione del genere, definita in commissione Antimafia dal procuratore capo Michele Prestipino « strategica e funzionale al riassetto degli equilibri criminali non solo a Roma ».
Diabolik e il suo gruppo, dunque, erano diventati un soggetto influente, forse anche fuori Roma. Dal botta e risposta dell' intercettazione, quello che si comprende è che spingersi a Napoli non era una chimera.
« Dove li porti a Roma 500 chilogrammi al mese, dove dimmi un po'?», chiede Dorian Petoku a Fabrizio Fabietti, braccio destro di Piscitelli. « Noi lo possiamo fare » , la risposta. E Petoku: «No ma dove li troviamo, dove li mettiamo? Fai che 100 li porti a Napoli, ma gli altri».
D' altra parte il gruppo di Piscitelli potenzialmente aveva già in mano la capitale, ma solo per una scelta strategica tirava il freno: « Fabietti riferisce ai complici - scrivono i giudici - come, nonostante la possibilità di cedere a chiunque fosse interessato ("a tutta Roma") un ingente quantitativo di narcotico pari a 3mila chili, preferisca privilegiare gli acquirenti con maggiori disponibilità di denaro » . Secondo Fabietti, dunque, il gruppo suo e di Diabolik poteva cedere droga «a tutta Roma».
L' organizzazione, sgominata a fine novembre dal nucleo di polizia economico finanziaria della Finanza, coordinato dal pm Nadia Plastina, era iper strutturata. Come un' azienda: « Si è in presenza di un organismo efficiente in grado di avere il monopolio dello smercio di droga a Roma», scrivono i magistrati.
«Una vera e propria società del crimine dove l' imprenditore Fabrizio Fabietti, il quale in accordo con il socio Fabrizio Piscitelli e la collaborazione di soggetti che costituiscono la struttura portante dell' organismo sociale e di altri soggetti che, con l' apporto continuato ne garantiscono il buon funzionamento ( gli acquirenti), realizza lo scopo sociale, vale a dire la commercializzazione di stupefacenti sul territorio laziale ».
Che gli affari fossero gestiti al dettaglio lo dimostra anche l' esistenza di un' agendina sulla quale Fabietti segnava compratori, venditori e cifre: « Devi trovare un altro modo, che so, murarli - dice il padre a Fabietti nel marzo 2018 - ma io dico, ti fermano con un coso così, oltre che mi arrestano a me, a parte quello, arrestano 7- 8mila persone. Perché ci stanno i nomi di tutti».
E come un' azienda, ogni componente utilizzava un telefono criptato ad hoc attraverso delle applicazioni che un esperto informatico dell' associazione inseriva negli smartphone: «Allora che facciamo con questi telefoni? » - gli chiede Diabolik ad agosto 2018 - «Mi deve partire la gente, io non posso rischiare così. Fabio deve partire, se poi mi si stacca dove vado a sbattere la testa? Se vanno in Marocco, se vanno in Francia ».